Dead City
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La 'succursale americana' di Cosa Nostra
Stato del New Jersey, primi anni Settanta del secolo scorso: Charley Flowers, tiratore scelto degradato a picchiatore dopo un paio di incarichi falliti, e Harry Strega, che 'ha imparato a fare la sua parte' nella guerra del Vietnam, sono due mezzi scapestrati che ben presto saranno inghiottiti nella variante meno preferibile del tanto millantato 'sogno americano': sottomettiti ai potenti che sono arrivati prima di te, fai il lecchino finché non arrivi a frequentare l'uomo che tira le fila dei business della città e, appena si gira dandoti le spalle, spodestalo pugnalandolo alla schiena. Non solo a livello metaforico.
Peccato che il (pre)potente di turno sia Joe Zucco, capomafia 51enne impresario di pompe funebri con moglie paralitica e amante sulla cui maggiore età è bene mantenere il beneficio del dubbio. Le sue 'specialità' riguardano strozzinaggio, trading in Borsa, estorsioni e contrabbando, odia i tradimenti e gli sgarri dei suoi sottoposti, e punisce quelli che la fanno fuori dal vaso con 'tutte le esagerazioni emotive e la risoluta contrarietà di un despota feudale.'.
Lo proverà sulla sua stessa pelle l'altro gangster del New Jersey, Alexis Machine, il quale, purtroppo per lui, una mattina si è alzato con lo scopo di fare fuori Zucco e divenire il signore incontrastato del Jersey. Solo che tutti, prima di muovere un dito, devono avere il placet della Commissione di Cosa Nostra, élite di inarrivabili e fumosi 'colletti bianchi' che hanno l'obbligo di far rispettare le 'onorate' regole alla base di ogni associazione di delinquenti.
Ed è così che la vita di Charley e Harry inizia ad arricchirsi di lavoretti sempre più rischiosi, ed inevitabilmente, fra un mattatoio dove confezionano salsicce con resti umani, un nightclub poco raccomandabile, un'esecuzione in diretta del proprio fratello di sangue, un'estorsione in piena regola e plurimi omicidi, gli occhi dei due 'bravi ragazzi' vengono accecati dall'idea illusoria di potersi creare un impero che porti il proprio nome anche fuori dal continente americano. Almeno fino a quando non saranno Art Hammis e Gino Agucci, fedelissimi di Zucco, a riportare tutti alla realtà dei fatti, regalando ai due tirapiedi un biglietto di sola andata per una destinazione dalla quale è impossibile fare ritorno.
Shane Stevens è straordinario nel presentarci una 'ordinaria follia del crimine' che di ordinario ha davvero poco, e lo dimostra un tono narrativo quasi cavalleresco, in cui i meschini protagonisti si abbandonano vanamente ai propri desideri irrazionali, campeggiando apertamente flussi di memoria, monologhi, dialoghi e soliloqui perennemente sospesi fra una musicalità virtuosa e una epicità d'altri tempi.
Il tutto circondato da un'ambientazione di grande qualità, fra cui spicca una New York cupa, grigia, fumosa e ricolma di un'aria salmastra che non lascia presagire nulla di buono, proprio come se una 'spada di Damocle' pendesse inesorabile sulle figure più abiette della metropoli statunitense. La quale, di notte, fulmineamente, si trasforma, e di conseguenza ecco l'Empire State Building, la West Side Highway ed il fiume Hudson ergersi a simulacri di forze ineluttabili, fortissime, scintillanti, quasi ossequiose.
Una vera e propria (dis)sacra(ta) rappresentazione di un mondo effimero e sostanzialmente vuoto, con tutti i suoi aspetti ricolmi di radicata menzogna, pomposità lussureggiante e basilari ingiustizie.
Sul piano stilistico, è da sottolineare l'abilità dell'autore nel (vivi)sezionare chirurgicamente, quasi impugnasse un bisturi al posto della penna, le molteplici facce di tutti i protagonisti principali, Flowers su tutti, e nel presentarle ai lettori con notevole cura e puntigliosità. Mentre, a livello narrativo, non mancano tuttavia spaccati dettagliatissimi di omicidi macabri, commissionati da gentleman del racket e eseguiti da aguzzini ai quali è sufficiente impugnare un coltello o un'arma da fuoco per scrollarsi di dosso la benché minima emozione e sezionare, tagliuzzare, stuprare, inveire, dilaniare, trapassare e maciullare corpi umani come se si divertissero ad assumere a turno il ruolo di un Dio perverso, giustiziere e cinico alla massima potenza.
Un libro dalle sfumature noir, che non ha nella trama il suo punto di forza, ma che si propone, mediante una scrittura essenziale e senza fronzoli, di spiegare al lettore la fusione teorizzata nel 1989 da Paolo Borsellino tra la sfera politica e le società dell'onore.
Perchè 'Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d'accordo.', ma soprattutto perché 'Qui ce la fai solamente se ce la fa anche l'altro, e allora tutti hanno una terra della torta.'.