Giustizia
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La giustizia non esiste
Questo libro, un giallo-noir di natura psicologica si potrebbe definire, risulta essere sicuramente meno noto rispetto ai più grandi successi di Dürrenmatt (uno su tutti il celebre “Il Giudice e il suo boia”), Tuttavia anche se più contorto, grottesco e, a tratti, caotico nell’esposizione rispetto ad altre sue opere, ha l’indubbio pregio di cavalcare uno dei temi cardine che più stanno a cuore all’autore e drammaturgo svizzero: quello della “Giustizia”, che appunto fornisce il titolo al romanzo. Nella visione di Dürrenmatt si tratta di un concetto assolutamente soggettivo, ci si chiede infatti:
“A che serve la giustizia? Alla nostra società? Solo uno scandalo in più, solo materia di conversazione”.
Al tempo stesso la giustizia “si regola a seconda delle classi sociali di cui deve giudicare”.
Elementi che emergono nella loro comica tragicità (alla maniera di Dürrenmatt) nello sviluppo di una storia raccontata come sorta di confessione a posteriori dal protagonista di nome Spät. Avvocato penalista che accetta per pura venalità l’incarico di difendere un consigliere cantonale svizzero accusato di omicidio e già condannato in primo grado, per poi scoprire troppo tardi, pentendosene fortemente, di essere solo un ingranaggio utile al disegno criminale del potente accusato che ovviamente punta all’assoluzione sfruttando cavilli legislativi del sistema giudiziario elvetico.
In una Svizzera nella quale i poteri economici e politici si stagliano in primo piano, dove la corruzione e gli intrallazzi sono all’ordine del giorno, si evidenzia che la polizia e gli organi giudiziari soccombono al cospetto di forze più grandi.
Dürrenmatt costruisce un intreccio in cui l’amara conclusione è che “la giustizia può compiersi soltanto tra coloro che sono ugualmente colpevoli” perché non solo un accusato che riesce a sfangarla rimane tale quando è palesemente reo, ma anche un avvocato che contribuisce alla sua assoluzione nascondendosi dietro alla maschera dell’esercizio della professione non è certamente da meno. La galleria dei personaggi che compaiono come attori sul palcoscenico man mano che la narrazione procede sono caricature assolutamente realistiche che abbracciano tutti gli strati sociali possibili: prostitute, nani, controfigure, politici, avvocati, comandanti della polizia etc. A dimostrazione del fatto che l’intento dello scrittore svizzero è quello di tratteggiare un sottomondo che coinvolge ampie sfere dell’establishment in cui nessun soggetto è realmente innocente, nemmeno le vittime stesse (come si scoprirà proprio alla fine del romanzo).
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"Che schifo, la giustizia"
Un delitto apparentemente archiviabile come un caso già risolto, l’assassinio opera in pieno giorno ed è riconoscibile dai presenti perché personaggio noto nella cittadina - si tratta del consigliere cantonale Kohler -, diventa il perno di una narrazione ambiziosa e articolata. Essa si apre in forma di memoriale con narratore un ormai fallito avvocato in preda ai rimorsi, confuso dall’abuso di alcool e fermo nel suo intento di fare a breve, con un altro omicidio, la necessaria giustizia che è finora venuta a mancare. Da Spät, questo il suo nome, conosciamo il primo livello narrativo di una vicenda complessa che lentamente andrà a delinearsi attingendo a successivi e indispensabili altri livelli narrativi. Una struttura articolata e farraginosa che alla lunga stanca e fa perdere il mordente all’azione, vero è, di contro, che chi legge Dürrenmatt non deve aspettarsi il classico modulo di genere, poliziesco o giallo, ma la sua perfetta antitesi. Durante la lettura, che dunque trae in inganno anche l’esperto lettore, illuso che con quest’opera ultima si stia addentrando in un bel noir, si fanno incontro tutti i temi e gli stilemi tipici dello svizzero. Colpisce il fatto che sul finire lo scrittore inserisca anche una sorta di autocritica, sapientemente celata nella finzione narrativa, rispetto a quest’opera che iniziata nel 1957, ripresa e conclusa nel 1985 per non darle l’identità di un frammento, non riuscì mai a eguagliare quell’ispirazione creativa che l’aveva appena abbozzata, non raggiungendo dunque il fulcro contenutistico che l’aveva animata virando per altre vie e assumendo l’aspetto di una summa di pensiero. E questo è in effetti il suo aspetto più interessante, al suo interno ricorrono riflessioni sulla giustizia e sulle probabilità che essa trionfi su una realtà contraddistinta da variabili tutte dettate dall’uomo e dalla sua imperfettibilità. La riflessione si estende all’ambito del possibile e del reale e dei loro orizzonti rispettivamente infiniti e molto limitati: “il reale è solo un caso particolare del possibile, e per questo è anche pensabile in altro modo”. Si giunge poi a negare le basi del diritto processuale penale affermando per esempio che non esiste un testimone obiettivo in quanto ogni persona percepisce un fatto a suo modo e lo rielabora secondo la sua memoria rendendolo dunque un fatto già diverso da quello oggettivo. Si prosegue inoltre con una critica caustica alla società elvetica, quella che oltre a produrre orologi di precisione, psicofarmaci, segreti bancari e neutralità perenne, è capace anche di sfornare uno pseudo uomo, un uomo artificiale, un prodotto di laboratorio che poi plasmato da principi educativi e da psichiatri altro non potrà fare che immergersi nel caos della vita dove essenziale è come nel biliardo, metafora su cui gioca a tratti la narrazione, sfruttare le sponde. In virtù di quanto detto l’opera è consigliabile ma non certo piacevole.
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