Il castello d'Otranto Il castello d'Otranto

Il castello d'Otranto

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Si suppone che gli avvenimenti si svolgano nel Duecento. Manfredo, signore di Otranto, nipote dell'usurpatore del regno che ha avvelenato Alfonso, il legittimo sovrano, vive sotto l'incubo di una profezia, secondo cui la stirpe dell'usurpatore continuerà a regnare, finché il legittimo sovrano non sia divenuto troppo grosso per abitare il castello e finché discendenti maschi dell'usurpatore lo occupino. Quando la profezia sembra avverarsi, Manfredo atterrito confessa il modo dell'usurpazione e si ritira in un monastero con la moglie. Il romanzo fu pubblicato nel 1764 e, nella prima edizione, era descritto come una versione dall'italiano.



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Il castello d'Otranto 2021-08-03 15:50:14 Lety123
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Lety123 Opinione inserita da Lety123    03 Agosto, 2021
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Sovrannaturale o storico?

“Il Castello d’Otranto” è definito il primo romanzo di genere gotico scritto da Horace Walpole di cui la prima edizione risale al 24 dicembre 1764 ma il libro di cui dispongo fu pubblicato nel 1999 da Superbur classici.
Walpol è stato uno scrittore inglese del 1700, non pubblicò molte opere ma solo alcuni romanzi tipo la tragedia “the Mysterious Mother” e alcuni libri di argomento storico e artistico - antiquario come “Aedes Walpolianae”. Famoso fu il suo vasto epistolario, ma in ogni caso la sua opera più famosa è “il castello d’Otranto”.
Mi avevano parlato di questo libro come se avesse l’obbiettivo primario di suscitare sorpresa e di stimolare l’attrazione verso il sovrannaturale ma leggendolo mi sono accorta che in verità raffigurava particolarmente la vita e i costumi dell’epoca feudale com’era veramente. Mostrando la poca importanza che davano in quel periodo alle donne, come venivano scambiate tra famiglie come se fossero oggetti, leggendo questi argomenti in un periodo di molta più libertà per esse ciò sembra quasi irreale, come una favola. Comunque non posso dire che non ci siano scene paranormali, ciò è innegabile, perché infatti Walpole usò questo tumulto di vicende messe in atto dalla macchina del sovrannaturale in cui dipinse la sua “denuncia” all’epoca antica. Analizzandolo in modo più generale: questa è una storia di amicizia, tra Matilda e Isabella che nonostante tutte le sventure continuarono a comportarsi come vere amiche, quasi sorelle. È una storia d’amore, con Teodoro che si trovava nei cuori di tutte le fanciulle che incontrava e anche nel momento della morte della sua amata mostrò il suo amore in modo così folle da far venir voglia di piangere con lui per placare il suo dolore. È una storia di mistero, con oggetti piuttosto strani, il finale sorprendente e le stranezze e i segreti di tutti i personaggi della storia.
Un’altra caratteristica del libro che mi ha affascinata è stato il personaggio di Manfredo: descritto costantemente come un tiranno odioso, che trattava in modo irrispettoso chiunque incontrasse, che sembrava non provasse sentimenti neppure per il ritrovo fra un padre e un figlio che non si vedevano da anni, finisce con un’unica scena che fece crollare questa sua facciata rendendolo fragile per un’unica volta: in quel caso mostrò i suoi veri sentimenti, il suo vero dolore, come solo un padre potrebbe fare.
Lo stile usato dallo scrittore è evidente che sia molto antico: sia perché utilizza parole di un lessico molto elevato sia perché molte di quest’ultime non sono neppure più usate oggi. I personaggi mi hanno colpito molto ed inoltre anche il loro modo di parlare quotidianamente con un lessico così alto mi ha fatta sentire parte di quell’epoca anche se solo per qualche giorno perciò anche se la storia non mi è sembrata molto scorrevole, l’autore ha compensato con i personaggi talmente interessanti da farmi appassionare alla vicenda.

