Chi perde paga
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Il secondo romanzo della trilogia iniziata con Mr. Mercedes. Svegliati genio! Il genio è John Rothstein, scrittore reso immortale dal suo personaggio feticcio Jimmy Gold, che però non pubblica più da vent'anni. L'uomo che lo apostrofa è Morris Bellamy, il suo fan più accanito, piombato a casa sua di notte, furibondo non solo perché Rothstein ha smesso di scrivere, ma perché ha fatto finire malissimo il suo adorato Jimmy. Bellamy è venuto a rapinarlo, ma soprattutto a vendicarsi. E così, una volta estorta la combinazione della cassaforte al vecchio autore, si libera di lui facendogli saltare l'illustre cervello. Non sa ancora che oltre ai soldi, Rothstein nascondeva decine di taccuini con gli appunti per un nuovo romanzo. E non sa che passeranno trent'anni prima che possa recuperarli. A quel punto, però, dovrà fare i conti con Bill Hodges, il detective in pensione eroe melanconico di Mr. Mercedes.
Recensione della Redazione QLibri
Il nome, non fa il capolavoro
Avete degli artisti che per voi rappresentano una "garanzia"? Quelli che magari tra un lavoro e l'altro fanno passare anni (che a noi sembrano secoli), ma una volta che l'attesa è finita questa viene ampiamente ripagata? Geni che vanno sempre oltre le aspettative, sempre in grado di superarsi anche se può sembrare impossibile. Cristopher Nolan? Un film ogni due anni, sempre più geniale. I Coldplay? Un album ogni tre anni, un capolavoro dopo l'altro.
Questo discorso vale anche per i grandi della letteratura, ovviamente. Ma cosa accade quando questi cedono allo strapotere dei soldi e del marketing? Probabilmente quello che è accaduto a Stephen King. Sfornare due libri all'anno non può che incidere negativamente sulla qualità dei suoi lavori, che riescono a mantenersi su un livello medio solo perchè l'autore rimane di comunque alto livello.
Però, l'impressione che per far soldi ci si stia privando di capolavori che potrebbero essere partoriti con più calma, è palese.
I tempi di 22/11/'63 sono lontani, eppure non si tratta di secoli fa.
Con questa premessa, eccomi qua, a recensire il secondo capitolo della trilogia (thriller?) di Stephen King, che ha come protagonista il detective in pensione William K. Hodges, sequel del tanto discusso e criticato "Mr. Mercedes".
Sono stati fatti passi avanti? Vi chiederete. Più o meno, vi dirò io.
Rispetto al suo predecessore, "Chi perde paga" presenta nella trama un pizzico di originalità in più, nonostante ripresenti un idea che l'autore ha già trattato in passato in "Misery non deve morire". Chissà se lo scrittore non nasconda una reale paura di essere rapito o addirittura ammazzato da uno dei suoi fan più accaniti. Di questo passo, il rischio aumenta.
"Chi perde paga" è più originale del suo prequel, ma ugualmente privo di grossi colpi di scena e con troppe forzature volte a compiacere i lettori più "sentimentali". Quest'ultimo aspetto cozza irrimediabilmente con la definizione di Hard-boiled, che è il genere (a quanto pare) associato a questa trilogia.
Quasi inutile aggiungerlo, ma lo stile di King è come al solito ottimo, senza sbavature, piacevole, ma forse un tentativo di essere più ricercato e meno semplicistico sta iniziando a diventare necessario, perchè il rischio di stufare definitivamente i lettori si sta accentuando.
Il libro è diviso in due: la storia vera e propria ha inizio nel 1978, quando un'acclamato e solitario scrittore, John Rothstein, viene assassinato da un rapinatore, che è anche un suo accanito fan e lo accusa di aver rovinato la sua più famosa trilogia, quella de "Il fuggiasco", con il terzo capitolo della serie. Un ottimo motivo per sparargli un colpo in testa, più o meno la stessa reazione che ho avuto io nei confronti del regista di Alien 3.
