Il gioco della notte
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Recensione della Redazione QLibri
Assassinio allo specchio
L’ultimo thriller della nota scrittrice svedese Camilla Lackberg non preannuncia un delitto, un crimine o un fatto di sangue, oggetto di intervento da parte dell’investigatore di turno, nemmeno ci presenta un mistero.
Racconta invece di una festa, più o meno innocente, con qualche trasgressione e parecchie esagerazioni con l’alcool, ma niente di che, a ben pensarci, dopotutto è un giorno di festa, anzi di una delle feste istituzionali più sentite in tutto il mondo, il Capodanno, e come si suol dire, semel in anno è lecito andare sopra le righe.
Una festa in casa tra giovani, dove per casa per meglio dire intendiamo una lussuosissima villa, una di quelle strabilianti costruzioni hollywoodiane, talora ricchissime quanto pacchiane, piantate su pilastri a guisa di eccentriche palafitte, tutte saloni e vetrate a parete intera, da dove lo sguardo scorre libero su scenari e panorami mozzafiato, specchiandosi isomericamente sulle analoghe costruzioni dei vicini sodali nel benessere.
“…Le ville sono imponenti, affacciate sullo stretto. Le più belle hanno la spiaggia privata, naturalmente…le grandi finestre panoramiche diventano come degli acquari in cui vivono i ricchi”.
Una festicciola per pochi intimi, quattro giovanissimi, due ragazzi e due ragazze, amici intimi tra di loro potremmo dire dalla culla:
“…abbiamo sempre fatto tutto in quattro…perché eravamo i più rovinati. Perfetti e funzionanti all’esterno, ma tristi e danneggiati dentro…”
Mentre nella villa di fronte, a portata di vista, date le enormi vetrate illuminate a giorno, si svolge un analogo festeggiamento di fine d’anno, presenti i genitori dei quattro giovani, che pure sono soliti frequentarsi, coltivare tra loro rapporti di amicizia come accade tra i loro ragazzi.
Dopo tutto, si tratta di pari grado dell’agiata classe capitalistica del paese, imprenditori di successo, affaristi, professionisti arrivati.
Insomma, una gran festa di membri affermati della ricca, opulenta, società svedese, uomini in smoking e donne ingioiellate con tanto di capi firmati di alta sartoria.
Sono presenti qui, equamente divisi, adulti da un lato e giovani dall’altra, le famiglie al completo degli enfant prodige di un capitalismo sfrenato, disinvolto nell’accumulo di denaro e nell’arroganza mostrata. La ricchezza sfrenata esibita come trofeo che li autorizza a sentirsi padroni senza limiti.
Come spesso succede potere economico e disprezzo per chi ne è privo vanno di pari passo in tutti i paesi del mondo, anche nella Svezia considerata a torto isola felice socialmente parlando.
La ricchezza, specie da speculazione, si accompagna facilmente ad un degrado morale, il lusso fa perdere sempre la testa a chi non possiede maturità per gestirla, né etica né morale, e nemmeno l’intelligenza per capire la sottile e fondamentale differenza tra l’avere e l’essere, tra il possedere valori ed essere il valore di quanto si possiede.
In estrema sintesi, il romanzo della Lackberg, o per meglio dire il racconto lungo della scrittrice svedese, trattandosi di un volumetto di poco più di un centinaio di pagine, focalizza un primo ambiente, quello dei “grandi”, tratteggia gli adulti lì presenti, ricchi e meschini, arrivati ma egoisti, egocentrici e villani, sono radunati qui adulti che a torto o a ragione perdono progressivamente la loro umanità man mano che progrediscono nella scala della ricchezza, divengono miseri e miserabili malgrado i mezzi, il denaro, la posizione raggiunta.
Restano primitivi delle caverne, malgrado le ville, accecati dal loro egoismo, dalla loro avidità, dal loro individualismo, perciò sono vili e spregevoli, e come tali criticati, se non disprezzati, dalla rispettiva prole, per le loro mancanze nei loro confronti.
Esistono famiglie in cui, sollevato il velo delle apparenze, si scopre un verminaio insospettabile, comportamenti crudeli ed aberranti, e i figli, i giovani, per definizione i più fragili ed innocenti, sono sempre vittime di questo tipo di genitori.
