Fiume nero
Letteratura straniera
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Frullati di verdure e vetri troppo sottili per arr
Quando ci si trova a dover recensire un romanzo ci si rende conto che fondamentalmente ne esistono di due tipologie, quelli difficili e quelli ancora più difficili: quelli difficili sono quelli così complessi e profondi, od originali ed entusiasmanti, che al momento di parlarne sono talmente tante le cose che si vorrebbero dire, sono talmente tanti i temi che si vorrebbero affrontare che le idee si sommano in testa, i pensieri si accavallono l'uno sull'altro, e solo con estrema pazienza e forza di volontà, dopo innumerevoli riletture, si riesce a creare un discorso organico e sensato.
Poi invece ci sono quelli "ancora più difficili" che fondamentalmente sono l'esatto contrario dei primi, quelli per i quali vi è talmente poco da dire, si è provato così scarso interesse, che anche mettendosi al tavolino per due ore, anche rubando nei week end ore a della sana attività sportiva o a del meritato riposo, non si riesce a mettere insieme mezza riga. Sono quei libri che nel corso della lettura ci fanno domandare perchè li abbiamo acquistati oppure quale assurda karmica legge di contrappasso ci obbliga a continuare a leggerli, quei libri insomma che immancabilmente non si possono altro che definire "errori". Errori di noi lettori che li abbiamo acqustati, errori degli scrittori che li hanno scritti, errori degli editori che li hanno pubblicati ed errori infine degli edicolanti/cartolai che li espongono in vetrina a prezzo ribassato tra materassini, ombrelloni e paperette di gomma.
Non me ne voglia G. M. Ford (che fortunatamente non leggera mai questa mia recensione) ma Fiume Nero, il suo libro, non si può altro che farlo rientrare in questa seconda tipologia di romanzi e con tutta la buona volontà non si può definirlo in altro modo se non proprio "un errore".
Qui verrebbe da controbattere con la solita (e tuttavia lecita e giusta) obiezione: "facile il lavoro del critico, legge un libro, se gli piace dice che è bello, se non gli piace dice che brutto; il critico è un individuo che campa sul lavoro degli altri, sugli sforzi degli altri, provate voi ogni giorno a scrivere pagine su pagine inventate di sana pianta che abbiano un qualche filo logico e che in qualche modo siano piacevoli, non dico capolavori, non dico pietre miliari della storia della letteratura, ma almeno, vagamente, piacevoli, provateci voi invece di star li a criticare!"
Vero, giusto, ma a parte che si potrebbe obiettare che ognuno infondo campa sul lavoro di qualcun altrro: il critico, sull'autore, l'autore sull'editore, l'editore sui lettori e dunqe di nuovo sui critici; a parte che si potrebbe obiettare che neppure il lavoro del critico è tutto rose e fiori e in taluni casi, anche se di lavoro non si tratta ma solo di passione, certi libri (proprio come questo) impongono da parte di colui che recensisce degli sforzi immani; a parte queste altrettanto lecite obiezioni, talvolta comunque, per certi singoli romanzi, l'impulso istintivo di gridare a chiunque ti ascolti:"non comprarlo, non leggerlo, non ne vale la pena, sono solo soldi buttati!", è davvero troppo forte, troppo urgente, tanto che è fisiologicamente impossibile resistergli. E allora al diavolo l'etichetta, al diavolo l'equilibrio, al diavolo la cortesia o l'educazione ed esplodiamo e diamo libero sfogo a tutto il veleno che si è accumulato durante la lettura: "Basta! Basta scrivere libri così, basta leggerli, basta pubblicarli!"
Verrebbe da chiedersi come ultima cosa, dopo tutta questa retorica del basta, perchè proprio noi, che ci scagliamo persino contro il consumatore ultimo di questa letteratura (colpevole ai nostri occhi d' incentivarne il mercato), perchè proprio noi li leggiamo, perchè insomma sapendo che li avremmo trovati così tremendi, li abbiamo comprati, li abbiamo letti, e per ultimo li abbiamo portati a termine.
Be qui i motivi sono molteplici, vanno da un pretestuoso spirito di umanità del critico che vuole per il bene degli altri suoi simili conoscere fin dove può spingersi "il male", fino ad un indiscutibile egocentrismo che vuole che nelle recensioni, specie quelle negative, giudicando, criticando, il lavoro degli altrri in qualche modo si illuda nella sua infima natura di essere superiore agli altri... ma è bene non dilungarsi troppo sulle ragioni personali che ci impongono di leggere un libro, poichè come mi faranno notare quelli di voi che sono giunti fin qui a leggere questa recensione, fino ad ora non ho ancora detto mezza parola sul romanzo! Vi basti sapere dunque (e mi vergongno profondamente ad ammetterlo) che nel mio caso, Fiume Nero, l'ho comprato e l'ho letto per un unica e semplice ragione:
mi piaceva la copertina.
E davvero è bella, ha una grafica interessante, ben strutturata, proporzionata... Peccato che sia l'unica cosa decente di questo libro, il resto è pura, piatta e vastissima banalità. La banalità di un giallo/noir di quelli che si sono già letti, visti e sentiti milioni di volte, la banalità di personaggi talmente stereotipati da essere totalmente inverosimili: affascinante eroe, supercattivone con corredo di innocente donzella da salvare dalle sue grinfie che guarda caso ha un recente passato da miss Universo o quel che è e immancabilmente si invaghisce del Nostro, che magari non è bellissimo come lei, ma compensa con l'audacia e l'indefessa propensione verso il bene e tutto ciò che è giusto e sano, compresi i frullati di verdure!
No davvero è ridicolo, non si possono scrivere di queste cose e pretendere degli apprezzamenti. Ridicolo, sul serio, non c'è altro modo di definirlo... Anche perchè a dirla tutta non mi ricordo altro! Ma non è una mia mancanza questa (almeno spero, sono ancora giovane per avere problemi di memoria) è invece un ennesima mancanza del romanzo! O forse no... Forse invece è un pregio. Ma sì certo è un pregio, l'unico altro pregio oltre alla copertina! Il solo aspetto positivo di questi libri è che a soli pochi giorni dalla lettura ci si dimentica totalmente di averli letti.
Fiume Nero? Cosa? Dove? Chiamate la Protezione Civile!
POST SCRIPTUM: rileggendola a qualche anno di distanza mi rendo conto che questa recensione per lunghezza, per inutilità, per malcelata presuntuosa saccenza, potrebbe tranquillamente concorrere per i primi posti tra le peggiori recensioni della storia della critica letteraria, tuttavia all'epoca (e figuriamoci adesso) fu davvero difficile trovare una qualunque cosa da dire su un libro che di per se non aveva proprio nulla da dire; dunque forse il mio qui smodato divagare non è stato tanto fuoriluogo, forse al contrario è stato abbastanza significativo della qualità del libro, così come è altrettanto significativa la bruttezza della recensione. Sì, significativa e senza dubbio adeguata al tema trattato. Del resto G. M. Ford ci insegna che non tutte le ciambelle riescono col buco, figuriamoci i frullati di verdure...