Il gioco del mai
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Il cacciatore di ricompense
Colter Shaw si guadagna da vivere riscuotendo le ricompense offerte da parenti o dalla polizia per ritrovare persone scomparse o fuggitive. Non è un “cacciatore di taglie” propriamente detto, lui si limita a rispondere agli avvisi di coloro che, disperati per la scomparsa di un proprio caro, offrono premi, non sempre consistenti, per poter sapere che cosa gli è accaduto.
Ma Colter ha pure una sua missione personale: scoprire cosa effettivamente avvenne 15 anni prima, quando fu proprio lui a trovare suo padre, Ashton, morto precipitato giù da un dirupo nella loro sconfinata tenuta ai piedi della Sierra Nevada, mentre il fratello maggiore Russell era scomparso nel nulla.
Proprio per proseguire nelle sue ricerche si era recato in California, per recuperare in modo non
propriamente lecito alcuni documenti che il padre aveva lasciato all’università di Berkley e che dovrebbero aiutarlo a risolvere il dilemma che lo assilla. Qui viene raggiunto dalla telefonata della sua agente: nella vicina Silicon Valley un uomo disperato, Frank Mulliner, sta offrendo 10.000 dollari a chi gli ritroverà sua figlia Sophie misteriosamente svanita nel nulla alcuni giorni prima.
Colter dopo un colloquio con Mulliner, decide di accettare l’incarico. Con le sue indagini, si ritroverà proiettato nel mondo delle software-house di giochi dove, spesso, si usa ogni stratagemma, pure sleale, per ostacolarsi e strapparsi utenti. Però, in quello strano microcosmo, i giocatori sono così assuefatti alle avventure “sparatutto” da trascorrere la maggior parte del loro tempo incollati a monitor pieni di alieni feroci e astronavi da guerra e, forse, uno di loro è così assorbito da quella realtà virtuale che potrebbe non aver neppure più chiaro quale sia il confine tra le ambientazioni fictional e il mondo reale. E se il rapitore di Sophie stesse proprio cercando di riprodurre “dal vero” le avventure de “L’uomo che sussurra”, uno dei giochi survival più gettonati?
Con “Il gioco del Mai” Jefferey Deaver dà inizio alla serie di romanzi con protagonista l’insolito personaggio di Colter Shaw, un cercatore di persone scomparse che accetta anche gravi rischi personali per la ricompensa promessa, ma soprattutto per il suo senso innato di giustizia che lo spinge a proseguire l’attività anche gratuitamente o accettando pagamenti ridotti o rateali dai clienti. Per la sua missione personale, poi, profonde tutte le sue energie.
Con uno stile fluido e diretto l’A. ci proietta nel mondo delle varie devianze che affliggono il nostro mondo moderno (un tema presente in questo libro, ma che si ripeterà anche in quelli successivi). La prosa scorre rapida e avvincente, forse afflitta solo, all’inizio, dalla tipica pedanteria di certi autori americani che si sentono in dovere di precisare ogni minimo particolare della scena, e dei suoi attori, dalla marca del berretto o delle scarpe indossati alla tipologia di caffè sorbito in un bar. Però, una volta che l’avventura si è ben sviluppata, questa minuziosità, un po' sfibrante, non si nota più.
Il personaggio di Colter, probabilmente è un po’ troppo sopra le righe, troppo perfetto, troppo lucido, troppo esperto nelle tecniche di sopravvivenza al punto di assomigliare più a un supereroe che a un normale essere umano. Comunque in questo genere di romanzi è appagante scoprire che il personaggio principale sappia sempre come cavarsela, qualunque situazione pericolosa si trovi ad affrontare. Dà una connotazione rassicurante alla lettura.
La trama è ben strutturata e non ha cali di interesse. Magari il lettore che amasse anticipare gli esiti potrebbe pure fare ipotesi non infondate su quale potrebbe essere l’epilogo della vicenda, ma tra colpi di scienza non certo scontati e deviazioni della trama il romanzo conserva la sua piacevolezza fino in fondo.
Forse l’unica cosa che lascia un po’ insoddisfatti è la vicenda personale di Colter, che resta volutamente irrisolta come un fil-rouge per costringe il lettore a una forzosa fidelizzazione alla serie.
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L'uomo che sussurra
Le sue storie sono sempre geniali. A furia di leggere il suo stile ti metti nell’ottica di immaginare come colpevole il personaggio più insospettabile e comunque l’autore è sempre capace di sorprenderti. Con questo thriller Deaver inaugura una nuova serie, con un protagonista una specie di cacciatore di taglie, che, con la sua ostinazione nel calcolo delle percentuali di probabilità, ricorda l’ossessione di Lincoln Rhyme per le sue lavagne riassuntive degli indizi. Il ritmo di questa trama è molto alto. Ci fa entrare in contatto con il mondo dei giovani che perdono la loro vita dentro i videogiochi. Ci regala vere e proprie perle di vita, di cui la trama è costellata, vere e proprie regole di sopravvivenza fisica, scritte tutte in corsivo, che danno un senso completo al titolo del libro. Ci offre uno spaccato ampio sulla società moderna, senza giudizi e senza pregiudizi. E ci insegna anche qualche parola del gergo dei nerd.
