Il fondo della bottiglia Il fondo della bottiglia

Il fondo della bottiglia

Letteratura straniera

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Accade molto di rado che Simenon segnali che i personaggi e gli eventi da lui narrati sono «puramente immaginari e privi di qualsiasi riferimento a persone viventi o defunte». Per capire come mai in questo caso ne abbia sentito il bisogno occorre tornare al 1945, quando al fratello Christian, condannato a morte in contumacia per aver coadiuvato le SS in una spedizione punitiva che aveva fatto ventisette vittime, Georges aveva consigliato di arruolarsi nella Legione straniera: un modo per scomparire, certo, e per riscattarsi – ma anche, cambiando cognome, per non compromettere lo scrittore ormai celebre con una parentela imbarazzante. «È colpa tua! Lo hai ucciso tu!» si sentì rinfacciare dalla madre allorché, ai primi di gennaio del 1948, lo stesso Georges le comunicò la morte, nel Tonchino, del figlio preferito. Nei mesi immediatamente successivi, quasi volesse espellere i propri fantasmi, Simenon scrisse due dei suoi romanzi più neri e potenti: La neve era sporca e Il fondo della bottiglia. In quest'ultimo, uno stimabile avvocato, che è riuscito, partendo dal basso, a conquistarsi un posto nella ristretta comunità dei notabili di Nogales, al confine tra gli Stati Uniti e il Messico, vede vacillare tutte le sue certezze quando gli compare davanti, evaso dal carcere in cui scontava una condanna per il tentato omicidio di un poliziotto, il fratello minore – quello debole, irresponsabile, sfortunato, eppure dotato di un inquietante potere di seduzione –, che gli chiede di aiutarlo a passare la frontiera. Nel piccolo mondo costituito dai ricchi proprietari dei ranch l'arrivo dell'estraneo scatena una sorta di psicodramma, che culminerà in una vera e propria caccia all'uomo, mentre, fra odio e amore, rancori e sensi di colpa, sbronze e scazzottate, si consuma la resa dei conti tra i due fratelli.



Recensione della Redazione QLibri

 
Il fondo della bottiglia 2018-03-01 14:07:51 silvia t
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silvia t Opinione inserita da silvia t    01 Marzo, 2018
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Il fondo della bottiglia

Una luce appiccicosa attraversa il liquido ambrato di un bicchiere, preannunciando la disgrazia e la catarsi.

La sottile apatia tipica del sud degli Stati Uniti, almeno come noi europei siamo abituati a pensarlo, abitata da individui ancora in odor di separazione razziale, bianchi ricchi e domestici neri, ranch e giovenche, cow boy e stalloni.

I tuoni e i lampi che porteranno la pioggia, che ingrosserà i fiumi e che inonderà le strade; l'alcol che placherà la noia delle lunghe ore trascorse in attesa di uno spiraglio di sole e di normalità, che placherà i rigurgiti del passato che è anestetizzato, lontano, in un tempo di cui non si è certi, che sbiadisce al ricordo, rendendolo quasi impalpabile incerto.

Quel passato sotterrato riemerge sotto cumuli di terra e come la mano di un sepolto vivo reclama e pretende la luce e la salvezza.

Quella notte, fatta di alcol, di tuoni, di lampi e di pioggia è il passato a bussare alla porta di P.M stimato avvocato dal passato nebuloso, sposato ad una ricca donna e amico di facoltosi possidenti, con cui giocare a bridge, oziare ai bordi di una piscina o cavalcare in sella ad uno stallone.

In quella notte umida, inospitale e foriera di sventure un uomo reclama la sua libertà e la pretende da P.M., che è invaso da paure ancestrali, sensi di colpa atavici e timori sociali superficiali; di colpo la realtà è distorta, proprio come attraverso un bicchiere pieno di whisky; i colori e le forme si fanno indistinti e il futuro si fonde con un passato che non vuol obliarsi, che non vuol sparire.

La voglia di normalità, di non intaccare il pur precario equilibrio, fa sì che tutto sia una rincorsa a sotterrare qualcosa che recalcitra e non vuol morire, al contrario vuol rinascere e nonostante tutto rinascerà, ma ad un prezzo molto alto.