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Il castello d'Otranto 2016-12-17 07:03:57 viducoli
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viducoli Opinione inserita da viducoli    17 Dicembre, 2016
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La nascita del romanzo come anestetico

Circa un anno fa ho recensito 'L’italiano', di Ann Radcliffe, uno dei prototipi del romanzo gotico, scritto verso la fine del XVIII secolo. Ora mi ritrovo ad aver letto, nella stessa benemerita – ma ahimè scomparsa – collana I Classici classici di Frassinelli, il vero antesignano di questo genere di romanzi, pubblicato oltre trent’anni prima: 'Il castello di Otranto' di Horace Walpole.
Walpole, che apparteneva alla grande nobiltà inglese, scrisse il suo romanzo più famoso nel 1764, all’età di 47 anni, quando ormai da 10 viveva nella sua residenza di Strawberry Hill, nei pressi di Londra, e stava trasformandola in un bizzarro maniero neogotico.
La Gran Bretagna, il paese in cui il processo di industrializzazione e di costruzione dei cardini fondativi della società borghese era più avanzato, stava donando alla letteratura mondiale uno straordinario strumento culturale: la novel, il romanzo borghese moderno. Nell’arco della quarantina d’anni immediatamente precedenti il romanzo di Walpole vengono pubblicati alcuni dei capolavori assoluti della narrativa di ogni tempo: il 'Robinson Crusoe' di Defoe è del 1719; Richardson pubblica 'Pamela' nel 1740, Fielding il 'Tom Jones' nel 1749, ed il filotto si completa nel 1760, con la pubblicazione del primo volume del 'Tristram Shandy' di Sterne. A questa incredibile sequenza mi permetto di aggiungere un’opera maledetta, a lungo messa all’indice per il suo contenuto sinceramente pornografico, ma che a mio avviso occupa anch’essa un posto centrale nell’evoluzione del romanzo borghese: 'Fanny Hill' di John Cleland, che è del 1748.
Al cospetto di questi capolavori, 'Il castello di Otranto' è sicuramente un’opera minore, figlia di un autore che si può ben definire un dilettante, dotato di uno spessore narrativo che oggettivamente rimane di parecchie volte al di sotto di quello degli autori sopra citati: eppure questo piccolo romanzo, pieno di ingenuità, assurdo nella trama, che induce spesso il lettore contemporaneo al sorriso piuttosto che al terrore, occupa un suo spazio preciso nella storia della letteratura proprio perché è stato il capostipite non solo di un genere letterario, ma anche e soprattutto – a mio avviso – di un preciso modo di concepire la letteratura come strumento d’evasione, perché nasce proprio per reazione alla funzione sociale svolta dal nascente romanzo borghese.
I grandi romanzi sopra citati hanno infatti come presupposto – con la straordinaria eccezione del 'Tristram Shandy', su cui tornerò – l’idea che la letteratura debba raccontare la realtà: tutte le storie che narrano sono ambientate nella contemporaneità, i protagonisti sono inglesi e le loro vicende sono – anche se in alcuni casi straordinarie – verosimili e calate nella società del tempo. Certo, ciascun autore accentua alcuni aspetti della realtà piuttosto che altri, a seconda del proprio modo di percepirla e del messaggio che intende trasmettere, ma tutti sono accomunati dall’attenzione – tipica del valore dato alla concretezza dalla nascente società borghese – all’epica del reale. Come detto fa eccezione il grande 'irregolare' Sterne, che scardina la forma, la struttura del romanzo realista, utilizzandone però parodisticamente le stesse basi, come farà, su di un altro piano, anche l’altro irregolare, Cleland con il suo 'Shamela'. La base fondativa stessa della novel è la descrizione della realtà, il rifiuto ed il superamento dell’elemento fantastico e cavalleresco che caratterizza invece il romance medievale.
