Il Grande Male
Editore
Recensione della Redazione QLibri
Madame Pontreau
Cammina impettita, l’acconciatura perfetta,l’abito di seta non ha una grinza. Quando pensa decide, quando parla comanda, quando dispone e’ perentoria. E’ una questione di indole, di predisposizione, di ascendente. Non importa se il pasto e’ magro nella scodella, l’orgoglio della vedova Pontreau si staglia ben oltre la miseria. Poi l’occasione propizia e con il sangue freddo che le si addice non perde un istante, sa esattamente cosa vuole e come ottenerlo; quel buono a nulla che ha sposato sua figlia e’ sistemato. Incapace di comandare, sofferente di epilessia, un guaio in meno e una cospicua eredita’ da intascare.
Curva e sporca, vestita di nero e ai piedi vecchie grandi scarpe che chissa’ chi le ha regalato, un grande ombrello la sovrasta. Cammina borbottando tra sé la serva Nacquet,nessuno capisce cosa dice. Sembra una pazza con quell’espressione iraconda, attraversa la piazza e di nuovo a parlare, pare stia contando, uno scioglilingua di calcoli che conosce solo lei. E minaccia, deride, le basterebbe un attimo per diventare ricca, dice. Arriva ai gradini di casa Pontreau ma non sale, non suona. Si rigira e torna sui suoi passi.
Splendido Simenon non ha bisogno di spessore della trama, l’attenzione, l’ammirazione del lettore convergono prevalentemente nei personaggi. Una vicenda subito nota che incalza pagina dopo pagina, con uno stile che tratteggia il mistero tinto di giallo, sebbene poi magari ci si ritrovi a galleggiare amabilmente nel nulla. Eppure la forza dei protagonisti e’ infrangibile, la penna sovrasta la mera narrazione psicologica e crea attori e comparse in modo vivido, tridimensionale. E’ un piacere lampante abbandonarsi ai personaggi di Simenon, bravissimo a proporci il potere di una donna , senza ripensamenti, senza rimpianti, a testa alta nel suo incedere calmo, freddo e deciso. Buona lettura.
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Una dominatrice
La provincia francese fa ancora una volta da sfondo a un noir del tutto particolare, atipico nella produzione di Simenon, in cui giganteggia una figura femminile tutta d’un pezzo, dotata di una forte personalità. La vedova Pontreau, che ha sempre condotto una vita in miseria, ma con estrema dignità, anzi con un portamento permanentemente altezzoso, ha l’occasione di dare una svolta alla sua esistenza e a quella delle sue tre figlie, grazie al matrimonio di una di queste con il diafano Jean Nalliers, figlio di un ricco proprietario terriero e che per l’occasione ha ricevuto in dono dal padre una grossa fattoria (La Pré-aux-Boeufs). Il novello sposo purtroppo soffre di una malattia neurologica, un tempo chiamata piccolo male, ma scientificamente conosciuta con il termine di epilessia. Si da il caso che durante la mietitura Jean, arrabbiatosi con un lavorante, avverta l’inizio di una crisi e si trascini fino al granaio, dove cade a terra in stato di incoscienza e dove lo trova la suocera, a cui sorge l’idea di liberarsi del genero onde impadronirsi della terra. Si limita a spingerlo attraverso una finestra così che cada di sotto e si spiaccichi sul selciato. Questo è sostanzialmente l’antefatto su cui Simenon sviluppa un romanzo che è prettamente al femminile, visto che i protagonisti, fatta eccezione per un procuratore, per un medico e per il padre del morto, relegati però a figure di comprimari, sono tutti femminili: le tre ragazze Pontreau, di cui la più giovane e minorenne Viève fuggirà di casa con il suo innamorato per non concludere l’esistenza nel grigiore di ogni giorno, a differenza della sottomessa Hermine e della psico labile Gilberte, vedova di Jean, che prima di consumarsi totalmente nel lutto si toglierà la vita; la serva svampita, per non definire pazza, Naquet, che qualcosa deve aver visto o sapere, circostanze da cui intende trarre profitto, e sopra di tutte un gigante imperscrutabile, ansioso di dominare e di essere obbedito, cioè la vedova Pontreau.