I loro comportamenti non sono solo anaffettivi, e sarebbe il meno, infatti adulti che dovrebbero fungere da guida ed esempio spesso sotto l’egida della famiglia compiono autentiche nefandezze, sono disastrati e disastrosi, le loro azioni nei confronti dei figli sono sempre gravissime, tanto di più quando si tende a tenerle nascoste da una patina di perbenismo e correttezza di ipocriti modi d’essere e di vivere.
Come in tutte le feste con famiglie amiche, si provvede a sistemare gli adulti ad un tavolo ed i bambini ad un tavolo a parte, solo che dato il livello di sfrenata ricchezza a cui appartengono i protagonisti di questa storia, non di tavoli si parla ma di ricche ville adiacenti.
Ed ai giovani non vengono distribuiti cibi più semplici, il raffinato catering distribuisce comunque a entrambe le dimore aragoste, caviale, champagne, cibi pregiati e vini costosi, e nel malaugurato caso finissero le scorte, la dispensa di casa è naturalmente fornitissima di ogni ben di Dio, e del più costoso anche, si tratta in ogni modo di giovani della borghesia agiata e privilegiata.
Giovani che, quasi volessero dimenticare le sofferenze patite dai congiunti, che festeggiano laidamente nella villa adiacente, si rifugiano nel loro mondo, cercano scampo nei momenti felici dell’età dei giochi, giochi da ragazzi, e quindi, manco a farlo apposta, trascorrono le ore prima del cambio d’anno cimentandosi nel gioco dei ragazzi per antonomasia, il Monopoli.
Il quale è come una sorta di cammino di vita capitalistica, un accumulo di beni, case, terreni, costruzioni, inevitabilmente ai giovani viene in mente il loro futuro a simile guisa, letteralmente soccombono alla paura, al terrore, di divenire adulti spregevoli esattamente uguali ai congiunti che vedono festeggiare dall’altra parte delle vetrate. Degni eredi dei loro killer, destinati a divenire tali.
Davanti ai loro occhi scorre un vero e proprio assassinio allo specchio, si prefigura un destino abietto di identificazione coatta in modi di essere che li hanno straziati a dismisura nel fisico e nel morale.
Il Monopoli, a cui hanno sostituito alle inutili banconote false, obblighi di dirsi la verità e pegni rivelatori che inconsciamente li portano a deflagrare, li ispira, confessandosi a vicenda i torti, le sofferenze e gli abusi subiti, fa da catarsi, da input ad agire per riprendersi in qualche modo le redini della loro esistenza.
“Segreti e bugie vengono portati alla luce, dipanati di fronte agli altri. Scoppiano come bolle.”
Solo che crescere educati in un certo modo, innesta comunque modi errati di risolvere le questioni, difficilissimi a sradicare, specie quando non si ha ancora raggiunto un certo grado di maturità, che rappresenta poi la vera liberazione di una persona.
Il racconto della Lackberg in verità non stupisce, non presenta colpi di scena o lieta fine liberatoria.
Resta però un buon romanzo, scritto bene, con personaggi tracciati in poche linee ma a tinte marcate, un racconto lungo, e forse per la sua brevità non particolarmente esauriente del discorso.
Pieno di dolore, di violenza, di brutalità, ci presenta una realtà appena sorta, perciò pulita ed innocente, sporcata, screziata irrimediabilmente dall’egoismo e dalla meschineria altrui, ancora più perfida perché proviene dalla famiglia, che dovrebbe essere rifugio sicuro, affettuoso ed accogliente, dove genitori e figli giocano insieme all’aria aperta, di giorno.
Non un coacervo di perfidie, un gioco della notte, da tenere nascosto, come la vergogna che è.
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Mystery per solutori impazienti
Per questa recensione voglio cominciare chiarendo un dubbio che mi era sorto qualche tempo dopo aver acquistato "Donne che non perdonano"; avevo infatti scoperto che questo era il secondo libro in una duologia composta anche da "Il gioco della notte", uscito tre anni dopo ma indicato ovunque come il primo capitolo in questa fantomatica serie. Dopo aver letto entrambi desidero rassicurare chiunque sia interessato a recuperarli: non si tratta in alcun modo di due storie collegate! semplicemente l'editore svedese ha ben pensato di farne un'edizione bind up, unendo le due novelle in modo del tutto arbitrario, soltanto perché tutte e due raccontano episodi di vendetta familiare.