Secondo me Walpole compie essenzialmente ne Il castello di Otranto un’operazione di restaurazione, scrivendo un’opera ambientata nel medioevo, in un paese esotico (l’Italia del sud), nel quale il soprannaturale gioca un ruolo essenziale per determinare la vicenda e i destini dei protagonisti. Resuscita, di fatto, il vestito del romance cavalleresco, calcando la mano sull’elemento misterioso e soprannaturale nella speranza, avveratasi, che questi elementi avrebbero attratto il pubblico. È talmente consapevole di non aderire allo spirito del tempo che nella prefazione alla prima edizione dell’opera le attribuisce origini italiane e medievali. Inventa una dettagliata storia del romanzo, che sarebbe stato stampato a Napoli (in caratteri gotici…) nel 1529 e rinvenuto nella biblioteca di un’antica famiglia inglese: la sua scrittura sarebbe avvenuta tra l’XI e il XIII secolo, e lui ne sarebbe soltanto il traduttore. La prefazione è estremamente interessante anche perché Walpole si lascia scappare, sia pure sempre nell’ambito della finzione dell’opera antica, le vere ragioni per cui ha scritto il romanzo. Dice infatti: ”Allora in Italia le lettere erano in pieno rigoglio e contribuivano a dissolvere il regno della superstizione, all’epoca così vigorosamente attaccata dai riformatori. Non è improbabile che un abile sacerdote abbia cercato di volgere contro gli innovatori le loro stesse armi, e si sia valso della propria abilità di scrittore per rafforzare il popolino negli errori e nelle superstizioni antiche. […] Un’opera come questa ha più probabilità di soggiogare cento menti incolte che non la metà dei libri di controversie scritti dai tempi di Lutero sino ad oggi”. Questo passo rivela a mio avviso come Walpole avesse una piena coscienza del carattere d’evasione del suo romanzo, rappresentando inoltre una lucida analisi della funzione soggiogatrice, anestetica, di questo genere di letteratura, analisi validissima anche oggi. Neppure troppo implicitamente, Walpole ci dice che il suo romanzo nasce come reazione alla modernità.
Nella prefazione alla seconda edizione, visto il successo del libro, l’autore si svela e precisa il suo pensiero, dicendoci che il suo intento è stato quello di fondere in una sola opera il romanzo antico e quello moderno, quello in cui ”tutto era immaginazione e improbabilità” e quello in cui ”si cerca sempre, talvolta con successo, di riprodurre la natura”, nel quale ”le grandi risorse della fantasia sono state arginate da una rigida aderenza alla vita quotidiana”. Leggendo il romanzo, tuttavia, si ha la netta sensazione che questa fusione sia avvenuta utilizzando a piene mani la materia prima del romanzo antico, e solo poche briciole di modernità.
In questa seconda prefazione Walpole a mio avviso si allarga un po’, paragonando la sua opera a quella di Shakespeare e polemizzando con Voltaire. Lo fa comunque a proposito di una questione non secondaria in letteratura, vale a dire la compresenza, in una stessa opera, di toni tragici e comici. Uno dei tratti caratterizzanti 'Il castello di Otranto', infatti, è il ruolo comico attribuito ai domestici e ai famigli dei protagonisti: nei dialoghi in cui compaiono, interrogati dai loro padroni a proposito di ciò che sanno o hanno visto, si rivelano immancabilmente impacciati e prolissi: questi dialoghi fanno da contrappeso al tono aulico ed ufficiale che i personaggi principali usano tra loro, all’inverosimiglianza della maggior parte dei fatti narrati, e costituiscono probabilmente, nelle intenzioni di Walpole, un elemento concreto di quella mescolanza di antico e moderno che rivendica come tratto essenziale del suo romanzo. Si tratta indubbiamente dei passi più godibili del libro, e bene fa Walpole a difendere la sua scelta. Non può sfuggire, tuttavia, la connotazione classista di tale caratterizzazione dei domestici: nella prefazione il nobile Walpole afferma infatti che ”Per quanto solenni, gravi o malinconici possano essere i sentimenti dei principi e degli eroi, essi non si riflettono nei loro domestici: almeno, questi ultimi non esprimono, o non li si dovrebbe far esprimere, le proprie passioni con lo stesso tono solenne.” Walpole qui ci fa sentire tutto il suo disprezzo per gli umili, che devono servire solo a mettere in risalto la superiorità morale dei protagonisti.