Se vi troverete tra le mani questo romanzo non aspettatevi il solito Simenon, sarà una lettura amara, odierete ognuno dei personaggi, ma non potrete non assolverli, perché avranno debolezze conosciute e non sarà facile condannarli; li vedrete come pedine di un destino infausto che dovrà compiersi, privi quasi di volontà, incapaci di vedere oltre il proprio protetto mondo.

Un senso di vertigine vi colpirà e il lessico di Simenon, sempre perfetto e mai banale vi sosterrà in questo viaggio, tenendo la flebile fiammella della speranza sempre accesa, fino alla fine.

Conoscere le note biografiche dell'autore aiuterà a comprendere i percorsi mentali che hanno portato alla stesura di questa storia, ma se ne fruisce in modo davvero piacevole anche senza.

Buona lettura, essersi sbronzati fin quasi al coma etilico non è strettamente necessario, ma può essere utile!

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Il fondo della bottiglia 2023-08-04 13:34:17 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    04 Agosto, 2023
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Discesa nel baratro

«Ogni cosa sembra accadere per caso, uno compie i gesti più innocenti del mondo, e proprio quelli gli consentono di bere senza darlo a vedere. È un po’ come nella massoneria, è un linguaggio fatto di segni comprensibili agli iniziati di ogni paese del mondo.»

Quando si parla di Georges Simenon si tende a pensare a lui quale autore del celebre Maigret ma si tende anche a pensare alla sua prolificità di scritti che anche adesso, a distanza di tanti anni dalla sua morte, continuano ad affiorare e ad allietarci. Tuttavia, Simenon è stato un autore estremamente potente anche nella sua scrittura extra Maigret, opere in cui ha sempre evidenziato profondità di tematiche, personaggi vividi e unici, una prosa capace di scavare dentro e di indurre il lettore alla riflessione per mezzo di una narrazione mai giudicante. Simenon, infatti, introduce gli elementi più significativi della narrazione ma poi lascia a chi vi si approccia ogni riflessione, che sia una considerazione o un giudizio morale. Questo fa sì che il conoscitore sia sempre scosso, avvinto e indotto a soffermarsi su quelle tematiche sottese.
Ciò accade anche ne “Il fondo della bottiglia”, lavoro che è bene precisare essere stato composto in un periodo molto particolare della vita del romanziere. Questo volume insieme a “La neve era sporca” è uno dei lavori più cupi e duri di Simenon che in quegli anni stava facendo i conti con la perdita del fratello Christian, condannato in contumacia a morte per aver coadiuvato le SS in una spedizione punitiva che aveva causato la morte di ventisette persone. Ed era stato Simenon stesso a spingerlo ad arruolarsi nella Legione straniera. La madre non mancò, al momento della rivelazione della morte del figlio prediletto, di rinfacciare a Georges della sua responsabilità in merito. Furono dunque mesi duri, caratterizzati da una profonda cupezza per il romanziere e che lo portarono a scrivere questi due scritti quasi come se volesse espiare il fardello, il senso di colpa.
Piccola ma dovuta premessa necessaria per contestualizzare tanto questo scritto che “La neve era sporca” perché tra queste pagine nulla è risparmiato al lettore e ben poco c’è dal punto di vista una prospettiva di salvezza e/o di rivalsa.

«Sarà forse perché anche lui ha bevuto, ma mentre attraversa il soggiorno ha la sensazione che la casa gli ondeggi intorno. E non è solo la casa a tremare dalle fondamenta, ma tutta la sua vita, tutte le sue certezze, raggiunte a così caro prezzo e con tanta ostinazione. Alle sue spalle sente la musica, il suono delle voci e il tintinnio dei bicchieri.»

