Il cavallante della Providence
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La pietà di Maigret
Scritto nell’estate del 1930, a bordo del suo yacht Ostrogoth, con cui andò su e giù per i numerosi e ben attrezzati canali navigabili francesi, Il cavallante della Providence risente di questa esperienza di navigazione, tanto che il mondo del trasporto e del diporto fluviale è talmente ben descritto da ricreare nel lettore l’impressione di essere presente, di vedere i grossi barconi trainati da cavalli sulle sponde e di udire il cigolio delle porte delle chiuse quando si aprono o quando si chiudono. E’ un perfetto mondo d’acqua, con una vera e propria immersione nel liquido, tanto più che il cielo è ben poco benevolo e lascia trasparire raramente il sole, quasi un’illusione nei continui scrosci di pioggia. E’ un Maigret autarchico quello chiamato a risolvere il caso di una bella e giovane donna, il cui cadavere è stato trovato ricoperto dalla paglia in una stalla, autarchico perché non ricorre, per spostarsi, a un auto, ma preferisce la bicicletta, con cui un giorno arriva a percorrere, con un tempo inclemente, quasi settanta chilometri e su una strada coperta da pozzanghere e con presenza di fanghiglia. Come al solito l’ambiente e l’atmosfera sono resi in modo perfetto, così come di assoluto rilievo è l’analisi psicologica dei protagonisti, persone dell’alta borghesia o piccoli profittatori che ruotano loro intorno per partecipare almeno agli avanzi del banchetto. Maigret cerca un omicida, che ucciderà un’altra volta, ma quando lo trova, grazie al suo infallibile intuito che lo porta a lasciarsi scivolare addosso la storia, trattenendo solo l’essenziale, non avrà motivo di essere soddisfatto, perché, come in altre occasioni, l’assassino è esso stesso vittima, che pagherà le sue colpe con una morte straziante descritta in pagine di rara bellezza. Eh sì, è infallibile Maigret, ma non è un automa, è una perfetta macchina investigativa cucita intorno a un cuore che pulsa e che non si oppone all’umana pietà.
Da leggere, senz’altro.
Indicazioni utili
La prima trasferta
Alla sua seconda uscita, sempre risalente al 1930, Simenon spedisce subito il suo Maigret in Provincia per risolvere il mistero della morte di una bella e ricca signora trovata assassinata sotto un mucchio di paglia in una stalla lungo un canale laterale della Marna, tra Dizy e Vitry-le-François. L’interesse del commissario presto si appunta su due imbarcazioni, un piccolo ma lussuoso yacht al comando di un inglese alcolizzato marito della donna e una chiatta da trasporto trascinata dai cavalli accuditi dall’uomo del titolo. La storia gialla è, seppur non trascendentale, ben costruita con l’autore che si preoccupa di sviare l’attenzione con falsi indizi per poi incanalare la narrazione verso la soluzione più ovvia: ciò che si rivela di maggior fascino è però la ricostruzione del piccolo mondo in cui si svolgono gli avvenimenti, mondo peraltro conosciuto dallo scrittore che visse per qualche tempo su un’imbarcazione ormeggiata in un canale. Pare così di vedere il viavai di mezzi che si susseguono o si incrociano sulla via d’acqua quando non aspettano con pazienza il loro turno alle chiuse mentre attorno si agita un’umanità minuta composta da cavallanti, battellieri, guardiani delle chiuse stesse, molti se non tutti affiancati dalle rispettive donne: una vita fatta di levatacce e molta fatica alleggerita di tanto in tanto da un bicchierino o da un boccone all’osteria. E’ netto il contrasto con l’equipaggio del battello da diporto guidato da sir Lampson: Simenon esegue qui uno dei suoi numerosi ritratti di deboscia altoborghese, tra benestanti intenti a sperperare il proprio denaro e arrampicatori sociali o piccoli profittatori che cercano di sfruttarli il più possibile (lady Lampson, Willy, Gloria e le due prostitute sono tutte variazioni sul tema, con le ultime a essere di gran lunga le migliori), tanto che l’unico che alla fine rimane è Vladimir, marinaio russo che veste, si muove e beve in modo assai somigliante al protagonista di ‘Senza via di scampo’. Muovendosi tra questo numeroso gruppo di figure, Maigret procede con il consueto non-metodo di lasciarsi scorrere i fatti addosso finchè non brilla la giusta intuizione, dando nel frattempo prova di una notevole condizione fisica visto che si sciroppa all’incirca settanta chilometri in un solo giorno a cavallo di una pesante bicicletta lungo un’alzaia piena di fango e di pozzanghere (quasi superfluo dire che piove assai di frequente e, quando non accade, l’atmosfera è gonfia di nuvoloni e umidità…).