Della vicenda non dirò molto, anche perché come detto è talmente assurda da indurre spesso al sorriso. Mi preme però evidenziare che, a differenza di quanto avverrà spesso nei continuatori del gotico, soprattutto in quelli che utilizzeranno il genere a fini eminentemente commerciali, non c’è un vero e proprio lieto fine: nelle ultime pagine un padre uccide una figlia innocente, il castello crolla scosso dal tuono divino, ed anche i due giovani che si sposano condivideranno solo la loro malinconia. E’ questo indubbiamente un elemento di interesse del libro, che testimonia come Walpole non abbia inteso scrivere una storia consolatoria, nella quale l’ordine viene ristabilito attraverso la punizione del malvagio e la felicità dei buoni: qui la giustizia divina si abbatte praticamente su tutti i protagonisti, ed è una giustizia più biblica che evangelica: è un dio tremendo che si lascia dietro solo degli infelici. Del resto va dato atto a Walpole di aver saputo – sia pure in forma letterariamente molto grossolana – conferire ad alcuni dei protagonisti tratti di ambiguità che non ne permettono la caratterizzazione nell’angusto spazio dello stereotipo: su tutti la figura di Manfredi, che è signore spietato e malvagio, ma ha anche dei momenti di sincera commozione: all’opposto Federico, nobile cavaliere padre di Isabella, asseconda ad un certo punto l’empia proposta di Manfredi di sposarne la figlia. Lo stesso Padre Gerolamo, prototipo dei frati buoni di molti successivi romanzi gotici, ha tratti e comportamenti non proprio irreprensibili. Forse questa (parziale) assenza di manicheismo nei personaggi è un fattore che ha portato al problematico finale della vicenda.
Un ultimo accenno va riservato alla teatralità dell’opera, rimarcata da Walpole nella prefazione alla seconda edizione anche attraverso il costante richiamo a Shakespeare come modello. La vicenda de 'Il castello di Otranto' è narrata attraverso dialoghi serrati, intervallati quasi unicamente da annotazioni funzionali, e ciò, accanto all’artificiosità complessiva dei fatti narrati e alla quasi assoluta assenza di descrizioni dell’ambiente naturale, porta effettivamente lo smaliziato lettore contemporaneo ad immaginare di essere spettatore di una rappresentazione teatrale, in cui però è evidente la stoffa con cui sono costruite le scene e la cartapesta con la quale sono realizzati il grande elmo e l’enorme spada che compaiono nella storia; il tono usato dai personaggi è tale che – se dovessi dire a che tipo di teatro siamo vicini – mi verrebbe in mente non Shakespeare, ma quello, peraltro nobilissimo, dei pupi.
Come in altri casi quando affrontiamo i classici, anche la lettura de 'Il castello di Otranto' va a mio modo affrontata non tanto per ciò che dal punto di vista strettamente letterario ci può fornire: in questo senso come detto era già, a mio avviso, un’opera minore quando uscì, ed oggi lo è ancora di più. E’ però un’opera importante, perché segnala l’inizio di due fatti che avrebbero avuto una fondamentale importanza nella storia della letteratura e della produzione culturale dei decenni successivi. Da un lato l’intuizione di Walpole che l’esotismo, il mistero e la paura potessero essere gli elementi fondanti di una letteratura popolare, in grado di attrarre lettori incolti in cerca di emozioni semplici ma forti. Dall’altro il fatto che questa letteratura potesse svolgere un ruolo anestetico rispetto alla realtà e alla descrizione delle sue contraddizioni, oggetto delle moderne novels. Probabilmente Walpole prese le mosse, per la sua opera, da una opposizione aristocratica al realismo del romanzo borghese del suo tempo: di lì a poco la stessa borghesia, consolidato il suo potere, si servirà di questi stessi strumenti per tentare di anestetizzare le masse che questo potere potevano mettere in discussione. Oggi i mezzi sono cambiati, ma il fine è il medesimo: Hollywood è diretta discendente de 'Il castello di Otranto'.

