CSI Alaska. Il silenzio della neve
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Un thriller tra motoslitte... e cani da slitta!
Negli ultimi tempi ci siamo abituati ad affrontare il rigido clima norvegese, ma con questo thriller approdiamo in un'ambientazione nuova e del tutto originale: siamo in Alaska e più precisamente ci ritroviamo nel Bush, ovvero quella parte dello Stato che non è stata raggiunta dalla rete stradale nordamericana.
Leggendo le descrizioni del luogo sembra di vedersi davanti quelle immense distese di neve, quelle slitte trainate dai cani... quella gente che si sposta con le motoslitte (sapevate che la Super Jag è la migliore della Arctic Cat, il mezzo di trasporto più all'avanguardia del Bush?!) o con gli aeroplani, e non con i soliti mezzi cui siamo soliti pensare; senza dimenticare il silenzio della neve, che nasconde ogni traccia e che occulta anche il più piccolo segreto di una comunità, gli Aleuti, di cui fa parte anche la protagonista di questo libro: Kate Shugak, "che fino a quattordici mesi prima era stata la punta di diamante dello staff investigativo dell'ufficio del procuratore di Anchorage", finchè una brutta avventura non l'aveva convinta a ritirarsi a vita solitaria (se non si considera la fedele Mutt), nella sua fattoria; ed è proprio qui che viene raggiunta dal suo ex collega Jack e da un agente dell'FBI, che la incaricano di scoprire che fine abbiano fatto un ranger scomparso, figlio di un membro del Congresso dell'Ohio, e l'investigatore mandato in sua ricerca.
La trama di questo thriller non è troppo complessa, ma il libro si legge piacevolmente, sia perchè a tratti risulta divertente (soprattutto nei dialoghi tra Kate e Mutt), sia perchè in esso trovano spazio anche temi interessanti quali le usanze, le tradizioni della popolazione del luogo e la loro chiusura mentale nei confronti dei forestieri, chiamati letteralmente Outsiders (ovvero di Fuori: americani che non sono nè nati nè cresciuti in Alaska); la caccia di caribù, cervi, ecc...; nonchè le problematiche legate all'urbanizzazione, o meglio all'"americanizazzione" dell'Alaska.
Il finale è inaspettato, non si riesce a credere che il responsabile della scomparsa dei due uomini sia proprio quel personaggio, così bizzarro e così... autoctono! Ma in realtà, immedesimandosi nelle persone del luogo e cercando di ragionare con la loro testa (facendo appunto i conti con la loro mentalità), si riesce a capire, o quanto meno a intuire, per quale motivo le cose siano andate proprio così.
Basta leggere tra le righe delle parole dette dal colpevole, per intuire fino a che punto sia preda della disperazione, della paura di perdere ciò che nel corso degli anni è stato costruito dalla sua famiglia per le future generazioni, una paura folle che lo spinge a difendere il suo territorio nel modo più feroce e inappellabile possibile:
"Oh, al diavolo Kate, far fuori un ranger in Alaska non è uccidere, lo sai anche tu....se lasciamo che vengano qui, facciano le loro perizie e aprano aree da campeggio, presto saremo pieni di camper fino alle orecchie... Non posso permettere che accada".