I taccuini rubati allo scrittore defunto contengono due romanzi che fanno da seguito al terzo libro de "Il fuggiasco", ma prima che possa leggerli, l'assassino viene sbattuto in galera per un altro crimine commesso da ubriaco. Passeranno trent'anni prima di scoprire che i taccuini che ha nascosto e atteso di leggere per tutti quegli anni, sono stati trovati da un ragazzino. Questo scatena la sua furia assassina. In tutto questo, il presunto protagonista William Hodges ha un ruolo quasi secondario. Il suo personaggio non subisce alcun tipo di evoluzione, nè viene approfondito alcunchè sulla sua personalità o il suo passato. Ma dopotutto, compare per meno di metà libro. Questa non è certo una scelta felice per qualsiasi romanzo, figurarsi per una serie a più capitoli.
Abbiamo di fronte pura letteratura di intrattenimento e niente più, ma da scrittori del calibro di Stephen King è assolutamente lecito aspettarsi di più, ed è proprio da questo che nasce la delusione e non dalla qualità del romanzo in sè, perchè non è comunque da buttare.
Da qui la mia valutazione finale, che forse vi aspettavate più spietata, date le mie parole. Ma bisogna essere oggettivi e scorporare in minima parte l'opera dall'autore.
Per concludere, un mio breve pensiero rivolto a lui.
Caro King, torna nuovamente a osare, perchè questa trilogia, a meno di un finale capolavoro che a questo punto risulta molto improbabile, non resterà nella storia come quella del tuo John Rothstein. Ma noi siamo certi che puoi fare molto, molto di più.
"Nella vita non ti viene regalato nulla e anche il vascello più resistente ai marosi è destinato ad affondare, glu glu glu. Secondo Hodges, l'unico modo di pareggiare i conti consiste nello sfruttare al meglio ogni giorno, sforzandosi di restare a galla."
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Fermata senza viaggio
Uno scrittore di successo ha abbandonato la ribalta da alcuni anni, non ha più pubblicato alcun romanzo e si è silenziosamente eclissato dal suo pubblico.
Una sera tre uomini si introducono nella sua villa per quella che sembrerebbe una rapina ma uno dei rapinatori ha qualcosa di molto personale da rinfacciare allo scrittore e finisce per ucciderlo. I rapinatori fuggono con un bottino composto da denaro contante e da un certo numero di taccuini su cui lo scrittore avrebbe preso appunti per futuri romanzi .
Ma non riusciranno a godersi il malloppo, due di loro ci lasciano la pelle e l'unico sopravvissuto viene arrestato per un altro crimine e condannato all'ergastolo.
La valigia col bottino rimane sepolta per trent'anni in un bosco fino a che un ragazzino con problemi familiari non la ritrova casualmente , dapprima usa i soldi per aiutare la famiglia poi, crescendo si appassiona di letteratura, in particolare dell'autore di tre romanzi di grande successo assassinato
trent'anni prima durante una rapina finita male, ci metterà a questo punto molto poco a capire l'importanza dei taccuini che dapprima lo affascinano dal punto di vista letterario, immaginate di poter leggere i nuovi romanzi mai pubblicati del vostro autore preferito, poi protraendosi i problemi finanziari dei suoi ed essendo terminati i contanti nella valigia, decide di far fruttare i preziosi taccuini cercando di venderli sul mercato delle opere letterarie rare ma commette un'imprudenza che lo mette in serio pericolo. Nel frattempo il ladro dei taccuini ha scontato gli anni minimi previsti dalla legge americana come ergastolo e una volta uscito l'unica sua ragione di vita è tornare in possesso di quanto aveva rubato e accuratamente nascosto in un bosco, è disposto a tutto pur di tornarne in possesso accecato da una rabbia covata per oltre trent'anni.
La situazione per il giovane protagonista diventerà rapidamente drammatica ma troverà degli insospettabili ed inattesi alleati.
Tornano temi cari al Re come il rapporto a volte malato tra l'autore e i suoi lettori (Misery) , l'adolescenza con le sue difficoltà nel crescere e nel rapportarsi con il mondo degli adulti e via discorrendo .
