Gli anagrammi di Varsavia
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Nato a New York nel 1956, Richard Zimler è laureato in Religioni comparate e ha conseguito un master in giornalismo alla Stanford University. Dal 1990 vive in Portogallo, dove ha insegnato giornalismo per sedici anni all’Università di Porto. Firma articoli per il «Los Angeles Times»; ha scritto romanzi, racconti e libri per ragazzi. Autore bestseller, è tradotto in oltre venti lingue e ha vinto numerosi premi letterari a livello internazionale.Gli anagrammi di Varsavia è stato nominato Libro dell’anno dalla rivista «Ler», selezionato tra i venti migliori libri dell’ultimo decennio dal quotidiano «Público», e insignito del premio Marquês de Ouro, assegnato da studenti e insegnanti delle scuole secondarie portoghesi. Amato dai lettori e dalla critica, è un romanzo che «merita un posto tra le opere più importanti della letteratura sull’Olocausto» («San Francisco Chronicle»).
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"Gli anagrammi di Varsavia" di Richard Zimler - Il
Un romanzo che scuote l’animo, perché il protagonista, lo psichiatra Erik Cohen, porta a galla, insieme ai responsabili di alcuni infanticidi, il senso di colpa che l’umanità ha nei confronti di se stessa.
Epoca storica: 1941
Fatti narrati: le persecuzioni tedesche degli ebrei. L’olocausto.
Ambientazione: Varsavia. Nel ghetto di Varsavia.
Eric è uno psichiatra. Suo nipotino Adam viene ritrovato ucciso sul filo spinato che separa il ghetto dall’altra parte della città. Nudo e con la gamba destra amputata sotto al ginocchio. Il delitto viene ricollegato a quello di Anna, quindici anni, ritrovata alle stesse modalità e con una mano amputata. E a quello di un altro bambino, Greg, al quale è stata asportata la pelle sull’anca.
Erik risolverà il mistero di questi delitti orrendi, mantenendo una promessa che ha fatto a se stesso e alla madre di Adam, sua nipote Stefa, suicida dopo l’assassinio del figlioletto.
Ritengo che quest’opera sia unica per diversi motivi.
Per le descrizioni di una Varsavia gelida e del suo ghetto: dei traffici e delle relazioni umane e disumane che vi si instaurano (“… nel ghetto malattia e fame si portavano via un centinaio di persone al giorno ...”)
Per la rappresentazione del vuoto e del dolore che si viene a creare in seguito alla morte di un essere umano in generale, di un bambino in particolare (“Al funerale di un bambino la terra si apre sotto i nostri piedi e noi precipitiamo, senza opporre resistenza, mentre l’oscurità ci stringe fra le sue braccia accoglienti, perché è impossibile immaginare che un bambino o una bambina siano mandati sottoterra soli e nudi.”).
Per l’imbarazzante ritratto della follia e della crudeltà umana (“La crudeltà gratuita … Bisogna ammettere che non è priva di ricercatezze, e i nazisti l’avevano elevata a livello di filosofia”).
Un capolavoro che lascia sgomenti, destinato:
a chi non vuole dimenticare;
a chi ama scavare nella psicologia di situazioni estreme;
a chi ritiene che il passato possa servire a non commettere altri errori analoghi;
a chi si immedesima in un romanzo al punto da soffrire intimamente, quasi sul piano fisico, insieme ai protagonisti;
a chi possiede la consapevolezza che, purtroppo, certe orribili tragedie non sono soltanto frutto della fantasia di un romanziere. Come …
… Bruno Elpis