Il gioco di Gerald
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Ce l'ha piccolo, abbiamo capito!
Questa ennesima lettura di un romanzo kinghiano ha cementato il mio affetto per lo scrittore, perché "Il gioco di Gerald" unisce l'analisi di tematiche delicate ed attuali -pur avendo superato da molto la ventina- ad un thriller psicologico che non ha bisogno di estrarre vermoni spaziali dal cappello per spaventare il lettore. Ogni riferimento a "Le notti di Salem" è puramente volontario.
Lo spunto della trama è parecchio conosciuto, anche perché qualche anno fa ne fu tratto un film per Netflix: Gerald e Jessica "Jessie" Gurlingame sono una coppia sulla quarantina abbastanza affiatati, almeno ad un occhio esterno perché in realtà la loro relazione si è andata pian piano deteriorando al punto che lei acconsente passivamente e controvoglia alle pratiche bondage tanto apprezzate dal marito. Un giorno d'autunno, i due si concedono una breve vacanza nella casa sul lago; Gerald ammanetta la moglie al letto ed insiste nel voler consumare un rapporto nonostante lei gli chieda ripetutamente di liberarla e lasciar perdere: la situazione degenera tanto che un calcio di Jessie causa un infarto mortale a Gerald, e la donna si ritrova bloccata in una situazione surreale che la porterà pian piano verso la follia.
L'elemento più rilevante in questo romanzo è il personaggio di Jessie, perché l'intera narrazione poggia quasi esclusivamente sulle sue spalle: ad eccezione di un paio di capitoli, per tutto il volume lei è sola in scena e, a dispetto del mio iniziale scetticismo, posso dire che questo espediente funziona egregiamente. La sua psicologia è analizzata in modo estremamente dettagliato, e si parla molto di disturbo dissociativo dell'identità, in particolare di una serie di personalità (chiamate voci da ufo nel testo) che albergano nella mente di Jessie e colgono questa occasione al limite per palesarsi e darle dei consigli o farle rivivere dei momenti del suo passato.
Pur essendo pochi e alquanto marginali rispetto alla protagonista, ho trovato ben caratterizzati anche gli altri personaggi del romanzo, in particolare Tom Mahout ha saputo trasmettermi una repulsione per il suo ruolo di padre che non provavo dai tempi di "Nei luoghi oscuri" di Gillian Flynn. Ci sarebbe un altro personaggio degno di menzione, soprattutto per come riesce a rendere una storia già inquietante di suo ancor più morbosa, ma non vi voglio rovinare la lettura; dirò soltanto che nel testo è presente una rappresentazione fisica della morte molto originale.
Il volume affronta un gran numero di temi, spingendo il lettore a vederne le diverse sfaccettature, come diverse sono le posizioni dei personaggi: si parla di matrimonio e consenso come non necessariamente due facce della stessa medaglia, violenza fisica e pressioni psicologiche che spesso sfociano nel victim blaming.
In definitiva ho apprezzato praticamente tutto, anche l'idea di inserire lo sporadico POV dell'ex-Prince, che altrimenti sarebbe risultato solo un espediente narrativo. Quello che però non digerisco è l'ennesima traduzione ad opera di Dobner, piena di modi di dire sconclusionati e del tutto priva di note.
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Il nascondino
L’ambientazione del “Gioco di Gerald” di Stephen King è quella che già altre volte lo scrittore del Maine ha utilizzato come artifizio letterario per raccontarci le sue storie.
Non è nuovo infatti per King l’espediente della “camera chiusa”, utilizzato per esempio da diversi giallisti: lo ritroviamo già nel racconto lungo “Nebbia”, che si svolge in un supermercato, o in “The Dome”, dove l’azione è rigidamente delimitata entro i confini invalicabili, addirittura, di un’intera cittadina.
Questo escamotage tipico dei mistery, e qui subito il pensiero corre agli inimitabili piccoli capolavori come “Assassinio sull’Orient. Express” o “Dieci piccoli indiani” della Christie, questo ambientare gli eventi in un’unica, claustrofobica location, dove i fatti si svolgono in un ambiente chiuso che non permette ai personaggi di escludersi dallo scorrere degli eventi, né ad altri esterni di intervenire, permette di mettere in scena un vero e proprio teatrino di mistificazioni e depistaggi.