Ne “Il fondo della bottiglia” siamo in America, in una zona di confine, l’Arizona, con il Messico. Qui vive P.M. con sua moglie Nora, proprietaria di un ranch e di molti altri possedimenti. P.M. è un avvocato, un uomo che nella vita ha cercato di ricostruirsi un volto, che ha cercato il riscatto appartenendo a una famiglia che tutto aveva tranne che i connotati di un luogo sereno in cui vivere. L’uomo non è figlio unico ma con i fratelli non ha rapporti. Cresce con la paura dell’alcol perché ha il ricordo della madre alcolizzata e di quel che ha significato nel suo divenire uomo adulto. Ancora, non rifugge però all’alcol stesso, che assume sempre con quella che lui ritiene essere una calibrata ponderazione. La vita di P.M. cambia in un attimo. Da essere un uomo felicemente sposato con una donna che è quasi più una migliore amica e con una ricerca costante di affermazione in un mondo in cui il debole viene mangiato dal forte ma in cui lui è riuscito a farsi considerare pari, ecco che arriva Donald, il fratello che soprannominerà per cause di forza maggiore Eric con la moglie e gli amici e che è evaso dal Joliet. Donald vuole raggiungere Mildred e i suoi figli in Messico e farà qualunque cosa per riuscirci. È stato aiutato dalla sorella Emily a raggiungere P.M. ma ora è a quest’ultimo che tocca l’arduo compito di portarlo oltre confine. Donald ha avuto un problema con l’alcol in passato, non dovrebbe bere e ancora è stato condannato per omicidio – o presunto tale – per aver sparato a un poliziotto. Da questo momento la vita di P.M. va completamente a rotoli. Ha paura di perdere tutto, si trova imprigionato in una situazione da cui non può uscire fuori se non assecondando e aiutando il fratello, si trova tra “l’incudine e il martello”, prova sempre più astio per quell’uomo che quasi non conosce e cede, cede sempre di più a quei bicchierini che lo chiamano perché non ha altro modo se non scolare qualcosa di forte per affrontare la situazione. E sa anche che Donald vincerà perché mentre lui è un forte, Donald è un debole e per questo viene sempre aiutato, esorcizzato dalle sue colpe, giustificato.

«Anche P.M. aveva paura, una paura sorda, ancora indefinita, ma che lo faceva sudare freddo.»

L’epilogo de “Il fondo della bottiglia” non potrà che essere altrettanto crudo e amaro come la stessa e intera narrazione. I personaggi sono uomini e donne intrisi di debolezze, che non si lasciano amare ma al contrario che suscitano nel lettore un bisogno di distacco. Nessuno è innocente, tutti sono colpevoli, tutti sono pedine di un destino che deve compiersi nel bene e nel male. Sono incapaci, ciascuno a proprio modo, di vedere oltre il proprio circoscritto mondo. Davanti a certe situazioni non mancherà un certo senso di disgusto, davanti alla facilità in cui l’alcol è considerato soluzione, l’odio quotidianità, l’interesse personale costanza, non mancherà la riflessione sottesa.
“Il fondo della bottiglia” di Georges Simenon è il romanzo che mantiene le aspettative e che nel suo essere conferma la grande maestria del belga ma anche la sua profonda umanità in uno dei momenti più difficili in assoluto del suo percorso.

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Il fondo della bottiglia 2022-04-25 17:32:04 siti
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siti Opinione inserita da siti    25 Aprile, 2022
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A fondo

P.M. conduce una tranquilla esistenza, si è fatto da solo, riuscendo a riscattarsi da un contesto familiare dei non più promettenti; gode di impeccabile controllo della propria vita al confine tra Usa e Messico, ha sposato Nora, lei possiede un ranch, lui è avvocato.
Tutto è sotto controllo, compresa quella voglia di bere più del possibile, sa evitarlo, basterebbe poco per perdersi. Forse, è ad altro impulso che dovrebbe badare.
Così appunto avrebbe dovuto fare: controllarsi maggiormente perché, se ci fosse riuscito, la sua discesa verso l’inferno non sarebbe iniziata e lui avrebbe potuto far tacere ancora il passato. Esso però non è solo un insieme di circostanze o di ricordi, da tenere a debita distanza, è infatti costituito principalmente da persone, quei suoi familiari che ha depositato nel fondo della sua esistenza. Se fosse rientrato prima che il fiume avesse iniziato a ingrossarsi, isolando le fattorie, sarebbe stato possibile circoscrivere l’intruso, espellerlo il prima possibile e consegnarlo al suo destino, a debita distanza, tacendo tutto a Nora. Se solo fosse rientrato prima senza concedersi quella scappatella, Donald, suo fratello, non sarebbe stato un problema insolubile, e invece è lì, evaso, in cerca di aiuto per poter varcare il confine, là dove lo attende la sua famiglia in bilico.

Ritmo serrato, pioggia battente, claustrofobia allo stato puro, epilogo magistrale. Duro senza ritorno.

