Il cane giallo Il cane giallo

Il cane giallo

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C’era in lei un’umiltà esagerata. I suoi occhi cerchiati, il suo modo di muoversi senza far rumore, senza sfiorare le cose, quel suo fremere d’inquietudine alla minima parola, corrispondevano abbastanza all’idea che ci si fa della serva abituata a ogni durezza. Sotto quelle apparenze si sentivano però come dei sussulti di orgoglio, che lei si sforzava di non lasciar trasparire. «Era anemica. Il suo seno piatto non era fatto per risvegliare i sensi. Eppure c’era qualcosa di attraente in lei, qualcosa di torbido, di avvilito, di vagamente morboso».



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Il cane giallo 2015-07-07 08:47:47 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    07 Luglio, 2015
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Nel grigio più grigio

Secondo giallo con Maigret di queste mie letture estive e ho ritrovato il Simenon a cui tanto piacevolmente sono abituato. La cura dei particolari, la precisa e riuscita ambientazione, l’atmosfera ricreata in modo mirabile sono prerogative del grande scrittore belga e sono presenti anche in questo Cane giallo, un poliziesco senza dubbio, anche se sono presenti richiami, nemmeno tanto velati, al romanzo gotico.
La vicenda si svolge a Concarneau, una cittadina costiera bretone in un clima piovoso, sotto un cielo grigio che tende al nero, con il mare che sembra perennemente in burrasca. Lì forse si aggira un pazzo, un vero e proprio gigante che può ricordare il mostro di Frankestein e che, accompagnato da un cane giallo, parrebbe intenzionato a sopprimere alcuni cittadini della migliore borghesia e lì si reca da Rennes, ove è stato temporaneamente trasferito per organizzare la polizia locale, il commissario Maigret. Mentre la paura, per non dire il terrore, assale gli abitanti del luogo, l’unico, imperturbabile, è proprio il nostro grande investigatore, come se già conoscesse l’evoluzione degli eventi e quindi anche il nome dell’assassino.
Non è un’impressione, perché è proprio così, visto che fin dalla prima vittima, per fortuna solo ferita, Maigret sembra in grado di trovare il bandolo della matassa. Tutto si concluderà nella prigione della locale gendarmeria, con un sospiro di sollievo di tutti i presenti, fatta eccezione ovviamente per l’omicida.
La vicenda, pur lineare, non manca di colpi di scena e ancora una volta si potrà apprezzare le capacità investigative e la bontà d’animo del famoso commissario.
Tutto qui? No, c’è dell’altro, poiché la naturale avversione di Simenon verso la gente che conta, che stende un invisibile reticolato fra sé e gli altri, considerati di rango inferiore, è ben espressa con la descrizione di un gruppo di borghesi, veri e propri falliti e che pur ostentano tutta la loro alterigia fatta da convenzioni che, soprattutto nelle piccole e medie realtà, sono funzionali a tenere ben distinte e separate le classi. Questi uomini, che si credono la crema della società, sono invece descritti come dei parassiti della peggior specie, ben contrapposti all’umiltà e alla tenerezza di Emma, la cameriera dell’Albergo più in vista di Concarneau, che nel grigiore della sua esistenza, privata di chi le voleva veramente bene, finisce ogni tanto nel loro letto, mettendo così in luce i loro bassi istinti e vite senza amore.
Il giallo, la trama, i suoi sviluppi non possono che risultare graditi al lettore, ma quel guardare a un mondo fatuo e ipocrita, proprio di questi vitelloni, impreziosisce l’opera, è il tocco di grazia di un autentico maestro.

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Il cane giallo 2015-06-22 18:41:44 catcarlo
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catcarlo Opinione inserita da catcarlo    22 Giugno, 2015
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Il cane giallo

Uscito agli inizi degli anni Trenta, il sesto romanzo con protagonista Maigret mette in mostra una serie di temi che Simenon non si stancherà mai di riproporre e approfondire nel corso degli anni e dei millanta libri che seguiranno: la cittadina di provincia come terreno di coltura ideale per i sepolcri imbiancati, la grettezza e la corruzione dei benestanti (siano essi borghesi arricchiti o famiglie di più antico lignaggio), l’umidità spessa e la pioggia battente che lasciano spazio solo raramente ai raggi del sole. In queste pagine siamo a Concarneau, Bretagna e, in special modo, nelle strade che si snodano accanto al porto o lungo un litorale ancora (per poco) incontaminato: la sonnolenza generale viene spezzata all’improvviso quando cominciano a essere presi di mira alcuni notabili che si riuniscono per giocare a carte nel miglior albergo del paese. Uno di loro si becca un’inspiegabile pallottola nella pancia così che, anche se per parecchio tempo non muore nessuno, Maigret, in temporanea trasferta a Rennes, viene spedito sul caso assieme all’ispettore Leroy: il commissario, oltre a dare l’impressione di prendere a volte in giro il proprio sottoposto, trascorre il suo tempo a guardarsi in giro e bofonchiare domande all’apparenza innocue mentre è impegnato a farsi un quadro della situazione. Il metodo è ben conosciuto a chiunque abbia frequentato il personaggio almeno una volta, anche se qui, a volte, il suo comportamento pare più autistico del solito per poi scartare all’improvviso sul fare della conclusione: sempre girando alla larga dall’aborrita deduzione, prima Maigret convoca tutti quanti in una sola stanza neanche fosse Poirot e poi, nel vero e proprio finale, lascia spazio a una burbera generosità d’animo altrimenti sempre ben nascosta. La descrizione ambientale, inclusiva di un sindaco rompiscatole e di giornalisti che arrivano come mosche man mano che la faccenda si complica, è assai brillante e si unisce in maniera egregia alla parte investigativa che coinvolge anche la vita difficile di una cameriera dell’albergo e il misterioso cane giallo che, oltre a intitolare il romanzo, svolge un ruolo quasi di psicopompo: il risultato è un libro che si legge in poco tempo, ma sa radicarsi nella memoria a testimonianza del livello già raggiunto dal suo autore che quando lo scriveva, non era neancora trentenne. Insomma, uno dei migliori fra i Maigret che ho letto finora.

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