Il re dell’horror, come certa critica riduttiva si ostina a classificarlo, non scrive gialli, ma appunto storie “di paura”. Dove però la paura suscitata ad arte in fondo non è che un sentimento apicale posto in cima al miscuglio di emozioni, sensazioni, capacità, conoscenze ed etica che caratterizza il cuore delle comuni persone di ogni giorno. Una volta solleticata ad arte, la paura dà poi la stura al rigurgito di tutto quanto acquisito nel cuore dei protagonisti. La paura, l’horror, il terrore permette ad ognuno di mostrare il meglio, o il peggio, di sé stesso. Stephen King lo sa benissimo, prende a prestito il babau collettivo che ciascuno ha in sé, memento delle proprie esperienze negative vissute, mette davanti a ciascuno il proprio spauracchio personale, che magari in apparenza avrà l’aspetto di un vampiro, di un uomo lupo, di uno zombie, ma nella realtà sono ben altri i mostri di cui aver paura.
La pedofilia, l’incesto, gli abusi sessuali, questi e altri, il peggio delle nefandezze umane, questi sono i veri, unici, autentici mostri di cui aver paura.
Perciò ciascuno è condotto a riflettere, a rivedere e a esorcizzare a forza i propri mostri interni, unico sistema per recuperare e recuperarsi, superare una volta per sempre i limiti che le azioni malvagie, fatte e subite, impongono al corretto ed esemplare fluire dell’esistenza.
In questo che è tra i meno orrorifici romanzi di King, la protagonista Jessie Mahout si isola in un cottage sul lago insieme al marito Gerald, e si sottomette a lui come vittima passiva in un gioco erotico, volto più che al piacere sessuale in sé, a cercare di recuperare un rapporto coniugale ormai sfilacciatosi da tempo.
Sennonché per una serie di sfortunati imprevisti la povera donna si ritrova sola e abbandonata in tale luogo sperduto, costretta ammanettata alla spalliera di un letto.
In balia degli eventi, quindi, ed in balia dei deliri onirici che sempre si instaurano in situazioni parossistiche di stress estremo.
Da un gioco erotico si passa quindi ad un vero e proprio gioco del nascondino: le lunghe ore di forzata immobilità, lo stress e la tensione, inevitabilmente inducono la donna ripercorrere in un vero e proprio flash back continuo, in cui ella stessa cela e nasconde a sé stessa pagine dolorose della propria esistenza.
La liberazione di Jessie passa quindi necessariamente per una presa di coscienza, per l’acquisizione schietta e completa, per la consapevolezza piena del proprio vissuto esistenziale, deve dissipare a forza le ombre che per tanto, troppo tempo l’hanno ammanettata ad un vissuto con colpa, e non per colpa propria.
Jesse deve riprendere in mano le redini della propria vita, riconsiderare gli eventi per quello che in effetti furono, rielaborarli come va giustamente rielaborato un lutto, ed infine acquisirlo ed accettarlo per giungere a…fare tana, liberarsi nella mente e inevitabilmente anche nel fisico.
Una mente libera dagli orrori subiti, infatti, inevitabilmente si attiva con idee qualitativamente migliori, non più restrittive dalle paure trascorse, che porteranno alla liberazione anche del fisico costretto sul letto.
Jessie recupera sé stessa, e da quel momento si libera anche dei propri mostri personali, non ha più bisogno di giocare a nascondino con i suoi segreti inutilmente rimossi, e può quindi affrontare serenamente la realtà, che non le offre più ombre malefiche con sembianze note, ma semplicemente effetti ottici talora illusori, certo non mostri reali, ma semplicemente giochi di luce, di luce lunare.
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Paura in quattro mura
Jessie e Gerald sono in procinto di iniziare un gioco erotico.
Qualcosa nella mente di Jessie le fa cambiare idea e sferra due calci al marito che improvvisamente muore d’infarto. Il problema è che prima di morire Gerald L’aveva incatenata con un paio di manette al montante del letto.
Jessie è intrappolata e deve assolutamente trovare un modo di liberarsi.
Un libro dell’orrore degno di Stephen King poiché il racconto è per la maggior parte ambientato tra le quattro mura della camera da letto.
La paura comincia a fare pressione, unita ai fantasmi del passato della povera Jessie.
Sarebbe troppo bello se ci fosse solo la paura in quella stanza.
Arriva anche Ex Prince ,un cane abbandonato, che sente l’odore di carne morta. Il cane ha già l’acquolina in bocca per la fame. C’è qualcos’altro o qualcuno di ancora più raccapricciante del cane che sbrandella a morsi le carni del suo defunto marito.