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Il castello d'Otranto 2016-12-16 08:00:24 enricocaramuscio
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    16 Dicembre, 2016
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Banale e frettoloso

Antesignano del genere letterario gotico, questo libro di Horace Walpole pubblicato nel 1764 ed ambientato in pieno medioevo, pur avendo in sè tutti gli elementi che caratterizzano le grandi opere, non rappresenta certo una lettura imperdibile né tantomeno indimenticabile. Amori contrastati, cavalieri senza macchia, donzelle virtuose se la vedranno con intrighi di potere, tiranni usurpatori, efferati fatti di sangue, il tutto condito da una prosa forbita, da atmosfere tetre e surreali sulle quali aleggiano le ombre di antiche ed implacabili profezie e da misteriosi ed inspiegabili eventi soprannaturali. Siamo all’interno delle mura del bellissimo castello di Otranto e un oscuro omicidio rovina quello che avrebbe dovuto essere un gran giorno di festa. Questo truce evento scatena un inarrestabile effetto domino che si concluderà con l’immancabile vittoria dei buoni ma non prima che altro sangue innocente venga versato. Si potrebbe pensare di essere di fronte, se non ad un capolavoro, per lo meno ad un romanzo di grande spessore. Invece ci si accorge, già dalle prime pagine, che non è così. La trama appare subito abbastanza banale e prevedibile, mancano suspance e colpi di scena e campeggia dalla prima all’ultima pagina un’eccessiva aura di buonismo rotta soltanto dalla malvagità dell’unico personaggio negativo della storia sul quale sembrano caricati tutti i difetti e i vizi del genere umano. Il ristretto numero di pagine fa sì che gli eventi vengano narrati in maniera poco accurata, con una fretta eccessiva che dà un po’ un’idea di superficialità e non consente al lettore di appassionarsi più di tanto alla vicenda. Se allo spiccato buonismo e ai tempi ristretti aggiungiamo che l’ambientazione rimane circoscritta alle mura del maniero ci rendiamo presto conto che più che ad un romanzo sembra di essere di fronte ad un’opera teatrale per bambini. Certamente bisogna ammettere che nel giudicare questo libro bisogna tenere conto anche e soprattutto del momento storico in cui è stato scritto e pubblicato. Da questo punto di vista il giudizio potrebbe cambiare in positivo, soprattutto in virtù del fatto che, come detto all’inizio, si tratta di una vera e propria novità per l’epoca e rappresenta un punto di partenza per un genere che ha poi avuto ed ha tuttora notevole successo. Le sue virtù, tuttavia, potrebbero davvero essere tutte qua.

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Il castello d'Otranto 2012-07-18 19:47:01 amuleto
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amuleto Opinione inserita da amuleto    18 Luglio, 2012
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"My rule was nature"

Masterpiece della letteratura gotica.Il gotico si diffonde a fine settecento ed è marcato da un gusto per l'antico e le ambientazioni medievali.Setting favorito dai romanzieri gotici è l'Ialia: simbolo della corruzione e del cristianesimo, ma simbolo anche di instabilità politica.L'opera è un "romance" ("the secular scripture", genere letterario antico dove l'attenzione principale è rivolta alla trama, la cui conclusione è quasi sempre catartica) Nella sua prefazione all'opera Walpole annuncia di tentare una sperimentazione, ossia una fusione tra l'old romance(caratterizzato da setting antichi e avventure di cavalieri) e il new romance (che tende a descrivere le passioni umane nel loro nascere e divenire).Non a caso Walpole afferma che "my rule was nature": si ispira cioè ai grandi maestri che trattano le passioni umane: Shakespeare e Milton, che con il suo "Paradise Lost " anticipa il Byronic Hero. Il villain dell'opera di Walpole è Manfred, persona dispotica che ha usurpato il principato di Otranto e alla fine verrà punito.L'eroina perseguitata, un figlio riconosciuto, un happy ending che punisce i cattivi e premia i buoni.Questi gli ingredienti di un romance gotico classico, che tuttavia già presenta un interesse verso il nascere eil divenire delle passioni umane; abbiamo ad esempio un villain che si pente delle sue azioni malvagie, ma il suo è un pentimento breve passeggero.Una lettura d'obbligo per chi ama il gotico, che non era solo un periodo letterario, ma una vera e propria moda che investe anche l'architettura. Proprio lo stesso Walpole si fece costruire un castello in stile gotico che era la sua residenza, chiamata Strawberry Hill.

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Il castello d'Otranto 2012-06-27 16:55:06 Yoshi
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Yoshi Opinione inserita da Yoshi    27 Giugno, 2012
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delusione totale

Ho fatto fatica a finirlo e devo essere sincera, qualche riga l'ho pure saltata per velocizzare la fine di quest'agonia.
Quando l'ho preso, dopo aver letto la trama e le recensioni, mi aspettavo qualcosa di cupo e misterioso e quella classica ambientazione gotica che attira a se qualsiasi persona curiosa di immergersi in un romanzo di questo genere.
In realta' mi ha annoiata e devo dire che di gotico e misterioso c'era ben poco.
Mi e' parso di leggere invece la "commedia napoletana" quella c'e' un crescendo di fatti e intrighi amorosi, in cui tutti urlano, c'e' il caos piu totale e tutto finisce con i cattivi bastonati e i buoni lodati.
La scrittura per nulla scorrevole, anche avendo letto altri romanzi di questo genere, raramente mi e' capitato di non trovare sintonia (anche minima) con lo scrittore.
Mi dispiace dare il minimo dei voti ma sinceramente mi saspettavo di piu.

