Il crocevia delle tre vedove
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Noir
Sebbene non lontano da Parigi, il crocevia del titolo è un non luogo sperso nella pianura, fra campi coltivati e scialbi paesini senza personalità. Insomma, uno di quei postacci prediletti da Simenon per ambientarci le sue storie di umanità avida e degradata, quella che in questo romanzo si spartisce le tre abitazioni che si fronteggiano sull’incrocio: l’autorimessa condotta da un sanguigno ex pugile, la villetta piccolo borghese di un commesso viaggiatore e la vecchia e grande casa, segnata da una storia dai tratti orrorifici riguardo alle tre vedove originali proprietarie, dove ora abita un’algida e misteriosa coppia di fratelli provenienti dalla Danimarca. La morte di un commerciante di preziosi belga, trovato nel garage degli ultimi ma sulla macchina nuova dell’agente di commercio, costringe Maigret al trasferimento in compagnia del fido Lucas (peraltro confinato come al solito in compiti di basa manovalanza) per un’indagine che si rivela subito complicata, ostacolata com’è dal muro di finzioni messe in atto da tutti gli attori sulla scena: quelle più intricatamente complicate fanno capo a Else, la donna danese che già dal suo primo apparire non si può fare altro che etichettare come femme fatale. E’ tale l’abilità dello scrittore nel descrivere l’atmosfera e i personaggi allo scopo di evocare un clima di vera oppressione che il lettore quasi si augura che l’impasse possa durare nel tempo: quando la vicenda comincia ad accelerare verso la conclusione, l’effetto svanisce per colpa di un procedere che si fa di grana più grossa. Ci si trova davanti a un riciclaggio internazionale, sparatorie continue, tentati avvelenamenti e lotte corpo a corpo in un pozzo: un accumulo che stride con le pagine precedenti, aggravato da un paio di svolte regalate da errori degli indagati che paiono francamente inconcepibili in gente che ha architettato con sì tanta cura tutto il resto. Il finale è più noir che giallo, malgrado la classica (e lunga) spiegazione del commissario alla presenza di tutti gli indiziati: la rivelazione del colpevole è meno importante del destino dei singoli che vengono sino al termine osservati con uno sguardo che unisce ironia e pena. Nonostante le sue forzature, il settimo romanzo con al centro Maigret sa così coinvolgere in maniera sottilmente disturbante mentre Simenon si muove con sicurezza su alcuni dei suoi terreni preferiti.
Atmosfera decadente
Questa è una buona storia, dove, più che non la trama in sè, è l’atmosfera a fare da padrona. Torbida e decadente. Buia, cupa, nebbiosa, umida. Sia come contesto narrativo, sia come ambientazione, sia come impressione che danno i personaggi. Soprattutto Else, protagonista enigmatica e fredda, che riesce a diffondere nell’aria un indefinibile erotismo, con il suo aspetto, con la penombra della sua camera, con i suoi giochi voluti non voluti di vestaglia. A tratti sembra di essere nella casa della famiglia Addams, a tratti sembra di essere invischiati in un tunnel buio. Ciò che rimane addosso da questa lettura è il senso di torbido ed un che di appiccicaticcio, perché questo crocevia sinistro, fatto di tre case che hanno l’aria di lanciarsi una sfida, tutto è tranne che un posto sereno e tranquillo. Però l’architettura comunque geniale di tutto questo contesto non è stata sufficiente per far scattare la scintilla tra me e Simenon. Le sue storie restano sempre molto grigie ai miei occhi.
