Fairy Tale
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Recensione della Redazione QLibri
Una sorta di pastiche fiabesco
Ormai mi sono convinto che Stephen King abbia votato se stesso alla sperimentazione di ogni sorta di genere. Con la serie di “Mr. Mercedes” si è gettato sul noir-poliziesco, con “Billy Summers” e “The Outsider” sul thriller, e adesso con “Fairy Tale” sul fantasy-fiabesco. Inutile dire che ognuna di queste produzioni è infarcita di elementi di quello che, alla fine, è il genere in cui dà il meglio di se: l’horror. Il protagonista stesso di “Fairy Tale”, una volta immerso nel mondo fantastico di Empis nel quale porterà avanti le sue avventure, capisce molto presto che quelle che sta vivendo non sono avventure fiabesche di stampo disneyano; il modello di riferimento sono infatti le fiabe classiche, in particolare quelle dei fratelli Grimm, anche nelle loro versioni più inquietanti e cruente. Chi fosse ferrato riguardo questo tipo di produzioni, infatti, saprà che le fiabe originali dalle quali spesso la Disney ha tratto i suoi grandi classici sono infarcite di violenza, terrore e sofferenza.
Il viaggio di Charlie Reade è una sorta di miscuglio di tante storie conosciutissime, e forse questo è un po’ il punto debole del romanzo: sa di già visto e ha pochi (se non nessuno) elementi davvero innovativi. Basti pensare che il concetto che fa da motore alla storia è un elemento ripreso esplicitamente da “Il popolo dell’autunno” di Ray Bradbury. Nel romanzo di Bradbury (bellissimo, leggetelo) un luna park popolato da aberranti creature contiene una giostra che, girando all’indietro, può ringiovanire chi ci sale e viceversa. Nel mondo creato da Stephen King esiste una meridiana che ha le stesse peculiarità; una meridiana che Charlie vorrà usare per ringiovanire il suo cane, e il riferimento non è nascosto bensì esplicitato chiaramente dall'autore che inserirà il romanzo tra le letture del protagonista. Sarà questo l’obiettivo primario del protagonista per una buona metà del libro, fin quando le sue avventure non lo porteranno ad affrontare orrori ben peggiori: Empis è infatti un regno oppresso da un’orrenda maledizione che colpisce la maggior parte dei suoi abitanti con un orrendo morbo, che pian piano li rende di carnagione grigia e sembra quasi cancellarne i lineamenti. Il regno, una volta ridente, è adesso governato da un uomo orrendo e senza scrupoli, il Predatore, e dai suoi scagnozzi: i soldati della notte.
Pur dando l’impressione di volersene distanziare, lo stampo strutturale dell’opera è squisitamente disneyano: il ragazzo prodigio che si ritrova improvvisamente ad essere il prescelto, il principe tanto atteso citato da un’antica leggenda, l’unica salvezza per un intero popolo e, ovviamente, coinvolto in una liason con la bella principessa. King prende questi stereotipi e prova a romperli, secondo me in maniera non abbastanza forte da creare una vera rottura o comunque una storia che possa definirsi originale. Anzi, come ho già detto, sa tutto un po’ di già visto.
Lungi da me giudicare la volontà di un artista: se King ha deciso che il suo sogno è sperimentare tanti generi diversi, è una sua scelta e la rispetto. Ma continuo a pensare che se nel corso della sua carriera si fosse preso un po’ di tempo, tra un romanzo e l’altro, avremmo tanti capolavori in più che portano la sua firma. Forse godrebbe di qualche considerazione in più nelle “alte sedi”.
Ma ognuno fa le sue scelte.
“Fairy Tale” è un romanzo abbastanza scorrevole, ma se dovessi decidere passare qualche giorno con una piacevole lettura, forse sceglierei qualcos’altro. Magari anche dello stesso autore.
“Ci si abitua alle cose più stupefacenti: tutto qui. Alle sirene e ai grandi schermi, ai giganti e ai telefoni cellulari. Se una cosa si trova nel tuo mondo, ne accetti subito l'esistenza. È meraviglioso, non trovate? Se però guardate tutte queste cose da un'altra prospettiva, sono terribili. Pensate che Gogmagog sia spaventoso? Il nostro mondo è seduto sopra un arsenale di armi nucleari che potenzialmente sarebbe in grado di distruggere il pianeta, e se non è magia nera questa, non saprei come altro definirla.”
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Chi ha coraggio aiuta
Con questo romanzo Stephen King torna al genere fantasy. Costruisce un mondo di fiaba, che facendo un po' il verso alle storie classiche si trova sotto terra, sconosciuto ai più e protetto da chi lo ha visitato perché teme che la razza umana lo possa razziare per impossessarsi delle ricchezze che nasconde. Ci si accede nei più banale dei modi: attraverso un capanno che si trova nel giardino di una vecchia casa. Un eroe per caso: il diciassettenne Charlie che si è trovato a passare in strada quando un uomo anziano è caduto da una scala, si trova a trasformarsi da idolo delle arene sportive a salvatore di un popolo sconosciuto. La storia si divide in due parti: la prima nella quale lo scrittore ci racconta l'infanzia e la prima adolescenza di Charlie è la più intensa. Qui ho trovato il King capace di raccontare storie con tutte le lettere maiuscole. Quello per intenderci che ti fa vedere davanti agli occhi tutti i dettagli dei personaggi di cui parla, che ti fa provare le loro emozioni e che quando vuole farti paura lo fa senza risparmiarsi. La seconda parte, quella che si svolge in un mondo sotterraneo in pericolo, sembra far parte di un altro libro. Personaggi improbabili, animali parlanti e con poteri straordinari, cattivi così cattivi da ispirare quasi simpatia ed eroi che non hanno nulla di eroico, ma solo tanta bontà d'animo. In sostanza un genere del tutto diverso, che a me non piace un granché. Probabilmente a causa di questo il libro mi è sembrato un po' troppo lungo, visto che tra l'altro, dato il genere, il finale era piuttosto scontato. Detto questo, però non posso non riconoscere l'abilità di chi ha scritto il romanzo.