Ciò che fa visita a Jessie quella sera, che le promette di ucciderla la notte successiva, è il Cowboy Spaziale, il Ghoul, un “It”. Deve liberarsi dalle manette prima che la uccida. Saranno le sue voci interiori ad aiutarla a trovare un modo per uscire da quell’incubo ad occhi aperti.
In queste quattro mura, King riesce a mettere assieme tutte le nostre emozioni più intense ma anche quelle più negative: disgusto, orrore, Ansia, angoscia, rabbia. Tutto quello che ho provato io assieme alla protagonista.
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Il gioco è bello quando ..
Una coppia decide di trascorrere un pomeriggio nella casa al mare dedicandosi a dei giochetti sadomaso. Già legata al letto con un paio di manette, però Jessie, la moglie, decide di essere stanca di assecondare il marito e gli chiede di fermarsi. L'uomo insiste, si prende alcuni calci che lo fanno cadere dal letto e sono seguiti a ruota da un infarto. Adesso arriva il bello: legata a un letto con le chiavi e il telefono fuori portata, nessuno nei dintorni a sentire le sue urla e come scendiletto il marito bello stecchito. Decisamente Jessie si trova in una situazione che sembra non avere via d'uscita. Nonostante questo per molte ore insiste nel trovare una soluzione per liberarsi. Sfinita nel fisico e nella mente, lottando contro la sete, i crampi, la paura di un cane randagio che è riuscito a entrare in casa e banchetta con la faccia del marito pensa che niente possa andare peggio di come già sta andando.. Poi arrivano i ricordi del passato: quelli brutti e infine le allucinazioni, o non lo sono? Questo libro ci porta con una lunga cavalcata attraverso molti stati d'animo: dall'incredulità, alla paura, al disgusto fino alla rabbia e alla compassione. King è stato capace di inventarsi una storia talmente incredibile da sembrare vera. Tutti i dettagli dei tentativi di fuga ci vengono descritti in modo preciso e realistico: ogni crampo di Jessie, ogni sua fievole speranza si delinea davanti a noi in modo brutale. Le vicende delle Jessie bambina, invece per quanto siano più drammatiche di quello che le succede da adulta sono trattate con delicatezza e ingenuità. Due storie diverse che si fondono dando luogo a un romanzo che mi è piaciuto molto.
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L'orrore in una camera da letto
“Il gioco di Gerald” ha come protagonista Jessie Mahout, una donna di mezz’età che si presta, per l’ennesima volta, ai desideri sessuali perversi del marito, Gerald per l’appunto. Durante il rapporto, però, sentendosi particolarmente umiliata, lo allontana con un calcio, causandone inavvertitamente un infarto fatale. Ammanettata al letto, Jessie non può scappare: le chiavi per la libertà sono fuori dalla sua portata e la casa, presso un lago, è isolata. Durante la sua prigionia, Jessie dovrà affrontare un vero e proprio viaggio dell’orrore dentro la sua mente e le proprie proiezioni oniriche, caricate anche da presenze fisiche inquietanti che troveranno modo di materializzarsi all’interno della camera da letto, divenuta la sua prigione.
Lo stile è quello solito di King: ottimo, ottimo, ottimo. Al contrario di molti altri suoi romanzi, questo è più contenuto e non si sono eccessive digressioni, se non in rari casi e ciò lo rende ancor più scorrevole, ma non meno denso.
La trama regge e sa far raggelare davvero il lettore. Non tanto per la presenza di figure inquietanti, che si andranno a scoprire durante la lettura e che sono tipiche della narrativa “kinghiana”, ma quanto per il viaggio introspettivo di Jessie, la rievocazione dei suoi dolorosi ricordi, delle sue paure, dei suoi incubi che invadono la sua mente e tutta la stanza. Lo definirei un libro claustrofobico, che proietta personaggio e lettore dentro una singola stanza senza volerli far più uscire.
L’orrore che un lettore vive, in questo romanzo, è la coscienza che può accadergli qualsiasi cosa in qualsiasi momento, anche durante un semplice ed innocente rito quotidiano e che la sua vita si possa trasformare in una vera e propria guerra per la sopravvivenza.
Lo consiglierei? Sì, sì ed ancora sì. Questo romanzo non può che rientrare tra le letture degli appassionati dell’horror. Strasuggerito.
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Le Manette di Jessie
Con questo romanzo King si rimette in gioco esplorando nuove frontiere dell'orrore, agendo scostandosi dalle tematiche che fino ad allora (siamo nel '92) avevano permesso di elevarlo al rango di indiscusso Re del brivido.
