Bugie bianche
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Saga familiare classica.
Un bel libro.
Su questo non ci piove.
Però ci sono ... dei però, appunto!
E questi però "pesano" al punto che sono sinceramente in dubbio se consigliarlo o meno.
Tutto il romanzo è basato su un mistero: che fine ha fatto Michael, il giovane rampollo della famiglia Salter?
Tutti i presupposti fanno pensare che sia morto, compresa l’originalissima narrazione in prima persona, direttamente dall’aldilà, con tanto di sottile invidia per il fantasma del prozio David, visto e temuto da tutti.
Il problema è che non si capisce quando: è morto davvero nel lago per mano della zia Ursula, oppure è riuscito a fuggire trovando la fine in un secondo momento?
Questo è l’atroce dubbio che da anni regola la vita della famiglia Salter. L’ansia del non sapere. E la consapevolezza che ciascuno ha a disposizione una “fettina” di verità e, rifiutandosi di condividerla, continua ad alimentare dubbi ed incertezze.
La narrazione si articola su due diversi piani. Uno presente, ed uno passato. Il lettore riesce a mantenere comunque le redini di una trama avvincente. Il ritmo è serrato. La curiosità cresce attimo dopo attimo, e sembra quasi di perdersi in uno stile cristallino e pulito, di fare amicizia con i personaggi, tratteggiati talmente bene da rendere impossibile non entrare in profonda sintonia con ciascuno di essi.
Nella seconda parte, tuttavia qualcosa cambia.
Se fra i lettori di questa recensione c’è qualche telespettatore di Beautiful non è difficile capire di cosa sto parlando. Avete presente gli interminabili dialoghi in salotto fatti di aria fritta nel burro di nebbia? Ecco. Non so quante volte ho trovato scambi di battute come questo:
“Cos’è che sei venuto a sapere?/Cosa ti ha detto tizio?”
“Non te lo posso dire.”
Nella seconda parte ci si perde semplicemente. Lo stile si appesantisce. Le descrizioni diventano interminabile e dense di dettagli non funzionali allo sviluppo della narrazione. Alla fine diventa difficile ricordarsi nel dettaglio “chi sa cosa”, e tutto involve in una sorta di “polpettone” da fare invidia alle soap-opera più noiose.
Questo fa calare un po’ l’attenzione nei confronti del libro che, in questa seconda parte, perde un po’ la sua intrinseca (e sicuramente non indifferente) qualità.