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Il castello d'Otranto 2012-04-09 07:23:00 Sydbar
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Sydbar Opinione inserita da Sydbar    09 Aprile, 2012
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Il castello d'Otranto

Definito il primo romanzo di genere gotico, scritto da Horace Walpole nel 1764. Il romanzo è parso si presenta con sfumature romantico - cavalleresche ma sicuramente intriso di quelle ambientazioni cupe, oscure, soprannaturali, che generano sensazioni alternate, un po' ansiogene ed un po' ilari allo stesso tempo, forse dovute dal fatto che i personaggi, incasatonati in un'epoca in cui non tutti avevano una fervida cultura scientifica, si lasciano spaventare da situazioni che l'autore lascia nascoste nella nebbia anche al lettore ma che forse troverebbero anche una giustificazione (interpretazione dello scrivente puramente personale). L'opera va letta avendo la consapevolezza del periodo storico in cui è stata vergata, quindi i ritmi risulteranno a volte anche molto lenti seppur il libro, forse anche per la sua brevità, si lascerà leggere in brevissimo tempo. Allo scrivente è parso di leggere una tragedia shakespeariana dove il lieto fine è sempre messo in discussione da alcuni colpi di scena, dei quali il finale del libro è intriso fino all'ultima pagina. Va dato merito all'autore di aver dato l'avvio ad un genere che troverà in altri autori come Edgar Allan Poe, Mary Shelley, Ann Radcliffe e Bram Stoker i suoi più fervidi ed interessanti autori che genereranno personaggi e trame che diverranno vere e proprie pietre miliari per la letteratura di genere e dalle cui storie verranno tratti interessanti opere cinematografiche.
Ritornando al Castello di Otranto vi consiglio di visitarlo, davvero imponente e nella stessa località troverete la Cattedrale dell'Annunziata dove potrete ammirare il mosaico pavimentale del Pantaleone, una vera chicca.
Buona lettura a tutti.
Syd

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Il castello d'Otranto 2010-01-20 21:24:12 riky93
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riky93 Opinione inserita da riky93    20 Gennaio, 2010
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Vetusto

Se qualcuno volesse leggere un libro horror non gli consiglio minimamente il Castello D'Otranto. L'idea non è malaccio, lo stile terribilmente noioso. Unico punto positivo: dura poco!
La trama è piuttosto efficace ma le figure e gli avvenimenti, in particolare quelli paranormali, anche se originali, sono ormai vetusti e dubito che riescano a colpire l'immaginario collettivo.
Lo stile poi è incredibilmente antico! Detto anche che la narrazione non è tremenda (riesce almeno un pochino a tenere la suspense) si perde spesso e volentieri in dialoghi terribilmente lunghi e tediosi.
Consiglio a tutti coloro che vogliano leggere un horror di indirizzarsi più su King o se proprio vuole assaggiare l'antico si può provare qualche racconto di Poe.

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Il castello d'Otranto 2009-11-23 10:36:57 A.M.
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A.M. Opinione inserita da A.M.    23 Novembre, 2009
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Capostipite!

Il primo terzo del romanzo è intrigante, ma poi si perde, a mio avviso, in dialoghi prolissi ed appesantiti da un linguaggio troppo lontano dal lettore d'oggi, diventando a tratti noioso. Privo di descrizioni, il Castello di Otranto poggia su superstizioni e credenze che oggi suscitano ilarità e non la paura che dovrebbe, invece, infondere nel lettore (moderno). Una lettura evitabile se non costituisse il primo esempio di romanzo gotico da cui attingerà la letteratura europea.

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Il castello d'Otranto 2009-08-31 12:31:14 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    31 Agosto, 2009
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Il primo romanzo gotico

Strano tipo Horace Walpole, che nella prefazione alla prima edizione del 1765 del Castello d’Otranto, dice che l’opera altri non è se un libro stampato a Napoli nel 1529, trovato nella biblioteca di un’antica famiglia inglese e da lui tradotto. In ciò si comporta né più ne meno come James Macpherson che pubblica nel 1760 i Canti di Ossian, attribuendoli a un leggendario bardo di nome appunto Ossian.

