Il grande dio Pan
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Un mondo parallelo
La realtà è ciò che vediamo o esiste un altro mondo, parallelo al nostro, di cui non sappiamo nulla? Come fare per verificare se la seconda ipotesi non è una pura invenzione? A questo provvede il Dr. Raymond con un intervento chirurgico che, modificando la struttura del cranio di una giovane volontaria, innesta un terzo occhio al fine di poter vedere questo mondo nascosto. L’intervento riesce e la ragazza resta scioccata, terrorizzata per quello che ha visto. Questo si potrebbe definire l’antefatto, ma il romanzo fornisce uno sviluppo della trama, teso a trasmettere al lettore quel fremito misto di paura e di curiosità che è proprio del genere horror che non è certo fra i miei preferiti. Tuttavia, di fronte a qualcosa che non ha solo lo scopo di stupire, ma di rintracciare in noi quella perversità che è propria della bestia ho continuato a leggere, ammetto con un certo piacere.
Senza descrivere altro della vicenda, a tutto beneficio del lettore, ritengo opportuno fare alcune considerazioni..
Siamo nell’epoca del famoso Dr. Jekyll e Mr Hyde e non è un caso se nell’Inghilterra vittoriana sorgono simili opere, volte anche a smascherare quell’aspetto di puritanesimo degli anni della Regina Vittoria. Non c’è di peggio, infatti, che nascondere o non far vedere, per incuriosire chi osserva, per fargli pensare che il mondo non è così, ma che dietro le convenzioni c’è ben altro e magari qualcosa di violento ed estremamente trasgressivo. Il Dio Pan – così il Dr. Raymond chiama questa realtà parallela – era una divinità pagana con tendenze orgiastiche che non mancano nel libro di Machen e che suscitarono all’epoca grande scandalo. Peraltro, l’aspetto trascendente dell’opera è riscontrabile anche nel concetto che il nostro mondo è solo illusione e che la verità autentica va ben oltre, in un orrore cosmico che vede presenti divinità naturali, esistenti ancor prima che comparisse l’uomo, divinità di cui Pan è l’ambasciatore, il messaggero o il rappresentante supremo, comunque vogliamo chiamarlo, perché ha dentro di sé il significato di ogni cosa, ogni istinto umano, l’anima e il respiro della natura. È una visione ben contrapposta a quello del Dio della nostra religione, nel senso anche che a certe condizioni è tangibile, come accade con l’esperimento del terzo occhio. E questa compenetrazione in lui di istinti umani e di essenza della natura ne fa un essere a cui inconsciamente somigliamo, soprattutto quando diamo libero sfogo a pulsioni soffocate da quel mondo di parvenza che ci siamo costruiti.
Non è un romanzo per tutti, nel senso che dobbiamo, per leggerlo, aprire un terzo occhio virtuale guardando dentro di noi, andando a cogliere quanto più di nascosto e di innominabile celiamo. Così come il mistico si abbandona al crescente pulsare della fede, per vedere il nostro Dio Pan dobbiamo dimenticare dove siamo e quel che siamo; é ovvio che non è strettamente necessario un simile esercizio per leggere il libro, ma è indispensabile per trarne i frutti una volta terminato.
Poi ognuno può apprezzare lo sviluppo della vicenda, appagarsi anche con le scene orgiastiche, ma questo non era il fine di Machen che voleva invece che ognuno potesse vedere il suo Dio Pan.
Il romanzo è di per sé abbastanza breve, ma nell’edizione in mio possesso (Tre Editori, Roma, 2016) c’è una corposa seconda parte intitolata Appunti su alcune fonti di Arthur Machen, curata da Alessandro Zabini, di grande aiuto per la comprensione dell’opera, così come propedeutici alla stessa ed egualmente utili sono la prefazione dell’autore e un breve articolo (Arthur Machen e la paura cosmica) scritto da Howard Phillips Lovecraft. Ma non è finita, perche questa edizione è di notevole completezza, ricomprendendo un ragguardevole saggio (Il risveglio della selva) di Susan Johnston Graf e una breve, ma completa antologia panica, in cui sono presenti altri saggi, prose e poesie di diversi autori, ma tutti nomi noti, perché si va da Plutarco a Pessoa, a Pascoli, tanto per citarne alcuni. È quindi evidente che l’argomento ha sempre interessato, dall’antichità a oggi, e del resto Pan c’è sempre stato e sempre ci sarà.