King si avventura nel genere poliziesco portandosi appresso la consuetà capacità di raccontare storie e personaggi ma fuori dal suo territorio in cui il fantastico ed ilsoprannaturale trasfigurano la realtà o servono da espediente per descrivere le paure che ci portiamo dentro, alle prese con incubi totalmente reali senza ombre e sussuri, perde un pò di smalto e scrive una storia che scorre anche bene ma non da brividi, manca clamorosamente di pathos nonostante la drammaticità delle situazioni .
Ti sembra di stare guardando un telefilm alla TV in cui sai che i buoni alla fine la scamperanno (la scamperanno ? Non dico nulla) e in fondo non riesci ad entrare in quel mondo alternativo che di solito crea King perchè quello di questo romanzo assomiglia troppo alla nostra realtà quotidiana, non ti fa "viaggiare".
Un King in tono minore come ha giustamente sottolineato qualcuno, godibile ma che non rimane nel cuore e per un affezionato lettore del Maestro è una pecca enorme.
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Un altro King minore
Fingendo di ignorare lo sconclusionato titolo italiano – che c’era di male a tradurre ‘chi trova, tiene’ come l’originale (Finders keepers)? – la seconda puntata dedicata al detective in pensione Bill Hodges regala impressioni ambivalenti. Ciò che colpisce subito è lo sviluppo di temi cari allo scrittore che si danno il cambio a lungo prima di fondersi: il racconto di ambiente carcerario, l’adolescente costretto a vivere l’età di transizione in una famiglia zoppicante nonché, soprattutto, il rapporto tra autore e lettore che apre il romanzo e conduce il buono e il cattivo su traiettorie più somiglianti di quanto il primo desidererebbe. Simili basi potrebbero indurre a temere una rimasticatura, ma l’indiscutibile capacità di raccontare vivacizza la narrazione parallela delle vicende con protagonisti il galeotto Morris e il giovane Pete in una metà iniziale che procede con un passo compassato che non è certo una novità per King. Quando i due filoni giungono a contatto, entra in scena l’investigatore – sempre spalleggiato da Holly e Jerome – e il ritmo accelera mentre la struttura cambia evolvendo in un montaggio alternato che si fa via via più serrato sino a condurre alla precedibile conclusione. E’ questo il segmento con più spiccate caratteristiche noir (genere al quale la trilogia di Hodges, a detta di chi l’ha scritta, appartiene) e nel complesso funziona, anche perché l’elemento sovrannaturale è lasciato fuori, cosa che non accadeva del tutto in ‘Mr. Mercedes’ e non capiterà nel conclusivo ‘End of watch’, visto quel che succede durante le brevi apparizioni di Brady Hartsfield: l’unica pecca è un’evidente mancanza di cattiveria che dipinga la storia davvero a tinte oscure – insomma, possibile che tutti i defunti facciano parte della squadra dei reprobi? – ma, del resto, la ferocia non è nelle corde del King degli ultimi anni Tutta la vicenda gira attorno a un baule contenente i soldi e i romanzi inediti di uno scrittore autosegregatosi dal mondo (Salinger? Chi ha detto Salinger?): novello Kathy Bates, li ruba Morris pervaso dal desiderio di vendetta per la piega che hanno preso le avventure dell’adorato Jimmy Gold, personaggio creato dal presto trapassato John Rothstein, ma non se li può godere dato che viene arrestato per un altro delitto. Nella refurtiva si imbatte per caso Pete, che usa il denaro per puntellare il disastrato bilancio familiare, ma, in special modo, si appassiona a Gold con un’intensità simile a quella di Morris: nel momento in cui quest’ultimo esce di prigione, il suo unico scopo è recuperare il tesoro che aveva sepolto, così che lo scontro si fa inevitabile sebbene la buona stella del ragazzo faccia sì che Hodges venga seppur casualmente coinvolto. Seguendo uma ricetta ormai sperimentata, King dà forma al tutto definendo con una certa cura i personaggi e rendendo vive le ambientazioni: se si aggiunge che stavolta gli riesce di non sbagliare il finale, la soddisfazione complessiva risulta superiore a quella delle ultime opere con le quali condivide, però, un più che vago sentore di pilota automatico.
