Il giardino delle rose
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Priya e le rose bianche di maggio.
Gli agenti speciali Vic Hanoverian, Brandon Eddinson e Mercedes Ramirez, il terzetto di investigatori FBI che ha risolto lo straziante caso del Giardiniere e del suo Giardino delle Farfalle, sono ancora alle prese con gli strascichi dell’indagine. Devono raccogliere tutte le prove e la documentazione necessarie alla pubblica accusa per istruire e blindare il processo in modo inattaccabile. Ma debbono pure trasmettere forza e sicurezza alle ragazze farfalla sopravvissute all'esplosione finale e, purtroppo, accompagnare all'ultimo riposo coloro che, nonostante tutto, non ce l’hanno fatta a superare il trauma e si sono suicidate.
Malauguratamente il modo del crimine non si arresta ed il terzetto di Quantico ha un altro caso per le mani su cui indaga da anni senza giungere ad una soluzione.
Negli ultimi sedici anni si ripete con angosciante regolarità lo stesso macabro rituale ogni primavera. Durante il pieno fulgore della stagione viene rinvenuta entro una chiesa una ragazza nuda con la gola tagliata, i vestiti diligentemente ripiegati, il corpo composto, circondato da fiori sempre diversi per tipologia, ma sempre collocati attorno al cadavere con studiata cura.
Priya Sravasti, una caparbia e risoluta diciassettenne di origini indiane, trovò così il corpo della sorella Chavi cinque anni fa. Da allora Eddison l’ha presa quasi sotto tutela, forse perché gli ricorda la sorellina misteriosamente scomparsa. È costantemente in contatto con lei per evitarle crolli psicologici. Mentre Priya e sua madre Deshani (unica sopravvissuta alla tragedia) sono costrette a spostarsi continuamente di città in città per sfuggire al killer, Brandon continua a dedicare ogni momento disponibile allo studio di quei sedici casi irrisolti.
Improvvisamente gli eventi subiscono una minacciosa accelerazione: Priya comincia a trovare davanti all'uscio di casa mazzi di fiori nella medesima sequenza in cui sono stati deposti sui cadaveri delle altre ragazze. Viene posta sotto sorveglianza l’abitazione, ma, nonostante gli sforzi, l’identità del serial killer rimane ignota e ormai sono stati recapitati tutti e sedici i bouquet…
“Il Giardino delle Farfalle” è uno dei più sconvolgenti thriller che io abbia mai letto. L’A., Dot Hutchison, nonostante fosse al suo esordio, è riuscita a narrare, con una tecnica ed una abilità da veterana, quelle vicende agghiaccianti in modo mirabile catturando l’attenzione del lettore in un climax spasmodico. Lo stile coinvolgente e mai banale ha dato vita ad un capolavoro ineguagliabile.
Proprio per questo motivo, avvicinandomi a questo secondo volume della trilogia dei Collezionisti, ero pieno di aspettative, ma anche di timori. Era forte il desiderio di incontrare nuovamente la prosa efficacissima dell’A. pur nel timore di riaffrontare quella morta gora oppressiva, quell'atmosfera cupa e minacciosa che pervadeva tutto il romanzo d’esordio e che si appiccicava in modo sinistro al lettore.
Tuttavia c’era anche la preoccupazione di restare deluso da qualcosa al di sotto delle pretese, ad un seguito inferiore per qualità e tematiche, giacché il primo volume aveva raggiunto vette difficilmente eguagliabili.
Il Giardino delle Rose mi ha piacevolmente sorpreso. Mi aspettavo un romanzo giocato sui medesimi temi e con i medesimi meccanismi narrativi del precedente. Invece, con un coraggio a dir poco temerario, ma encomiabile, l’A. reinventa sé stessa e muta completamente lo stile. Nelle “Farfalle”, la storia era tutta narrata al passato, con ritmi lenti, ossessivi e tortuosi, al seguito dei ricordi incerti e mescolati di Inara (una delle sopravvissute). Era attraverso le sue parole strazianti che ci si calava nel cupo labirinto di terrore e brutalità del Giardino, reso ancor più terrifico dal tanto non detto, ma meramente accennato, suggerito, lasciato all'immaginazione del lettore con un sapiente gioco psicologico.
In questo romanzo, invece, tutto è palese, tutto è mostrato senza pudori. Anche il colpevole, in fondo, è relativamente facile da intuire.
I veri protagonisti di questa storia sono i sentimenti dei protagonisti che vengono accuratamente descritti, analizzati, sviscerati con paziente dedizione. Da notare, con ammirazione, come l’A. si curi di riprendere in mano anche la vita dei personaggi della storia precedente per mostrare che, con la parola fine, non cessano i traumi e le ansie: nella vita reale per le vittime non esiste un “happy end” che risolve tutto l’insoluto e dischiude orizzonti di pace e tranquillità. Il passato è sempre presente in noi e torna ad angosciarci, a tormentare i nostri ricordi.
La narrazione, così, ci mostra quattro mesi di vita di Priya, ma anche il difficile “dopo” di Inara e Bliss e lo strazio professionale degli agenti consapevoli della loro impotenza ed inadeguatezza nel risolvere quelle inchieste che sono anche casi umani.
Le sensazioni di Priya sono analizzate dalla stessa, in prima persona, con onesta sincerità. I crimini precedenti sono descritti senza reticenze, ma anche senza un sadico indulgere sui particolari. Il lavoro investigativo è seguito minuziosamente in contemporanea con i detectives.
Il pathos, la tensione sono instillati con puntualità, in questa gara contro il tempo nella quale il timer è nelle mani dell’assassino il quale, solo, può stabilire i ritmi con cui procedere.
Il personaggio di Priya è splendido, terribilmente umano e terribilmente realistico, con i suoi crolli psicologici e le alzate d’orgoglio e fermezza d’animo. Pur con la mente tormentata dagli atroci ricordi (la scoperta del cadavere della sorella, di quello del padre suicida per dolore, la morte dell’amica, vittima “collaterale” del maniaco), ci svela una personalità notevolissima, ammirevole ed invidiabile.
Ma anche gli altri protagonisti vengono descritti e studiati con cura ed intelligenza: la mamma Deshani, granitica, che si erge a baluardo della ragazzina, contro tutto e contro tutti; l’agente Eddison che ci mostra come, dietro al distintivo, esista il suo lato umano, paterno e affettuoso, in continua apprensione per le sorti di Priya di cui si sente intimamente responsabile; Inara e Bliss, le vittime del Giardiniere, preda spesso della loro furia contro il mondo, ma fermamente intenzionate a farcela.
Insomma si tratta di un ottimo romanzo nel quale se anche non si raggiungono le vette de “Il Giardino delle Farfalle” si confermano le grandi doti di narratrice della Hutchison.
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Una postilla per l’angolo del pignolo. Una critica all'editore: per conservare un collegamento con il primo romanzo ha ritenuto di intitolare questo, in modo incongruo, “il Giardino delle Rose” quando, invece, non esiste alcun giardino e le rose appaiono solo nel finale da mere comparse. Il titolo originale “The Roses of May” (Le Rose di Maggio) aveva una forza evocativa e minatoria ben più efficace e precisa.
Una critica alla traduzione: nel primo romanzo l’amica di Inara era stata rinominata Felicia, mentre in questo conserva il nome originale (Bliss che significa, appunto, gioia, felicità). Questa incongruità determina un po’ di confusione, dal momento che le storie si innestano l’una nell'altra.