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Il pasticcio di Simenon
Non tutte le ciambelle riescono col buco e questa volta è capitato a Simenon che con Il crocevia delle Tre Vedove pasticcia e non poco. Si potrebbe anche dire che se si mette troppa carne al fuoco si corre il rischio di scottarsi e in effetti sono dell’idea che l’autore francese, iniziato questo romanzo in modo interessante con un interrogatorio, senza esito, di ben 17 ore di un sospetto d’omicidio, poi si sia perso per strada, infarcendo la vicenda di troppi personaggi, tanto che alla fine gli arrestati saranno ben sei, fra capi e manovali del crimine. Ma se sono troppi i protagonisti, ben poco verosimile non solo si presenta la vicenda, ma anche la soluzione del caso. E a far perdere la bussola al lettore ci sono poi una serie di fatti che lasciano un po’ basiti, come l’uccisione di una donna davanti agli occhi di Maigret, lo stesso commissario che appare turbato dalla sensualità di Else, una bella ragazza che avrà un ruolo chiave nell’intricata trama, insomma anziché trovare la classica professionalità che è peculiare di Simenon sembra, francamente, di avere per le mani un giallo da quattro soldi. Ci sono poi situazioni che oserei definire esilaranti, come quella in cui i gendarmi inseguono a bordo di un taxi dei banditi in fuga, oppure la perquisizione, dopo un delitto, minuziosa di un posto, un parco, che non comprende però almeno un’occhiata a un pozzo, ma c’è anche un errore clamoroso laddove Maigret fa mettere i rei faccia al muro e poi li guarda in volto, come se lui si fosse trasformato in una sogliola.
È inoltre inutile che dica che l’ambientazione, l’atmosfera e l’analisi psicologica dei personaggi non è così attenta come il solito e che anzi si dimostra invero modesta e approssimativa con il ricorso anche ai tanti vituperati stereotipi.
Insomma, per concludere, se in L’amica della signora Maigret Simenon mi era parso in vacanza, questa volta invece mi è sembrato in stato confusionale, come di uno che, iniziata un’impresa, ha finito con il perdere il filo del ragionamento.
Si legge questo romanzo, si lascia leggere e forse può anche soddisfare, a patto di dimenticare che l’autore è Simenon, da cui è certo lecito pretendere molto di più.
Ed è per questi motivi che il mio voto è solo un 3, che può apparire striminzito, ma che in effetti è generoso e ha tenuto conto soprattutto della classe dell’autore.
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Maigret non si smentisce mai
Le inchieste di Maigret sono come le ciliegie: una tira l'altra.
In questa, gli ingredienti sono come sempre stuzzicanti: un insipido eppure cupo crocevia fuori Parigi, un commerciante di diamanti trovato morto nell'auto nuova di zecca di un insulso assicuratore di provincia, la grande casa dal passato macabro abitata da due schivi danesi, ma nel cui garage è stata ritrovata l'auto, e un'officina con pompa di benzina che lavora fin troppo, di un garagista che chiacchiera fin troppo.
Le pagine scivolano veloci mentre Maigret, placido e imponente, vaga ai tre angoli del Crocevia, cercando di inquadrare soprattutto gli stranieri, l’onesto Carl e la fascinosa Else Andersen.
Il lettore -e questo, a parer mio, è una delle cose che rendono i gialli di Simenon così intriganti- non riceve mezze teorie perchè il commissario si limita a raccogliere indizi, a verificare dettagli senza senso, a seguire una sua segreta linea di pensiero senza che nulla venga rivelato prima del finale: deve districarsi tra gli indizi che sembrano tutti puntare il dito contro Carl Andersen e scavare più a fondo, con il suo solito acume e apparente imperturbabilità.
La realtà misteriosa del Crocevia delle Tre Vedove nasconde una trama ben più gretta ed economica, difficile da intuire fino alle ultime battute piene di tensione prima dell’agognata spiegazione.
La scrittura è semplice, ma non scialba: Simenon ha il dono della descrizione spesso telegrafica, ma che evidenzia dettagli curiosi sufficienti per comunicare l'esatta atmosfera immaginata dallo scrittore.
Vera chicca il finale dal ritmo incalzante, un fulmine rispetto alla quiete sinistra che sembra regnare al Crocevia delle Tre Vedove, dove tutti recitano alla perfezione un ruolo che non è il loro.