Il coltello
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Recensione della Redazione QLibri
Road to Ruin
"Perché dovevi arrivare tu a farmi sentire così solo?"
La felicità è una droga, la più potente, la più distruttiva. Dopo averla assaggiata, ne vorrai ancora, e ancora, e ancora. Eppure, avresti dovuto saperlo, Harry, che la felicità è uno stato di emergenza che non può durare. Sono secondi, minuti, giorni, e dopo, non resta altro che rimpianto, vuoto, astinenza. E neanche tutto l’alcol del mondo riuscirà a ingannare il dolore.
Dal giorno in cui l’amata Rakel lo ha lasciato, questa volta per sempre, Harry Hole è ripiombato nel baratro della bottiglia e della depressione. Ed è proprio in questo momento che il destino lo metterà di fronte al caso più complesso, brutale e straziante della sua intera carriera. Perché questa volta dovrà combattere contro il dubbio della propria stessa colpevolezza, contro quelle mani imbrattate di sangue di cui non conserva nemmeno un ricordo, contro la paura di essere diventato un mostro. Allora il bisogno di un colpevole diventa l’unica ragione di vita, e la caccia non è mai stata così torbida e disperata.
Ottima la penna, le pagine procedono con intrigante fluidità, nonostante la strabiliante ricchezza di sfumature, dettagli e indizi che l’autore dissemina lungo il cammino. Non ci si annoia, con Harry Hole. Sarà la coinvolgente miscela di investigazione e vicende umane, che si addentra senza sconti nell’abisso di passioni, fallimenti e colpe di ciascun personaggio. Sarà la grintosa e oscura atmosfera, alimentata dalla profonda malinconia di un protagonista il cui fascino sta proprio nella vulnerabilità e nella capacità di aggrapparsi all’unica cosa che lo può tenere a galla, il suo fiuto di poliziotto e il suo inossidabile senso di giustizia. Sarà la trama sapientemente disegnata con geometrico rigore, in cui sospetti e vicoli ciechi, diversivi e colpi di scena si stratificano con linearità e limpidezza. Impossibile perdersi, impossibile non appassionarsi perché c’è davvero tanta umanità in questo thriller.
“Il coltello” rappresenta il mio primo incontro con il famoso poliziotto scandinavo. Il romanzo può sicuramente essere letto anche senza avere una conoscenza pregressa di questa serie, come è capitato a me, regalando una compagnia piacevole e appagante. A mio avviso però una storia come questa, che si gioca tutta nell’universo emotivo e personale del protagonista, merita di essere letta all’interno di un percorso. Arrivata all’ultima pagina quindi, consiglierei a me stessa e a chi come me non ha familiarità con Harry Hole, di tornare all’inizio della serie. Non è mai troppo tardi, in fondo.
“Sto dormendo. E finché dormo, finché riesco a restare nel sogno, potrò continuare a cercarlo. Ma ogni tanto, come adesso, ho la netta sensazione che venga meno. Devo concentrarmi e dormire, perché se mi sveglio... Mi renderò conto che è vero. E allora morirò”.
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Harry Hole ad un passo dalla fine
Non avevo mai letto nulla di Jo Nesbo, autore norvegese di gialli con milioni di lettori in tutto il mondo, acclamato soprattutto per la serie dedicata ad un personaggio, Harry Hole, uno straordinario investigatore giunto con “Il coltello” alla sua dodicesima indagine. Indagine complessa, snervante, che si snoda per più di seicento pagine, ricche di colpi di scena, irte di tranelli e di situazioni apparentemente senza ritorno e talora al limite della credibilità. Ma il racconto particolareggiato dei fatti ed un’accurata analisi introspettiva dei protagonisti riesce a renderle credibili: perché l’autore non si limita a narrare i fatti, ma entra a fondo nei personaggi, studia sentimenti, fa emergere caratteri e motivazioni, con un riguardo particolare alla figura dominante ed enigmatica di Harry Hole, un poliziotto che non segue regole tradizionali, cocciuto e intransigente, disposto a tutto pur di raggiungere lo scopo prefissato. E’ ormai vecchio, viaggia sulla settantina, vittima dell’alcool e di un passato complicato da incontri pericolosi (ha una vistosa cicatrice dall’angolo della bocca ad un orecchio) e da una vita sentimentale ingarbugliata. Ha un figlio, Oleg, al quale è molto legato, ed una moglie, Rakel, dalla quale è stato cacciato di casa per ubriachezza e che, all’inizio della storia, viene rinvenuta brutalmente accoltellata a morte.