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Simenon ma anche Martin Eden ( epilogo)
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Il fondo della bottiglia 2018-04-14 17:17:54 DanySanny
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DanySanny Opinione inserita da DanySanny    14 Aprile, 2018
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DI RUGGINE SI MUORE

Dal fondo della bottiglia anche il mondo appare distorto, avviluppato in una spirale opaca che si arrampica su una luce diffusa, filtrata, smaltata; dal fondo della bottiglia la rifrangenza dell’alcol fa precipitare lo sguardo in un mare nebbioso, sfinito, allucinato; dal fondo della bottiglia anche la mente cede a se stessa e si spalanca ad una verità tanto netta da essere sordida, vischiosa, mistificata. Tutto è ruggine in questo libro, la terra rossa, polverizzata, il whisky denso, ambrato, il fiume marrone, epatitico, inesausto. Quello stesso fiume che con la sua danza sinuosa incanta tutti i personaggi, questi uomini cirrotici che si muovono come inebetiti dall’atonia nella giostra perpetua e monotona della loro quotidianità, della loro normalità e della loro fragile, inesistente perfezione. Quel fiume che scorre impetuoso e con cui tutti sono chiamati a confrontarsi: chi per riempire il vuoto della noia, quando anche l’alcol cede il passo alla realtà, chi lo impreca perché al di là sogna la propria felicità, la propria famiglia, chi lo prega per salvare la propria dignità e perché solo dall’altra parte, in Messico, negli ambienti caldi e morbidi di un bordello, ha trovato la serenità o la perdizione.

Simenon ci consegna un libro scuro e fangoso, crudele e sfiancante, nei ranch apatici che si estendono tra le promesse degli Stati Uniti e la povertà del Messico, lontano dalle placide architetture della sua Liegi e dai fasti di Parigi, in fondo al male e al dolore, mentre pagina dopo pagina, tra le ombre del ricatto, costruisce il dramma fino a farlo esplodere. Ed è all’allucinazione della sbronza perpetua che affida il destino di questi uomini, consumati dalla noia e dai miti della rispettabilità, quasi che solo in questo obnubilamento perpetuo dei sensi possano sfogarsi tanto odio, tanto rancore, tanta ferocia. Perché qui davvero non c’è calore che illumini il nero della trama, non c’è verità che riscatti la vita melmosa di questi uomini, non c’è un sentimento vero, reale, edificante: ogni relazione è finzione, ogni parola una lama, ogni bicchiere un gradino verso la dissoluzione. E anche l’unico amore per cui, a voler stringere la trama, lottano i due fratelli protagonisti, diventa strumento di rivalsa, ricatto, sopraffazione. Simenon sa che il mondo è una lotta fra lupi e agnelli, fra chi picchia e chi subisce, fra chi ha e fra chi non ha e soprattuto, con caustica, desolata certezza, sa che fin dall’inizio è stato Giacobbe, il fratello scapestrato, meno meritevole, a ricevere l’eredità di Dio. E solo con una punta di sarcasmo, come se questa ammissione gli costasse tutto il senso del libro, nota che in fondo Esaù ha perso tutto per un piatto di lenticchie.

Quando Simenon scrive questo libro, durante il suo soggiorno americano, sa di dover scontare una colpa: quella di aver consigliato al fratello minore, reo di omicidio, di arruolarsi con la Legione Straniera per fuggire. Una consiglio dettato dall’affetto, ma, forse, anche un tentativo per togliersi di torno la pericolosa reputazione del fratello, negli anni cruciali che lo stavano consacrando a rinomato scrittore. Eppure proprio seguendo quel consiglio, il fratello perderà la vita, consiglio che, la madre, non gli perdonerà mai. È proprio mettendo in scena lo scontro fra due fratelli che Simenon tenta di scavare e affogare il rimorso o il dolore, forse cercando un’espiazione, forse rassegnandosi alla natura dura e feroce degli uomini. Solo nelle pagine finali, sull’orlo del baratro, si respira la luce di una possibile comprensione, di un nodo sciolto e una trama ricucita, ma è l’illusione di un attimo che non sa redimere il mondo. Perché tutto è freddo e inaridito e, dal fondo della bottiglia, anche l’unica donna che tutto aveva capito e prima di tutti aveva intuito la fine, si chiude in un silenzio che, per nostra sfortuna, sa più di indifferenza che dolore.

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