Il ladro di Maigret
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Un borsaiolo, una mattina
Che un giovane sottragga sull’autobus il portafoglio a Maigret é già di per sé una di quelle notizie che possono definirsi sorprendenti, ma che poi il ladro lo restituisca al legittimo proprietario senza trattenere nemmeno un centesimo è un fatto eclatante, tanto più che il reo fa di tutto per incontrarsi con il celebre commissario. Il ladro di Maigret è uno degli ultimi romanzi della serie e si nota chiaramente quanto Simenon faccia per destare l’interesse del lettore, interesse che con il tempo va naturalmente affievolendosi. Abbandonate le tetre periferie parigine, messi in disparte gli ambienti di provincia, questa volta l’indagine, perché di indagine si tratta, non tanto per il furto, ma per il fatto che la consorte del ladro viene rinvenuta assassinata, si svolge nell’ambiente del cinema che potremmo definire underground. É un mondo popolato di giovani in cerca del facile successo, quasi sempre squattrinati e che vivono alla giornata, ruotando intorno alla figura di un ricco produttore. Come in tanti romanzi di Simenon si tratta di mezze calzette, di individui che sognano un luminoso avvenire come fosse cosa facile da realizzarsi, spesso guidati da una vanità smisurata che si infrange quasi sempre contro una realtà che si ostinano a non vedere.
Si tratta di individui di una generazione che pare lontana anni luce da quella di Maigret, che procede nell’inchiesta un po’ a tentoni, cercando di comprendere la psicologia dei possibili indiziati. Se devo essere sincero, Simenon non sembra a suo agio con questi personaggi, anche se è possibile riscontrare le notorie capacità di descrivere un ambiente e di analizzare attentamente il carattere dei protagonisti. Ne sortisce un romanzo giallo privo di tensione, con una soluzione certamente logica, anche se poco probabile; é come se affiorasse, dopo tanto scrivere, un po’ di stanchezza, anche se la lettura continua a essere piacevole, senza tuttavia risultare particolarmente avvincente.
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Il ladro di Maigret
Maigret si gode l’inizio della primavera sulla piattaforma esterna dell’autobus, ma un ladro si incarica di rovinargliela rubandogli il portafogli. La seccatura si trasforma in complicazione quando, il mattino dopo, rispuntano sia il portafogli, sia il ladro, che si rivela essere poco più che ventenne. Si chiama Ricain e, prima di condurre il commissario nel suo appartamento dove giace la moglie morta, racconta di essere un aspirante sceneggiatore e giornalista che sta affondando in una lacrimevole storia di insuccessi e frustrazioni. Prende così via l’indagine che si muove per piccoli passi in un ambiente che ha a che fare con il cinema di serie B: una serie di pretendenti artisti e un piccolo produttore che se ne circonda cercando di ricavarne il più possibile. Come spesso accade in Simenon, si tratta di figure mediocri: giovani ambiziosi dal dubbio talento, uomini e donne maturi che si accontentano di sfruttare la situazione, tutti quanti con un evidente tendenza ad alzare il gomito e a fregarsene del proprio prossimo. Il loro luogo di ritrovo è il ‘Vieux pressoir’, un ristorante in cui Maigret finisce per trasferirsi (sbafando assai) così da studiare con cura la poco commendevole compagnia e dissipare uno dopo l’altro i dubbi che lo accompagnano per quasi tutto il libro. La conclusione è la più ovvia, ma Simenon è bravo a portarsi a spasso il lettore facendolo nel contempo immergere in uno dei tanti bassifondi di una Parigi che non esiste più, disegnando una classica indagine di Maigret in cui la brevità non va a scapito degli aspetti narrati, inclusa la psicologia dei personaggi. Forse non uno degli episodi migliori in assoluto, ma comunque un solido giallo in cui, come sempre, il pensiero ha una netta prevalenza sull’azione (forse pure troppo) e dove la variazione sul tema è data dalla comprensione, ai limiti dell’affetto, con cui Maigret tratta l’indecifrabile (e insopportabile per chiunque altro) Ricain.