Delitto impunito
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Presente ingombrante
….” Elie e Michel, Louise non contava più niente, c’ erano solo lui e l’ altro, Elie e gli altri, Elie e il mondo, Elie e il destino. Da un lato c’era lui che da anni ricercava un posto nel mondo, dall’ altro c’era tutto il resto e Michel ne era l’ incarnazione ”…
Elie e una lotta estenuante contro se’ stesso, quell’ insopportabile se’ in balia di eventi indirizzati da chi crede gli rubi la scena privandolo del proprio respiro esistenziale, di rituali e desideri, destituendolo da quel prezioso angolo di intimità che con tanta fatica si è conquistato e concesso, pochi affetti ritenuti focolaio domestico.
Il giovane protagonista è un talentuoso studente di matematica originario di Vilnius, capelli rossicci e quasi crespi, occhi sporgenti, labbra carnose, affittuario nella pensione della signora Lange, alloggia al piano di mezzo, una camera fredda d’ inverno e calda d’ estate, un corpo sgraziato che sa di solitudine alla ricerca di consenso.
Michel è il nuovo affittuario, un ventiduenne ebreo rumeno così diverso da Elie, capelli scuri e lisci, gli occhi di un nero profondo, la carnagione olivastra, elegantemente vestito, di famiglia ricca.
La sua presenza da subito sarà considerata una minaccia, rottura dell’ equilibrio precario della casa che non sarà più lo stesso, come le voci e i gesti.
E poi c’è Luise, la figlia della proprietaria, magra come la madre, un po’ più alta, gli stessi capelli biondi e gli occhi di un grigio slavato, lineamenti che rivelavano velata melanconia, una creatura fragile.
Per Elie Inizia un duello a distanza, sguardi rubati e silenzi ingannevoli, sospinto dalla gelosia, dagli occhi di chi vede nell’ altro ciò che lui non è, di chi non ha amici, costretto a elemosinare attenzioni, affetto, inseguendo un sogno infantile improvvisamente perso .
Un sentimento ingravescente, autoalimentato, inarrestabile, un’ idea che prende forma, la sola possibile, soluzione estrema per annientare il presente e riportare il futuro allo stato di quiete e di felicità pregressi, ma di cosa si tratta, rabbia, invidia, gelosia?
Difficile capire che cosa significhi perdere le proprie certezze, Michel è così sicuro di se’, per lui la vita è facile, riccamente vestita, un giuoco estremo che ignora l’ infelicita’ e i sentimenti altrui.
Elie continua a dibattere con il proprio io, sottraendosi a uno scontro impari, ricercando una solitudine pacificatoria, ma ormai è troppo tardi, accecato da un’ idea che i suoi occhi rendono certa e allora si nasconde, origlia, sbircia, pedina, immagina, ricostruisce una storia che gli si mostra e che gli altri negano, indifferenti e bugiardi.
Di fronte alla brutalità di un gesto premeditato non resta che sopravvivere alla rabbia e all’ eventuale senso di colpa in una vita altrove che si fa tormento, braccato da un senso di incompiutezza con la certezza che arriverà il giorno della resa dei conti.
Un tormento trascinato nel tempo, inutile scomparire, inseguito da un fantasma che potrebbe riprendere forma.
Ma è la propria ombra a farsi decisiva e ingombrante, rischiando di rivivere e di riperdere tutto, allontanato ancora una volta dalle proprie certezze, aspettando inutilmente un silenzio inquisitorio, tralasciando da tempo il proprio passato in una sorta di libertà condizionata, e allora non resta che accettare la sconfitta o spingersi oltre in un presente rivestito di indifferenza che è la più atroce delle sentenze.
“ Delitto impunito” ( 1953 ) è un thriller degenerato nella follia. Il protagonista vive l’ incubo di una vita parcheggiata in attesa di un epilogo per lui scontato, condannato da quella mano volutamente esitante.
Il suo occhio scruta e rappresenta, rimugina e si assenta, sopravvive a un’ apparenza sentimentale negatagli, i personaggi di contorno, al contrario, vivono quello che sentono in una recita esplicitamente ingannevole, estranea alla sua percezione.