"Il gioco di Gerald" è una sfida, quella di raccontare la storia aderendo ad una staticità dalla quale è impossibile divincolarsi, che sarebbe poi quella di Jessie, donna di mezza età finita legata ad un letto con il bavoso marito schiattato accidentalmente durante una sessione erotica piuttosto spinta.
Il problema è come liberarsi da quelle manette che la costringono alla prigionia: non può raggiungere le chiavi e intorno al cottage in cui si trova i turisti latitano, considerata la lontananza della bella stagione.
La componente orrorifica, come non bastasse la situazione disperata, è garantita dalle minacce materiali giunte ad insidiare la malcapitata. Quella portata da un grosso cane attirato dall'odore di morte, e deciso a banchettare con il cadavere del defunto consorte, ma soprattutto con l'inquietante uomo deforme apparso silente ai bordi del letto. Questi personaggio tipicamente maligno ed associabile alla mitologia kinghiana ma a suo modo particolare, con una storia di morte e malattia fisica/mentale rivelata in parallelo a quella di Jessie.
E' tuttavia il viaggio introspettivo a interessare maggiormente King, anche perchè in esso è celata la chiave metaforica -e non- per la libertà, unico mezzo per affrancarsi dalla sempre più dolorosa morsa del metallo e da una situazione ormai tragica.
La mancanza di cibo e soprattutto di acqua iniziano a farsi sentire, il dormiveglia e il sonno si fondono in stati allucinatori sospesi tra realtà e squarci onirici dettati da un corpo in sofferenza, da cui si determinano reminiscenze poco piacevoli in cui la donna ricorda come in fin dei conti è stata vittima incatenata al male sin da giovinetta.
Ha così inizio una battaglia contro i fantasmi del suo passato, per far cedere la morsa suii polsi e per spezzare quella catene per troppo tempo accantonate in un angolino, ma subdolamente presenti nel direzionare il suo vissuto.
Il romanzo soffre di qualche battuta a vuoto e di alcuni passaggi inutilmente prolissi (solita pecca anche del miglior King) ma si dipana abbastanza bene riuscendo ad avvincere discretamente. Un prodotto medio, un tentativo abbastanza riuscito di trovare nuove vie narrative da parte dell'autore.
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Ogni gioco è bello quando dura poco...
Uno dei pochi libri di King che non avevo ancora letto e che mi è capitato, quasi per caso, tra le mani in biblioteca.. e ne ho approfittato.
Anche perchè dopo le sue recenti produzioni letterarie, a mio parere di scarso valore, fa piacere riscoprire lo stile e la genialità delle sue opere più datate.
Perchè sono pochi gli scrittori che come King possono riuscire a costruire un romanzo di circa 400 pagine ambientato in una camera da letto, con una sola protagonista che vi giace nuda, ammanettata per quel gioco voluto dal marito Gerald che per lui si conclude tragicamente sin da subito e per lei si trasforma invece in un incubo, in una lotta disperata per la sopravvivenza fisica e mentale.
I suoi nemici non saranno solo la sete, la fame, i crampi ed il dolore determinato dalla sua 'crocifissione a letto' ma anche i ricordi del passato, tenuti sino ad allora ben nascosti in un angolo della sua mente in cui neanche lei ha il coraggio di accedervi ma che ora riaffiorano violentemente superando tutte le barriere sino a quel momento erette che crollano nella precarietà di quella situazione.
E con grande maestria King genera tensione dalle paure di questa donna, dagli spettri della sua mente che sembrano quasi materializzarsi nelle ombre della notte... l'orrore reale dovuto al cane affamato (per fortuna solo affamato e non 'arrabbiato' come Cujo) che dilania il corpo del povero Gerald è niente confrontato al terrore per la 'morte' incombente che gradualmente si concretizza nella sua mente.
Ecco, un consiglio per le appassionate di giochini erotici... quando vi fate ammanettare non serrate troppo le manette e tenetevi sempre un cellulare a portata di .. naso.