Un altro elemento di curiosità è dato dal fatto che Walpole tesse smisurate lodi dell’autore dell’opera, sconosciuto, ma che, ipotesi nell’ipotesi, potrebbe essere un astuto sacerdote cattolico.

Il castello d’Otranto, opera preromantica, ha un notevole successo e allora Walpole nella prefazione alla seconda edizione si rivela, peraltro ricevendo più di un biasimo.

Al di là della vicenda della paternità questo romanzo, che non potrà mai essere ricordato come un capolavoro della letteratura, presenta tuttavia caratteristiche peculiari tali che ne decretano la doverosa memoria, trattandosi del primo libro di genere gotico.

Si rilevano infatti quelle caratteristiche di mistero, di passioni occulte, di incombenza della morte, del realizzarsi di antiche profezie, di personaggi del tutto straordinari e immaginari, che uniti a un’atmosfera cupa, di tensione psicologica, costituiscono gli elementi basilari per opere successive, senz’altro di maggior pregio, quali, una per tutte, Frankenstein di Mary Shelley.

Non è che allora il romanzo di Walpole meriti di essere letto solo in considerazione delle sue caratteristiche innovative?

Purtroppo devo rispondere che l’opera non presenta altri particolari elementi di valore, perché i personaggi appaiono degli stereotipi, tutti buoni o tutti cattivi, per non parlare della trama in cui i dialoghi sono avulsi dalla tensione che è invece presente, anche se assai contenuta.

C’è da considerare peraltro l’epoca, il modo elaborato di scrivere e di parlare, che toglie quell’indispensabile senso di immediatezza e di logicità di comportamento in protagonisti sottoposti a prove naturali e sovrannaturali tali da impedire loro qualsiasi forma di reazione calma e ponderata.

Di questo se n’era accorto anche Walter Scott, che nell’introduzione al Castello d’Otranto del 1826 prende un po’ le difese di Walpole, attribuendogli finalità che, probabilmente l’autore, già deceduto, non si era mai posto.

Scrive, fra l’altro, Scott “ Il suo scopo era quello di raffigurare la vita e i costumi dell’epoca feudale com’erano veramente e di dipingerli nel tumulto e nelle fortunose vicende messe in atto dalla macchina del sovrannaturale, un sovrannaturale che la superstizione del tempo accoglieva con passiva credulità.”.

Il discorso non fa una grinza, ma il medioevo di Walpole risente troppo dei canoni della letteratura inglese del settecento, con i personaggi che, ancorché passionali, si esprimono in modo lezioso in qualsiasi circostanza, con una ricchezza di vocaboli che non era tipica nel Medioevo anche nelle classi più abbienti e pertanto maggiormente istruite; di conseguenza non mi sento di avallare questa ipotesi.

Secondo me, invece, più aderente alla realtà è il giudizio espresso nel 1919 da Virginia Woolf, che, sulla scorta della passione di Horace per gingilli, anticaglie, per quel piccolo castello in stile gotico che si era fatto costruire, parla di un libero sfogo dell’immaginazione, in cui le visioni e le passioni lo affascinavano, tributando così di fatto alla sua opera quell’importanza dovuta più alla fantasia, del tutto fuori dalla norma dell’epoca, e che giustamente farà ricordare lo scrittore inglese come il capostipite del genere gotico.

Eppure, nonostante gli evidenti difetti che ho evidenziato, sono proprio gli stessi a costituire motivo di interesse, perché comunicano l’aroma di un mondo passato, in cui il formalismo si anteponeva a tutto, e il fatto che questo comportamento si riflettesse anche in campo letterario rappresenta per l’uomo più pragmatico del XXI secolo una preziose fonte di archeoletteratura per aiutare a comprendere un’epoca, in cui, non dimentichiamolo, nacque anche il romanzo d’avventura, con quel Robinson Crusoè, di Daniel Defoe, che tanto ha alimentato i nostri sogni giovanili.

Sono in ogni caso dell’idea, che, pur con i suoi limiti stilistici, ancor oggi possa costituire una gradevole lettura per gli appassionati degli amori impossibili e delle storie a lieto fine, dove a trionfare è sempre il bene, anche e soprattutto grazie all’elemento soprannaturale.

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