In una minuziosa descrizione dei fatti e dei personaggi, condita da un rimuginio ininterrotto tra il reale e l’ immaginario, dove anime e corpi si intrecciano in uno stato di attesa eccessivamente protratto, si sviluppano due storie, nei fatti e nella testa del protagonista, due archi temporali in due luoghi diversi, nuovi legami famigliari, ma il tempo si è fermato e l’ altrove non è garanzia di salvezza, assalito dalla violenza reiterata in una strada senza ritorno…
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La crisi esistenziale di Elie.
Georges Simenon, l’indimenticabile autore di tante indagini del commissario Maigret, maestro indiscusso del giallo, ha scritto altri numerosi romanzi tra i quali questo “Delitto impunito” del 1953 (“Crime impuni”), tradotto due volte in italiano, nel 1955 per i tipi di Mondadori ed ora, nel 2023, da Adelphi. E’ la tormentata storia di due personaggi: Elie, uno studente polacco di umili origini, ed un altro giovane, Michel, di agiata famiglia romena. I due, per motivi di studio, alloggiano in una pensione di Liegi, diretta dalla bonaria e materna signora Lange, madre di una bella ragazza, Louise: ognuno ha la sua camera, con i pasti ci si arrangia, la conduzione è familiare, l’atmosfera sembra serena. Elie è lì da anni: in rapporti burrascosi con la sua famiglia, introverso, scontroso, poco socievole, sembra aver trovato nella pensione un ambiente a lui confacente. La pensione è il suo mondo, svolge varie mansioni, vive in una camera non riscaldata, non è una bellezza, occhi sporgenti, capelli rossicci, viso gonfio. Tutto sembra procedere in modo monotono e tranquillo, un rifugio sicuro e lezioni all’università, quando arriva un nuovo inquilino, Michel, tutto l’opposto di Elie. Di bell’aspetto, ricco, gioviale, viene sistemato nella più bella camera della pensione, per di più riscaldata; tenta di farsi amico Elie, gli propone di uscire insieme, ma riceve solo dinieghi: come osava il nuovo arrivato invadere la vita degli altri, turbare un ordine precostituito, il suo ordine! Elie è roso dalla rabbia, vede ed invidia in Michel quelle doti che lui non ha. Quando poi si accorge che Michel corteggia Louise e riesce addirittura a portarsela a letto, si sente una nullità, una gelosia assurda lo attanaglia, deve far qualcosa, cova propositi di vendetta: Michel diventa per lui un intruso, una minaccia per gli equilibri della sua vita, non gli resta che sopprimerlo. Elie s’inventa un telegramma da casa che lo costringe a partire, prende una pistola e, in una via nebbiosa della città, incontra Michel e gli spara, fuggendo poi bel buio della notte convinto di averlo ucciso.
Nella seconda parte del libro, siamo in America, a Carlson City, Arizona. Sono passati 26 anni, ritroviamo Elie, ingrassato e quasi irriconoscibile, impiegato alla reception di un Hotel. Dopo aver vagato per l’Europa, era approdato a New York e poi in giro con vari impieghi fino a sistemarsi nella città mineraria. Vita tranquilla, quasi certo di non essere stato scoperto, fino al giorno in cui approderà all’Hotel un ricco imprenditore, il nuovo padrone, circondato da segretari e assistenti: è Michel, sopravvissuto allo sparo, con il viso in parte rifatto artificialmente. Un’occhiata, sembrano non riconoscersi, ma Elie sa che è lui e che sta per arrivare il momento della resa dei conti. Vorrebbe incontrarlo, parlargli, sgombrare la mente da dubbi e rimorsi, confessare la sua colpa, ma l’altro sfugge, non gli dà un’occasione, forse, di redenzione: allora, ecco il colpo di scena finale, prevedibile ma non scontato. Ai lettori il piacere di scoprirlo.