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La bidimensionalità che non paga
“Sono tutte stronzate” si ripete come un mantra Morris Bellamy, e questa formula magica gli permette di compiere con freddezza i delitti più cruenti in nome di un solo obiettivo: recuperare i romanzi inediti del suo scrittore preferito, e finalmente scoprirne il finale. Guai a chi si troverà sulla sua strada!
La frase di Morris mi risuona in testa alla fine di quest’ultimo romanzo di Stephen King, nell’atto di fare un bilancio di questa lettura e “sentire” il romanzo, ciò che mi ha lasciato dentro. E purtroppo mi sembra proprio adatta.
La trama sa coinvolgere, lo stile è buono (trattasi pur sempre di uno scrittore di fama, spesso meritata), il ritmo narrativo è serrato, eppure manca qualcosa.
Il lessico è volutamente crudo e tagliente: parla un narratore poco appariscente, che sembra voler trasmettere tutta la brutalità e la prosaicità di certi personaggi. Eppure rimango perplessa dalla volgarità del linguaggio e delle immagini, per quanto coltivata intenzionalmente per immergere il lettore in un contesto di degrado morale, e temo che possa trattarsi semplicemente della scelta più banale, indice di una sottostante povertà di contenuti.
E poi, ancora, quelle frasi brevi e spezzettate! Che nostalgia per gli autori capaci di tornire pazientemente lunghe frasi, invece di troncarle miseramente facendo loro indossare la maschera artificiosa della colloquialità e dell’immediatezza.
In sintesi temo si tratti di un romanzo prodotto in serie, con personaggi e storie prodotti in serie. I protagonisti, le frasi, i brandelli delle loro storie affollano le pagine di un libro in cui però manca l’anima.
E’ solo vicenda, solo azione autoreferenziale in cui non scorgo profondità né tridimensionalità. Girata l’ultima pagina, accade che il libro non mi lasci nulla.
La sensazione rispetto all’autore e alle sue potenzialità è di talento sprecato, di rinuncia agli aspetti qualitativi a favore di un criterio di quantità “commerciale” che proietta assai lontano dalla buona narrativa.
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Hodges parte seconda
Trovo molto improbabile questo investigatore creato da Stephen King e lo stesso devo dire della sua scalcinata banda di collaboratori. Però il detective in pensione Bill Hodges con tutti i suoi acciacchi dovuti all'età, le sue tristezze e debolezze mi è simpatico. Certo, se siamo alla ricerca di adrenalina e suspence non le troveremo dentro questo volume.
Nel secondo episodio della trilogia dedicata a questo arzillo vecchietto ( che a me è piaciuto più del primo) vediamo la sua comparsa dopo aver girato più della metà delle pagine. La prima parte ci racconta quanto successo nei tre decenni precedenti a due ragazzi nati ad alcune decadi di distanza, ma stregati allo stesso modo dagli appunt inediti di un noto scrittore. Il primo dei due uccide il suo mito, non tanto per rubargli soldi e taccuini quanto per punirlo di aver trasformato il protagonista dei suoi romanzi in un pantofolaio incallito. Finito in prigione per altre ragioni trascorrerà gli anni succesivi a sognare i taccuini che non ha avuto il tempo di leggere.
Il secondo giovane è quello, che per una serie di coincidenze favorevoli leggerà i taccuini e per altrettante sfortunate ragioni finirà in guai più grandi di quelli che può gestire. A questo punto interverrà Hodges e...
Il romanzo si legge molto agevolmente, i continui passaggi da uno scenario all'altro sono fatti con una tale abilità da un creare disorientamenti. I personaggi sono ben strutturati, non sempre credibili, ma capaci di destare emozioni.
Mi è piaciuta la prima parte e al di là delle coincidenza eccessive ho trovato la trama originale e nuova. Bella l'idea di far rivivere anche a uno dei protagonisti del libro la scena in cui nel primo volume, la Mercedes si lancia sulla folla di disoccupati in coda. La parte più prettamente investigativa, invece mi ha entusiasmata poco.
Credo comunque che leggerò anche la terza parte della serie: così, per vedere come va a finire.