Ma passiamo nello specifico a questo fantomatico prequel, o forse sequel. La vicenda si svolge nell'arco di una sola notte a Skuru, una località nella contea di Stoccolma: è l'ultimo dell'anno ed un quartetto di ragazzi si riunisce per festeggiare. Liv, Max, Martina e Anton sono amici fin da bambini ma alcune esperienze traumatiche li hanno portati ad allontanarsi negli ultimi tempi; un gioco da tavolo, tanto alcool e qualche sostanza non meglio identificata sono la miccia che da voce ai loro sentimenti, tra i quali spicca il risentimento verso i genitori, a loro volta impegnati in una festa nella villa vicina.
Preferisco parlare subito e in breve dei lati positivi di questa lettura, per poi passare ai motivi per cui la ritengo a dir poco problematica. Di certo è un libro che si legge con grande facilità e molto velocemente; si lascia divorare al tal punto che potreste perfino essere così fortunati da non fare troppo caso ai passaggi più fastidiosi della narrazione. Un altro elemento a suo favore sono le prospettive dei quattro protagonisti, che permettono di capire come ognuno reagisca alle azioni degli altri. Se poi vi piace leggere di famiglie ricche e snob che nascondono più di uno scheletro nell'armadio, potreste farvi qualche gustosa risata alle spalle dei personaggi.
E ora, con la coscienza messa a tacere, posso dilungarmi sui motivi per cui questo titolo mi ha fatto perfino rimpiangere "Donne che non perdonano", con il quale in realtà condivide il difetto principale, ossia la superficialità nell'affrontare temi molto pesanti. Nello specifico, qui Läckberg vorrebbe parlare di pedofilia, violenza domestica e disagio adolescenziale, il tutto viene però trattato con una tale fretta da rendere impossibile approfondire alcunché, lasciando anzi il lettore nel dubbio di non aver neanche capito bene cosa sia successo.
Arriviamo così al secondo problema, ovvero le incongruenze nella narrazione, sulle quali la cara Camilla mette spesso un grosso cerotto (cit.) facendo cambiare idea ai personaggi da una pagina all'altra, senza neppure prendersi la briga di trovare una motivazione. Liv detesta Anton perché la definisce puttana un giorno sì e l'altro pure? nessun problema: basta che lui le chieda scusa a caso e lei scoprirà di amarlo! Non sono poi riuscita a rimanere seria di fronte ad alcuni dialoghi, troppo compassati e formali considerando che i protagonisti sono degli adolescenti completamente ubriachi e fatti.
L'ultima problematica riguarda proprio l'età dei personaggi principali, che ha spinto alcuni lettori ad etichettare il libro come YA: nulla di più sbagliato! Non solo perché il ritratto del comportamento adolescenziale risulta molto approssimativo, ma soprattutto per il modo frivolo con cui vengono tratteggiate le situazioni difficili in cui si trovato i quattro ragazzi, affrontandone alcune male e sorvolando sulle altre come se l'autrice se ne scordasse tra una pagina e l'altra.
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Un gioco diseducativo e terribile
Camilla Lackberg torna in libreria con Il gioco della notte, un libro che sconcerta per la storia narrata.
E’ la notte di Capodanno e quattro amici di sempre, Max, Liv, Anton e Martina, la trascorrono insieme. Dirimpetto a loro i genitori che fanno lo stesso. Qual è il gioco della notte? E’ un monopoli un po’ diverso, con regole tutte sue, che costringe i partecipanti a mettersi a nudo, con tutte le loro angosce e difficoltà di vita. Già, perché loro sono ricchi e felici. Ma lo sono davvero? Quando le maschere cadono resta solo odio e dolore. Ma sono troppo giovani per sopportare e allora ordiscono un piano perfetto. Terribile ed impensabile. Quale?
Un libro giallo ricco di odio e rancore sotterraneo, quello non espresso ma coltivato con passione, giorno dopo giorno e lentamente, quello che cova sotto la cenere. Quello che devasta e distrugge. Quello che porta ad affermare che “ogni famiglia è infelice a modo suo”. Qui, però , colpisce di più sia per la sua pianificazione priva di sentimento, amorfa e dalle conseguenze devastanti, che per altro. Un libro breve, che tuttavia non entusiasma per qualità letteraria. Né entusiasma il messaggio finale, diseducativo e poco concreto. Una scrittrice che sta perdendo di verve e di qualità. Un libretto che sembra scritto per obbligo e di nessuna pregnanza letteraria.