Tracce di sangue sembrano incolpare lo stesso Hole: da qui inizia il racconto che coinvolge investigatori e potenziali assassini, tra i quali emerge un diabolico personaggio, Svein Finne, stupratore e killer seriale. Finne, maniacale collezionista di coltelli e già condannato a 20 anni per merito di Hole, desidera solo vendetta, anche perché il poliziotto in uno scontro a fuoco gli ha ucciso il figlio Valentin. Hole, sconvolto per la perdita della moglie, inizia, pur non autorizzato, ad indagare per conto proprio, riesce a catturare Finne, ma un alibi salva il killer. Altri soggetti, in un intricato avvicendarsi di esami e riscontri, sono sospettati, ma, alla fine, le tracce di sangue sembrano indicare proprio lui, Hole, come colpevole: una vendetta per essere stato abbandonato da Rakel. Hole stesso si convince di avere ucciso, forse in preda ai fumi dell’alcool, la moglie e decide di suicidarsi sconvolto dal rimorso. Il finale riserva però una serie di sorprese che non svelerò, lasciando ai lettori il piacere di scoprire la verità e di emozionarsi.
Il romanzo, anche se intervallato da lunghe riflessioni sulle motivazioni psicologiche dei personaggi, piace ed emoziona. Ci sono spazi per i colloqui pieni di rispetto e affetto reciproco tra padre e figlio, ed anche per i complicati rapporti sentimentali di Hole con le donne della sua vita, la moglie Rakel, la giovane Alexandra della Medicina Legale, Katrine la responsabile dell’Anticrimine e la precedente moglie Kya. Sullo sfondo, una Oslo fredda, grigia, intristita da paesaggi innevati e dalla pioggia. Fanno da contraltare le lande assolate e sabbiose dell’Irak e dell’Afghanistan, dove molti personaggi del romanzo sono stati inviati in missioni di guerra e ne sono rientrati stressati da esperienze logoranti. Su tutto e su tutti giganteggia la figura di Harry Hole, con la sua imponenza (è alto un metro e novantatre!), l’astuzia di un segugio, lo sprezzo del pericolo di un eroe salgariano, l’aspetto di chi ha alle spalle esperienze di ogni tipo. E’ anche profondo conoscitore di musica rock (come del resto Nesbo, che suona in una band norvegese), non è solo muscoli ma rivela anche lati generosi e teneri del suo carattere, come nel colloquio con il figlio Oleg nel finale del romanzo. Nostalgia di una vita forse sprecata, traguardi non raggiunti. Perché, dice “ il luogo d’arrivo e la destinazione sono due cose diverse…arriviamo dove arriviamo, e può essere bello e consolatorio pensare che volessimo arrivare esattamente in quel punto”. Ma, aggiunge sempre Hole, abbiamo dimenticato “tutti gli altri sogni, quelli che sono stati alimentati, e si sono dissolti e sono svaniti”.
Proprio così, anche un vecchio poliziotto, sfregiato e incline all’alcool, può insegnarci qualcosa. Il romanzo si legge con interesse, i personaggi sono vivisezionati con pagine che indagano a fondo sulla psicologia di ognuno: sono queste pagine, a mio giudizio, che allentano un po’ la tensione e mettono a dura prova certi appassionati di thriller che vorrebbero solo azioni incalzanti e colpi di scena ad ogni capitolo. Ma Nesbo ci tiene ai suoi personaggi, vuole che siano capiti ed agiscano secondo ragionamenti ben motivati. Nulla è lasciato all’improvvisazione e ad una sequenza meccanica di fatti. Vale, ad esempio, la minuziosa classificazione degli assassini, suddivisi in otto categorie, dagli aggressivi cronici agli ostili controllati, dagli offesi ai traumatizzati e via elencando. Oppure le particolareggiate indagini sul DNA nelle macchie di sangue, o gli stralci sulle missioni in Medio Oriente, o ancora le discussioni su brani musicali di varie band.
In conclusione un thriller da vivere appieno, con alti e bassi. Da leggere comunque.