Non c’è che dire, Simenon si barcamena bene fra queste donne, con pochi tocchi di pennello ne delinea i contorni e i caratteri e dimostra ancora una volta la sua straordinaria capacità di sondare l’animo umano, di rivoltarlo come un calzino, di gettare in pasto ai lettori anche gli angoli più nascosti e segreti della psiche. L’omicidio, la ricerca del colpevole sono solo un pretesto per completare un ritratto di donna in cui più d’uno ha creduto di ravvisare la madre dell’autore.
Da leggere, lo merita.
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Il trionfo del male
Durante gli intensivi giorni della trebbiatura quando il caldo, la polvere e il faticoso lavoro stravolgono la vita della “Pré-aux- Boeufs”, fattoria isolata in riva al mare, nei pressi de La Rochelle, muore Jean Nalliers. Apparentemente vittima della sua epilessia che gli avrebbe causato la caduta dalla finestra del granaio durante una crisi, è in realtà stato spinto giù dalla signora Pontreau, la suocera. È vedova e ha altre due figlie che vivono con lei a Nieul. Nessuno sospetta della donna. Arriva l’inverno, la figlia vedova diventa quasi catatonica e ,nonostante i rancori del consuocero, vero proprietario, riesce a vendere la fattoria restituendosi uno status sociale borghese mai dimenticato nonostante le disgrazie economiche dell’ultimo periodo di vita del suo benestante marito. Intanto la povera cameriera che era al servizio in fattoria nei giorni della trebbiatura inizia a gironzolare intorno alla casa della Pontreau, mentre sbandiera presunte, imminenti e inverosimili possibilità economiche...
Il romanzo gioca sulla curiosità del lettore che in realtà sa già tutto ma viene attanagliato dagli infallibili meccanismi del giallo, curioso di sapere quali risvolti assumerà la vicenda. La lettura è gradevole, la caratterizzazione della protagonista eccezionale, la descrizione dei paesaggi funzionale alle atmosfere di sospetto che si creano. Il mare, la campagna, il piccolo paese, la corriera che fa la spola tra la cittadina e Nouel, la piazza, la strada del mare, la grande casa signorile memoria dei vecchi fasti borghesi, il Cafè Louis.
Su tutti emerge indistinta una folla: gli abitanti del luogo; dapprima rappresentati come singoli e sparsi spettatori assurgono poi al ruolo di compatta e impietosa giuria per accettare infine il trionfo del male.
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Mi riprenderò la fattoria
“Il grande male” di Georges Simenon è un delitto atroce, compiuto dalla vedova Pontreau ai danni del genero epilettico Jean Nalliers. Il bieco fine dell’atto criminale è impossessarsi della fattoria che il poveretto ha portato in dote quando ha sposato Gilberte, una delle tre figlie che la vedova soggioga e amministra con personalità dominante e fiera.
La finalità viene raggiunta nonostante la sconclusionata e alcolica reazione (“Mi riprenderò la fattoria, perché è mia, perché l’ho regalata a mio figlio e mio figlio sono io! E vedremo se quelle megere…”) del padre di Jean (“Ho comprato la fattoria per centocinquantamila franchi un anno fa…. Gliene darò ottantamila”).
Al delitto assiste la Naquet, la domestica un po’ matta che, nel romanzo, si muove in modo tetro (“Vide la bassa sagoma nera della Naquet, il suo ombrello”) e con finalità imperscrutabili (“Di nuovo la Naquet! Viene fino a casa e non entra. Cosa vorrà mai?”), se non pazzesche. Il caso si complica quando un bracciante, Gérard Noirhomme, confessa di essere l’autore del delitto, istigato dalla Pontreau. La provincia insorge contro la donna e ne accentua l’isolamento…
Il romanzo vive dell’atmosfera mista, agricola e marittima, tra coltivazioni di mitili e campi trebbiati dell’Atlantico francese, nella magistrale rappresentazione di un matriarcato tenace al quale le tre figlie oppongono diverse, drammatiche reazioni.
Giudizio finale: spietato, matriarcale, incisivo.
Bruno Elpis