Era una famiglia tranquilla
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E se fosse tutto un incubo?
Quando Emma si chiamava Susan aveva una bella casa, un marito devoto e soprattutto un bel neonato profumato da stringere ed abbracciare. Adesso Susan si chiama Emma, è una ex carcerata, vive da sola nel terrore che qualcuno possa conoscere il suo passato, il marito l'ha lasciata e non ha più figli. Perché le hanno detto che è stata lei a uccidere suo figlio, che lo ha fatto a seguito della depressione post partum e poi lo ha rimosso. Tutti glielo ripetono e così deve essere, o no? L'arrivo, davanti alla porta di casa di alcuni messaggi ambigui le fanno sospettare di essere stata la vittima di un complotto, e con l'aiuto di quello che crede sia un giornalista inizia a fare delle indagini. E' convinta che suo figlio sia ancora vivo, ma perché le hanno raccontato che lei lo ha uccisa e poi chi sono gli autori di una trama così perfida.
Romanzo originale cha fa leva su quella che probabilmente è la segreta speranza di tutte le persone che hanno perso un caro. Non è vero, è tutto un errore, nonostante le circostanza dicano il contrario.
La prima parte, con continui passaggi tra il passato e il presente è invece piuttosto ambigua, perché si fatica a capire dove l'autrice voglia andare a parare. Tutto viene poi spiegato a tempo debito, ma per quasi tutta la durata del romanzo rimarremo nel dubbio chiedendoci se Emma sia una donna razionale e intuitiva o se Susan le abbia trasmesso la sua follia.
Indicazioni utili
Il negozio all'angolo
"Egregi membri della Commissione, mi chiamo Susan Webster. Circa quattro anni fa ho ucciso mio figlio di tre mesi."
In medias res. Con un inizio simile, un amante del genere thriller non può che avere grosse aspettative, basta solo scoprirle.
Nonostante dovrei aver fatto l'abitudine, non smetto mai di stupirmi quando un romanzo di esordio, si rivela un gran bel romanzo. In effetti un giovane autore, o una giovane autrice, si giocano tutto con il primo libro. Dopo poche pagine ho dimenticato che stavo leggendo un romanzo della sconosciuta Jenny Blackhurst. Era come se mi fossi immerso nella lettura di Carrisi, Deaver, Grisham o Reichs, o comunque uno dei grandi.
Una vicenda davvero dolorosa, che sarebbe auspicabile leggere solo nei libri. All'autrice va il merito di non aver affatto banalizzato la depressione post parto. Con una inaspettata maturità, il romanzo si svolge su due linee temporali differenti e le continue retrospezioni (tanto per sostituire il più abusato ed anglosassone flashback) pian piano fanno prendere un alla trama un contorno inquietante. Personaggi caratterialmente completi e la continua ricerca di un antagonista, essenziale per la narrazione stessa, fanno si che non si perda mai di tensione sin dalla prima pagina.
Tanti colpi di scena nel finale, anche troppi. Jenny Blackhurst ha voluto strafare ma ho apprezzato l'intenzione dell'autrice a stupire sino alla fine.
A questo le punto ho delle forti pretese per i suoi prossimi romanzi – credo che in italiano non siano ancora usciti.
PS: Il titolo che ho scelto "Il negozio all'angolo" è tratto dal romanzo; l'autrice parla di un negozio all'angolo di una strada il cui nome è proprio "Il negozio all'angolo". Mi è sembrato geniale. Semmai avrò un negozio, sarà all'angolo e si chiamerà così.