Il caso Saint-Fiacre
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Ritorno al passato
Piccola città, bastardo posto: la provincia, con il suo carico di grettezza e mediocrità continua ad attrarre Simenon in modo irresistibile, così vi spedisce il suo investigatore appena può. Il pretesto è un biglietto anonimo che predice un omicidio durante una messa: Maigret viene catapultato indietro nel tempo, perché la chiesa si trova proprio nel paesino dove è nato e cresciuto. Arriva, ma non può far nulla: la contessa di Saint-Fiacre muore in modo misterioso mentre sta pregando. La donna era stata un suo mito infantile perché il padre del poliziotto lavorava come soprastante al castello, ma i decenni trascorsi hanno cambiato molte cose: la casata è in rovina, l'erede fa il gaudente in città e la nobildonna passa da un segretario/gigolò all’altro. Sotto il cielo plumbeo e freddo di novembre, Maigret va alla ricerca di un appiglio concreto districandosi fra i mormorii di paese, ma questa volta esagera nel lasciarsi scorrere gli avvenimenti addosso: a parte qualche dettaglio di secondaria importanza, non è lui bensì Maurice di Saint-Fiacre, ricomparso dopo la morte della genitrice, a mettere a confronto i possibili sospetti (il segretario, il nuovo soprastante con il figlio e ovviamente se stesso) facendo uscire allo scoperto il colpevole dopo averlo lavorato sul piano nervoso. L’ambientazione nel maniero consente all’autore un omaggio a Walter Scott, citato in maniera esplicita e rievocato negli accenni gotici che incombono sulla cena decisiva attorno a un tavolo dove ognuno ha qualcosa da farsi perdonare. La vicenda si rivela così costruita con efficace ingegno ed è ravvivata da una serie di figure disegnate con gran cura sia per quanto riguarda i protagonisti, sia (o forse anche di più) per quelle di contorno: la brutta locandiera Marie Tatin, vecchia compagna di giochi che non riesce a dare del tu al commissario, il parroco rigido e sfuggente o ancora il piccolo monello Ernest e la sua avida madre.
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Un’indagine sul filo dei ricordi
Georges Simenon, scrittore belga di lingua francese, è stato autore di una produzione copiosissima, con centinaia di romanzi e di racconti, di diversi generi, ma con una spiccata preferenza per il giallo e in quest’ambito a lui si deve la creazione di uno dei personaggi più amati in letteratura, cioè il commissario Jules Maigret. Sono numerose le trame (ben 75 romanzi e 28 racconti) che vedono protagonista il riflessivo poliziotto parigino, un investigatore a cui piace immergersi nell’atmosfera propria dei luogo in cui è stato commesso il crimine, seguendo il suo istinto, il suo fiuto di segugio, che non viene meno anche in presenza del fumo della sua immancabile pipa.
I gialli che lo vedono protagonista differiscono da quelli in auge fino agli anni ’20 del secolo scorso, caratterizzati da perfette geometrie proprie di delitti perfetti, o quasi, da investigatori che sembrano dei superuomini, con ambientazioni di prestigio, o comunque altolocate.
Maigret è tutto fuorché perfetto, è riflessivo, ma è l’istinto che lo guida, così come l’ambiente è quello più assai diffuso, cioè quello popolare e anche piccolo borghese.
Più che la vicenda, i ragionamenti per arrivare a individuare il colpevole, per Simenon ciò che conta é l’individuo in quanto tale, anche con i suoi sentimenti, con i suoi motivi per i quali è giunto al crimine.
Alla fine del racconto in cui ci sé deliziati della caratterizzazione dei personaggi e dell’atmosfera, sempre particolarmente curata, è inevitabile poi che Maigret arrivi a scoprire il colpevole.
Non è così, però, in Il caso Saint-Fiacre, con il nostro investigatore che, a seguito di un messaggio anonimo che annuncia una prossima morte, si reca in tutta fretta da Parigi a Saint Fiacre, paesino di campagna che prende il nome dal nobile del posto, di antica casata.
Per Maigret è un ritorno alle origini, perché lì ha trascorso la giovinezza, perché lì è sepolto suo padre, che era proprio l’intendente del conte di Saint-Fiacre.
E’ autunno, è freddo, la campagna è spettrale e proprio alla prima messa, come indicato nel messaggio anonimo, la contessa viene a mancare all’improvviso. Delitto o morte per cause naturali? O una via di mezzo fra l’una e l’altra possibilità?
Nella gretta atmosfera di un piccolo borgo agricolo, Maigret si lascia condurre quasi da spettatore degli eventi; annota, però, indaga in silenzio, ma la verità, che lui aveva già intuito, sortirà al termine di una cena grottesca al castello dei Saint-Fiacre, l’ultimo baluardo di una famiglia in estinzione, di una nobiltà ormai decaduta.
Lo stile è scarno, diretto, ma si respira a pieni polmoni l’aria di sospetto che si aggira in quel luogo, dove più d’uno poteva aver motivi per commettere il crimine, ma fra i quali uno solo è il colpevole, smascherato per di più da uno dei sospetti.
Da questo straordinario romanzo è stato tratto nel 1958 un film altrettanto famoso, Maigret e il caso Saint-Fiacre, diretto da Jean Delannoy e interpretato, nella parte di Maigret, da un grande Jean Gabin.
Il romanzo è assai piacevole e quindi la lettura è senza dubbio consigliata.
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Un "non-giallo"
Questo è un racconto di Simenon in cui c'è anche Maigret. Ma qui Maigret fa quasi da spettatore passivo degli eventi. Anzi, per qualche verso può essere considerato uno dei personaggi dentro alla vicenda.
Infatto la storia racconta di Maigret che torna a Saint Fiacre, luogo della sua infanzia e giovinezza, in quanto il padre era stato l'intendente della tenuta. Perchè la polizia parigina ha ricevuto una lettera in cui si avverte che si tenterà di commettere un crimine nella chiesa. E in effetti lì durante la funzione di Ognissanti la contessa di Saint Fiacre muore per un malore. Morte sospetta, considerato che era stata preannunciata.
Simenon è bravissimo nel descrivere l'attesa del delitto, in chiesa, tra sermoni, incenso, preghiere, ecc.
Gli interrogatori che conduce, così come le frequentazioni dei luoghi, sono lo spunto per Maigret per tornare a ripensare al suo passato e a confrontarsi con il presente. Molto è cambiato nelle persone, nei luoghi e nelle cose, Ma molto è cambiato anche nella sua percezione di uomo adulto che ha ormai perso la sua ingenuità di fanciullo.
I personaggi sono ben delineati e, come in ogni buon giallo, hanno tutti un motivo per essere accusati dell'assassinio. Ma quello che più affascina del romanzo sono le descrizioni e le pulsioni che muovono ciascuno di essi: provincialismo, bigottisno, avidità, povertà, dignità, scaltrezza, menzogna, paura, riscatto, banalità... E poi c'è il fascino dell'ambientazione e delle atmosfere del castello e del paesino.
Quindi, definire questo libro solo un bel giallo è riduttivo
Il romanzo è stato scritto negli anni '30, ma non dimostra affatto la sua età. Grazie forse anche ad una traduzione recente.
Ho letto che ne è stato tratto un film con J. Gabin e che ci sono anche riduzioni tv. Ma non credo che cercherò anche di vederlo...