Dolores Claiborne
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Fare la carogna è un lavoraccio
Spoiler Lieve
Qualche anno fa mi capitò di assistere ad una rappresentazione del “Don Giovanni” di Molière; il ruolo del protagonista era interpretato da Gabriele Lavia. La pièce comprende, fra le altre cose, un monologo di Don Giovanni, di circa quindici minuti.
Quindici minuti, in scena, a parlare da solo.
Una bella sospensione dell’incredulità, come si dice.
Invece no.
Gabriele Lavia è stato in scena, per quindici minuti, con un riflettore puntato addosso, a parlare. Da solo. È la parte della rappresentazione che ho amato di più e che ricordo meglio. Neppure un vago sentore di noia.
Anzi.
Quando finisce ne vorresti ancora.
Se un autore scrive e un attore rappresenta talmente bene qualcosa che “regge” un monologo di quindici minuti, vuol dire che sotto c’è qualcosa di veramente veramente buono.
Talento, in una parola sola.
King fa la stessa cosa con la sua Dolores Claiborne.
Oltre duecento pagine di monologo. Di una donna di sessantasei anni, piuttosto sgrammaticata, che vive in un’isoletta del Maine e fa da badante ad un’anziana e bisbetica signora, Vera Donovan.
Sentiamo solo la voce di Dolores, anche se abbastanza presto capiamo che in scena ci sono altri personaggi, muti. In teoria Dolores è in arresto e le persone presenti dovrebbero interrogarla.
Ma Dolores non ci pensa nemmeno.
Racconterà che non ha ucciso Vera Donovan. Ma lo farà cominciando a raccontare di come avesse invece ucciso suo marito Joe, trent’anni prima.
Il racconto di Dolores parla soprattutto di donne; due donne. La stessa Dolores e Vera.
Molto diverse per estrazione sociale e condizioni economiche, ma simili per un aspetto fondamentale: sono due carogne.
Perché «certe volte fare la carogna è tutto quello che resta a una donna.»
Sappiamo bene perché Dolores è costretta ad essere una carogna e non sappiamo, invece, nulla di quello che costringe Vera a fare la medesima cosa. Sappiamo che, però, la loro ribellione costa molta cara ad entrambe.
Il bello di questi due personaggi è nell’abilità dell’autore di non dipingerle MAI come due “poverine”, vittime del cattivo di turno. Sono donne che dicono di no, e basta.
«Un uomo che picchia una donna a cazzotti o con un pezzo di legna da ardere non sta insegnando alcuna disciplina e alla fine ho deciso che non lo avrei accettato da nessun Joe St. George e non l’avrei accettato neanche da nessun altro uomo.»
Semplicemente.
Naturalmente il loro “no” ha conseguenze che sono accettate, senza rimpianti e tentennamenti.
Con dolore, rabbia, cattiveria e solitudine.
E anche follia.
Dire di “no” porta isolamento, perché è molto più facile solidarizzare con una vittima che con una carogna (e i passaggi in cui Dolores sottolinea questo sono quasi geniali) e porta anche al perdere gran parte del conforto umano che ci si può aspettare in sorte.
Vera e Dolores vivono insieme, in un certo senso devono la vita una all’altra e in qualche modo oscuro e ramingo devono anche volersi bene, alla fine.
Ma se di “amicizia” si vuole parlare occorrono ben più di qualche paio di virgolette.
E quindi meglio lasciarlo fare, con un paio solo, proprio a Dolores / King:
«Ma soprattutto ho pensato a Vera e me, due carogne appollaiate su uno scoglio che sporge davanti alla costa del Maine, a vivere sempre praticamente insieme negli ultimi anni. Ho pensato a come quelle due carogne dormivano nello stesso letto quando la più vecchia aveva paura e a come hanno trascorso gli anni nella grande casa, due carogne che hanno finito a passare la gran parte del loro tempo a scambiarsi carognate. Ho pensato a come lei ingannava me e come io avevo trovato il modo di ripagarla e come eravamo felici, l’una o l’altra, quando si vinceva una ripresa.»
PS
Sono al secondo libro di King del mese e al secondo personaggio femminile che mi piace. In genere può passare un anno intero senza che ne trovi UNO decente. Quindi son colpita e commossa e chiudo con Vera / King:
«Perché senza il tuo fegato, Dolores Claiborne, sei solo una stupida vecchia come tante altre.»
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Una vittima un pò carogna
Ogni tanto Stephen King decide di lasciare da parte i mostri dei mondi paralleli e di dedicarsi a quelli reali. Questo è uno di quei casi e devo dire che ne è uscito un libro veramente azzeccato. Una storia di violenze domestiche, nella quale la vittima decide di averne avuto abbastanza. Niente di troppo originale in questa trama. L'originale sta nel modo in cui ci viene raccontata la storia: dalla stessa colpevole, che sta cercando di difendersi dall'accusa per un delitto che non ha commesso. Interessante anche il modo in cui ci viene presentata Dolores. Di solito ci immaginiamo le vittime di abusi domestici come dei poveri topolini, rintanti in un angolo che hanno appena la forza di squittire per il dolore e la paura. Non è il caso di questa donna: ruvida, sboccata, con una lingua che taglia il ferro. Talmente sopra le righe con i suoi atteggiamenti da diventare quasi simpatica, nonostante l'atrocità di quello che ha commesso. Solo a tratti salta fuori la sua umanità che la vita ha costretto a nascondersi il più in fondo possibile. E' la stessa Dolores che ci dice " a volte fare la carogna è l'unica cosa che rimane ad una donna."
Un romanzo più breve di quelli a cui ci ha abituiati King, ma dentro non manca nulla: una trama interessante, personaggi ben delineati ed il finale che alla fine speravamo di ottenere. Dopottutto le donne carogne un pò di simpatia ce la ispirano.
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“Duh-lorrr-isss!”
Accade più spesso di quanto si creda che un film superi in qualità il libro a cui si ispira, migliorando di fatto una trovata originale ma non adeguatamente sviluppata. E' il caso di questo romanzo di King, decisamente inferiore alla buona sceneggiatura che ne è stata tratta.
L'idea di fondo c'è ma il contenuto, che con tagli sapienti ci avrebbe sicuramente guadagnato, tende ad essere ripetitivo e verboso a discapito del mordente e della suspense.
Lo stile poi, forse penalizzato dalla traduzione, in alcuni punti rasenta la mediocrità.
Certo non aiutano espedienti narrativi difficili da gestire, come la mancanza di capitoli e paragrafi, sostituiti da un lungo ininterrotto monologo, e le frasi sgrammaticate piazzate a bella posta per rendere più verosimile la narrazione, ma che ottengono l'effetto contrario (chi sbaglia puntualmente i congiuntivi non riporta poi per filo e per segno le frasi corrette pronunciate da altri).
Peccato, perché non mancano passaggi di una certa efficacia e interessanti spunti di riflessione che culminano nella frase emblematica: “A volte fare la carogna è tutto quello che resta a una donna”.
Questa, in effetti, è la storia dell'improbabile alleanza di due “carogne” - donne, mogli e madri - che subiscono, reagiscono, uccidono e forse vincono. Ma forse no.
“Scavai una fossa per i miei nemici e ci cascai dentro io”.