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I videogiochi possono generare violenza?
Gli autori americani di gialli che preferisco sono, nell’ordine, John Grisham (ho una speciale predilezione per i legal thriller), James Patterson (soprattutto dopo aver letto due dei suoi ultimi libri, “Il presidente è scomparso” ed il geniale “Instinct”) e, in terza posizione, Jeffery Deaver (un po’ macchinoso e dispersivo). L’ultima fatica di Deaver, “Il gioco del mai” (meglio il titolo inglese “The never game”), conferma la posizione che gli ho assegnato nella mia ideale classifica: non gli ha giovato aver (temporaneamente?) abbandonato il suo collaudato duo di protagonisti (Lincoln Rhyme e Amelia Sachs) per inventarsi un nuovo personaggio, Colter Shaw, una figura singolare di investigatore che si guadagna da vivere cercando persone scomparse. Possiede una specie di camper, va dove lo chiamano, incassa una pattuita ricompensa (non è esoso, si accontenta anche di pagamenti rateali) e fa in sostanza capire che non agisce per soldi ma per la soddisfazione di compiere opere meritorie tentando in ogni modo di riportare a casa vittime innocenti di rapimenti. Del resto, fa intendere che vive anche di altre attività, non ben chiarite, e che si giova di alcuni fidati collaboratori che lo aiutano cercando dati e notizie sulle persone scomparse. Nel romanzo il nostro protagonista è alle prese con strani sequestri di persona: il rapitore che, si capirà in seguito, lavora in una grossa azienda di videogiochi, vuole rivivere nella vita reale episodi di realtà virtuale visualizzati in un videogioco (“L’uomo che sussurra”), utilizzando sadicamente il rapito come cavia e seminando indizi nei luoghi più strani. Il bravo Colter Shaw si impegna al massimo, riuscendo a salvare (ma ci scappa un morto!) una prima ragazza rapita, fallendo la ricerca di un secondo rapito (ma si vedrà che è un sequestro anomalo, che nasconde ben altre implicazioni ad altissimi livelli), dando infine il meglio di sé nel rocambolesco salvataggio di una giovane in procinto di annegare. Insomma, non mancano momenti emozionanti e colpi di scena, anche perché il vero colpevole sa mascherarsi molto bene ed altri personaggi ben più in evidenza nel romanzo sono via via sospettati dei sequestri.
La vicenda si svolge in California, con epicentro nella Silicon Valley, luogo dove è nata e si è sviluppata la maggior parte delle più famose aziende high-tech e dove prospera la ricerca scientifica più avanzata nel campo della tecnologia dell’informazione con imprese all’avanguardia anche nel redditizio e sfavillante mondo dei videogiochi: saloni giganteschi, schermi enormi, centinaia di persone che si cimentano alle prese con strabilianti avventure virtuali. In questo ambiente Colter Shaw riesce a scovare il rapitore seriale, dopo difficoltà e depistaggi di ogni genere. Il thriller, tutto sommato, sta in piedi, ma manca a mio parere quella costante tensione emotiva che era la caratteristica dei precedenti gialli di Deaver. Sarà forse il continuo riferimento a particolari tecnologici a volte di difficile comprensione oppure saranno le ampie digressioni riguardanti la vita giovanile del protagonista ed i complicati rapporti con il padre: fatto sta che il ritmo della narrazione a volte risulta un po’ rallentato e privo di quella “spinta” che induce l’abituale lettore di gialli a continuare la lettura.
E’infine interessante l’introduzione al romanzo, che riporta un parere dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sul cosiddetto “gaming disorder”, un comportamento che può portare alla perdita del controllo dell’attività ludica fino al disinteresse delle attività quotidiane in una continua escalation dalle conseguenze negative. Ma c’è anche il parere del game designer della Nintendo, che recita testuale ”I videogiochi fanno male? Lo dicevano anche del rock’ n’ roll!” Anche lo stesso Jeffery Deaver, in un’intervista, non ha un atteggiamento pessimista sui videogiochi, che possono sì creare dipendenza ma non inducono alla violenza: anzi, sostiene l’autore,in taluni casi hanno un effetto positivo su soggetti autistici, dislessici o con problemi di apprendimento. In sostanza: leggete il mio romanzo, ma sappiate ovviamente che è fantasia e finzione.