Da leggere, senza dubbio.
Indicazioni utili
Vedere il dio Pan
Il dottor Raymond, esperto di medicina “trascendentale”, ha un fine ultimo nella sua vita: far conoscere all’uomo il vero volto della realtà che lo circonda, stracciare quel velo che separa la nostra dimensione da un’altra, quella vera, popolata, da esseri primordiali, creature sregolate senza etica né morale. Lui definisce ciò: “vedere il dio Pan”. Per raggiungere il suo obiettivo non esita a modificare la struttura cranica della sua figlia adottiva Mary, così da permetterle di scorgere tale universo nascosto. L’operazione ha successo e la giovane viene catapultata in un mondo radicalmente slegato dal nostro, terrorizzata e ormai segnata per sempre da ciò che ha visto.
La narrazione compie a questo punto un salto cronologico e si sposta in avanti di alcuni anni nella città di Londra dove, in circostanze sospette, avvengono dei misteriosi omicidi/suicidi che sembrano legati alla bella ma inquietante Helen Vaughan, una nobildonna dall’oscuro passato.
Pan, metà uomo e metà capra, che la tradizione vuole dio pastore, della campagna e delle selve, potente e selvaggio e dai forti connotati sessuali è qui il temibile progenitore da cui ha origine tutta l’umanità. Simbolo del potere della natura e del richiamo alle origini bestiali dell’uomo, nonché centro di culti pagani, il dio Pan si fa portatore di allucinazioni e orrori reali svelando un universo segreto di cui mai i protagonisti del romanzo avrebbero voluto prendere coscienza e di cui noi lettori veniamo altresì a conoscenza. Il nostro viaggio, o per meglio dire la nostra rocambolesca discesa nell’abisso, avviene di pari passo a quella dei personaggi che, nel susseguirsi degli incontri, colloqui, testimonianze, ipotesi, sviluppate nel cuore di una Londra cupa e notturna, tra una strada deserta illuminata solo dalla luce dei lampioni e un elegante salotto aristocratico, giungono a delle scoperte che portano via via alla risoluzione del terribile enigma.
Questo romanzo, pubblicato nel 1894, suscitò grande scandalo nel Regno Unito, soprattutto nell’ambiente puritano e borghese: le immagini erano troppo forti, i contenuti sessuali fin troppo espliciti per l’epoca. Il crollo delle certezze, la fiducia tutta positivista nelle scienze e nel progresso scientifico che cominciava ad incrinarsi, il senso di un’esistenza sempre più precaria accomuna molti scrittori decadentisti. In questo spazio di desolazione irrompono figure mostruose come i vampiri di Bram Stoker o gli dei disumani del gallese Arthur Machen, autore di quest’opera. Egli viene considerato uno tra i maggiori rappresentanti del decadentismo e ricevette attestati di stima da diversi colleghi tra cui Lovecraft.
Machen fu un intellettuale poliedrico e versatile: erudito lettore di testi esoterici, attore shakespeariano e giornalista, saggista interessato all’antico Galles gallo-romano e, appunto, romanziere di successo in un genere a metà strada tra il fantastico e l’orrorifico, che certamente risente dell’influenza di Edgar Allan Poe, ma che si arricchisce di una fascinazione tutta decadente per l’occulto e per i miti classici, tanto di moda nell’epoca in cui egli scrive e che, personalmente, ritengo continuino ad esercitare un fascino particolare anche oggi.
Il romanzo già di per sé breve, scorre via gradevolmente e l’efficacia della narrazione è data da un ritmo sostenuto nonché dalla capacità dello scrittore di tenere il lettore in bilico tra la curiosità di scoprire i misteri celati nel racconto e il timore di ciò che essi potrebbero stare a significare. Il Grande dio Pan è un’opera che nonostante i sui 122 anni di età non risente molto del tempo passato e non ha quell’aura “datata” che invece caratterizza molte altre opere del genere.