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Il Cowboy dello spazio
Jessica Burlingame (nome da nubile Jessica Mahout) decide di accontentare sessualmente suo marito, concedendogli di ammanettarla al letto per poter soddisfare una sua fantasia erotica. Peccato che quello stallone di suo marito ha pensato bene di farsi venire un infarto prima ancora di cominciare, lasciando la sventurata Jessie legata a letto e impossibilitata a raggiungere le chiavi delle manette. Da qui inizia una disperata ricerca di un modo per liberarsi sia dalla trappola esteriore, ma soprattutto da quella trappola interiore che è un grave trauma infantile, che ha influito non poco sulla sua serenità mentale. Come se non bastasse, arriva a farle visita un losco figuro, che in mancanza di altre informazioni, Jessie chiama il Cowboy dello Spazio, che contribuisce non poco a farle dubitare delle sue capacità di intendere e di volere. Sarà una discesa a capofitto verso la follia, o l'opportunità di liberarsi da un pesante fardello emotivo e trovare la strada per la sopravvivenza? Coinvolgente, inquietante, introspettivo. Un libro da dieci e lode.
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Inquietante
Una situazione estrema, una donna rimane incatenata al letto dopo un gioco erotico finito male... Vi rimane per un certo tempo e avrà visite... inquietanti soprattutto queste ultime! Bel libro, si lascia leggere piuttosto bene grazie ad un King che sa sempre condurre magistralmente i suoi racconti. La storia è spezzata in due tronconi: le vicissitudini della donne legata al letto nei suoi tentativi di liberarsi e nella seconda parte... la descrizione di cosa è andata a trovarla. Se questo rende il libro non lineare cambiando completamente ambientazione, converrete con me una volta finito che non potevate sapere chi o cosa fosse il visitatore... o forse sarebbe stato meglio?
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Gelato al sugo di carne
La struttura di questo romanzo ricorda molto: “La bambina che amava Tom Gordon”, dello stesso autore. Due romanzi che parlano con rispetto dell’infanzia. Due romanzi costruiti sul niente. Due romanzi insoliti, appassionanti. Costruire sul niente (un niente relativo, ovvio) per qualcuno è un difetto. Per me è un’arte rara, che apprezzo molto.
Gran parte del romanzo è occupato dal personaggio principale: Jessie, una donna imprigionata in un letto da un paio di manette. Il marito, Gerald (sì, il gioco l’ha inventato lui), muore quasi subito. L’intera narrazione si svolge per la maggior parte in questa stanza da letto, che si trova in una casa isolata, molto isolata. Nessuno può aiutare Jessie a liberarsi. I ricordi, le emozioni e il corpo di Jessie; un cane e un’apparizione notturna costituiscono le presenze vive principali dell’intreccio. Poi c’è la stanza, con gli oggetti che contiene. Una mensola. Un bicchiere. Un telefono. E quelle manette.
Si tratta di un romanzo claustrofobico, senza ombra di dubbio. Costruito sul niente, imprigiona senza scampo il lettore. La tensione cresce e si trasforma, rende tangibile ogni minimo particolare, fa lievitare un piccolo spazio fino a trasformarlo in un mondo da incubo. Il corpo della protagonista, quasi immobile, si trasforma in un vortice di azioni, reazioni, sensazioni. E poi c’è la memoria; ma anche quella ruota intorno a un solo centro di gravità.
L’infanzia di Jessie. Il suo occhio infantile. King è stupefacente nel tradurre e raccontare il pensiero dei bambini. Per la piccola Jessie le emozioni adulte sono “stravaganti cocktail”, miscugli poco appetitosi di ingredienti non compatibili con il buon gusto infantile, come “gelato e sugo di carne, pollo arrosto ripieno di caramelle al gusto di agrumi”. Incatenata in un letto, Jessie può finalmente tornare a rivedere i personaggi della sua infanzia con i suoi occhi di adulta, per mettere in parole l’evento catastrofico che forse l’ha accompagnata fin là, in quel letto che la imprigiona e la tortura.
Lo stile di quest’opera è spesso eccellente e originale (ho apprezzato molto le espressioni messe in risalto dalle parentesi), ma a volte si perde e perde tono, soprattutto nelle similitudini troppo pesanti (”come se si fosse immersa in una piscina popolata di cuccioli di squalo e se ne fosse accorta appena in tempo da salvarsi le estremità inferiori”). Ma l’espediente narrativo che più ho apprezzato sono le “voci” della protagonista, che esprimono alla perfezione il dramma e il punto di vista femminile (un’altra delle caratteristiche più importanti del romanzo): “«Sei noiosa, Mogliettina», la interruppe Jessie. Non ricordava se avesse mai risposto a voce alta a uno di quei suoi interlocutori interiori. Si domandò se fosse un segno di pazzia. Concluse che non gliene importava un fico secco, non in quel momento.”