Elie esce sconfitto, non è riuscito ad accettare il suo stato, ricorrendo all’illecito e decretando la propria condanna. Una sorta di delitto e castigo di dostoevskijana memoria, una lettura tragica del baratro in cui Elie cade, vittima della sua chiusura al mondo ed alle sue infinite sfaccettature. Simenon conosce perfettamente l’animo umano, entra nelle pieghe più nascoste del carattere dei suoi personaggi con il suo caratteristico stile che, con precisione e sottile arguzia, scava in profondità svelando attitudini e conflitti interiori in una quotidianità apparentemente normale.
La storia è ben dettagliata e intrigante: se ne consiglia senz’altro la lettura.
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Elie e Michel
Tra i grandi meriti di Georges Simenon vi è senza ombra di dubbio quello di riuscire sempre ad accompagnare il lettore in viaggi che non sono solo viaggi nel mondo del giallo o del mistero ma anche dell’animo umano. Questo accade in particolar modo, ma non solo, con i Simenon non Maigret, opere in cui la componente più oscura dell’umanità prende il sopravvento. Spesso ci troviamo davanti a opere scritte nel periodo americano del belga, altre volte è innegabile l’influsso sullo stesso di autori russi quali Dostoevskij ma di certo ogni scritto è unico e corposo nel suo genere.
“Delitto impunito”, già uscito nel 1954 con il titolo “Delitto senza castigo” e oggi riedito da Simona Mambrini con un titolo più fedele all’originale, fu scritto nella tenuta di Shadow Rock Farm nel 1953, in un villaggio lacustre del Connecticut che ispirò anche altre narrazioni.
A essere protagonista di queste pagine è Elie, ebreo che viene da Vilnius, oggi capitale della Lituania e da cui si è allontanato perché non tollerava più lo stile di vita sempre uguale e monotono.
«L’uomo che è solo faccia faccia con il suo destino.»
Elie ora vive a Liegi, vive in una stanza affittata nella casa della signora Lange. Qui si invaghisce della figlia della donna, Louise. Ben presto entra in scena Michel, dai capelli e gli occhi scuri, dalla veste elegante, dalle tante possibilità. Ha vissuto una vita più agiata, Michel, può tutto e in tutto quel che può ha anche conquistato il cuore di Louise. Si accorge della gelosia di Elie che spia i due innamorati, spinge la ragazza a pose più audaci che invitano Elie al desiderio di vendetta e punizione per l’amore perduto.
La vendetta non tarderà ad arrivare in un giorno nebbioso in cui Elie sparerà in volto a Michel. Tutto potrà sembrare conclusosi ma non sarà così e nella seconda parte del romanzo assisteremo a un secondo periodo temporale successivo al primo in cui Elie sarà receptionist in un albergo. Qui riapparirà anche Michel ma anche il concetto e l’idea di vendetta come giustizia.
Per Simenon è molto importante il suo personaggio. Così come costruito questo torna e ritorna ma soprattutto non fugge dal suo destino, gli va al contrario incontro. Simenon, ancora, non giudica le azioni del suo protagonista, non è il canonico narratore onniscente. Le osserva, lascia che facciano il loro corso. Ciò non accade per i lettori che al contrario sono colpiti e spinti a riflettere dalle scelte, azioni e valutazioni dei personaggi.
Non manca ancora il confronto con l’anima nera, oscura e cupa dell’uomo. Non manca il rimando a Dostoevskij. I temi affrontati sono tanti e si evolvono, così come si evolve lo stesso concetto di vendetta che nella seconda parte diventa una necessità, un fato, un qualcosa che si stacca dalle motivazioni iniziali ma che deve senza possibilità di appello essere perpetrata.
E non è forse la storia di Elie la storia di una resa dei conti prima di tutto con se stessi? Non è forse il resoconto tragico di un uomo ridicolo che si spinge ai confini massimi dell’illecito che finirà per risucchiarlo nell’ombra per l’eternità?
Un titolo duro, drammatico, crudele. Un libro che ci turba e in cui non troveremo mai una risposta a tutta la crudeltà di cui possiamo essere capaci.