Angélique
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Recensione della Redazione QLibri
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Un angelo satanico e troppi coup de theatre
Mathias Taillefer è un ex poliziotto, pieno di rancori, disillusioni e cicatrici, nel fisico e nella mente. Conduce la vita precaria dei cardio-trapiantati con l’aggravante di non aver alcuno scopo, alcun punto di riferimento a cui aggrapparsi, ma solo rimpianti, rimorsi e torti subiti. Il 27 dicembre 2021 si trova all’Hôpital Pompidou: ha avuto una crisi cardiaca, lieve, ma tale da fargli perdere i sensi e richiedere il ricovero in pronto soccorso. Si sta riprendendo, ma, nel lettino d’ospedale dove riposa, viene disturbato dal suono di un violoncello. A suonarlo è la diciassettenne Louise Collange, che fa parte di una associazione che si prefigge di alleviare la degenza dei malati per mezzo della musica. Ma la ragazza ha, anche, un secondo fine: sua madre, Stella Petrenko, ex étoile dell’Opéra, è morta alcuni mesi prima precipitando dal balcone di casa sua. Louise non crede a ciò che sostiene la polizia, cioè che si sia trattato di un banale incidente domestico. Così si attacca alle costole di Mathias perché vuole che indaghi sul caso anche a dispetto della astiosa riluttanza dell’uomo.
Inizia, così, un’indagine strampalata dai risvolti sorprendenti, soprattutto perché Mathias non è ciò che Louise crede che sia (e l’errore potrebbe costarle la vita), ma soprattutto perché nessuno dei protagonisti di questa storia è veramente ciò che appare a prima vista e ogni poche pagine un'inattesa sorpresa rivolterà le carte in tavola.
“Angélique” è un romanzo decisamente particolare, difficilmente inquadrabile in un ben preciso genere. L’incipit farebbe pensare al rifacimento francese del bel romanzo di Connelly “Debito di sangue”, ma già dopo pochi capitoli il tono muta. L’A. ci rivela ben presto chi sia il colpevole degli omicidi, quali siano le sue motivazioni e quale fu il modus operandi. In seguito ci pone davanti a una continua serie di rovesciamenti di fronte e colpi di scena tali da disorientare e confondere, come in un infinito gioco di specchi e mascheramenti. Giunti al finale del libro, costituito da una serie di frammenti (è proprio questo il titolo della sezione che dovrebbe spiegare i tanti dubbi ancora presenti in chi legge) si potrebbe dire d’aver letto una turbinosa storia d’azione e di intrighi, magari un po’ troppo arzigogolata e intricata, ma, comunque, avvincente e coinvolgente; una di quelle trame ideali da cui trarre un film con scene convulse, sorprese a non finire e consolatorio happy end. E, assai probabilmente, questo è l’intento ultimo dell’A., le cui opere, in passato, sono già state sfruttate dalla cinematografia.
Purtroppo non è proprio così. Innanzi tutto Musso non si dà la minima pena di approfondire i risvolti psicologici dei protagonisti né si concede la minima divagazione per descrivere gli ambienti, le situazioni, i personaggi. Le uniche precisazioni “d’ambiente” si occupano di comunicarci qual è la marca del supporto informatico, dell’abito o dell’automobile usata dagli attori del dramma. Insomma un’incessante “pubblicità occulta” di cui non si sente assolutamente il bisogno. Non c’è altra deviazione dall’unico scopo che si prefigge il suo racconto: portare a termine, nel modo più lineare possibile, la frenetica, attorcigliata vicenda.
Inoltre non viene neppure fatto il tentativo di entrare in sintonia col lettore. Pare che la narrazione sia indirizzata a iniziati: chi non ha assoluta familiarità con Parigi e con le abitudini, i riti, i ritmi, i comportamenti, le conoscenze dei suoi abitanti si trova immediatamente spaesato. Fatica a comprendere certi ammiccamenti, resta spesso perso nella vana ricerca di una chiave di lettura che lo aiuti a interpretare i sottintesi e gli atteggiamenti dei personaggi.
La storia, poi, è decisamente al limite del credibile e del plausibile. Spuntano continuamente metaforici “conigli dal cappello” che consentono di mutare l’esito di avvenimenti che apparirebbero altrimenti scontati e dall’esito inevitabile. Ma questi colpi di scena sono, il più delle volte, forzati e decisamente improbabili; soprattutto non riescono appieno a spiegare il succedersi dei fatti, lasciando una fastidiosa sensazione di incompiuto e di frettolosità nell’esposizione.
Insomma, ragionandoci sopra, si tratta più di un libro pieno di trovate, piuttosto che di contenuti. Una storia ottima come sceneggiatura televisiva, dove lo spettatore, distratto, non si sofferma sui particolari, piuttosto che per un’opera letteraria che piacerebbe gustare e meditare con calma. Peccato perché i personaggi scelti per questo romanzo sembravano intriganti e avrebbero meritato un miglior servizio per le loro storie contorte!
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Per l’angolo del pignolo ci sarebbero alcuni rilievi su incongruenze, forse, spesso, causate da una traduzione non accurata, ma a questo punto, preferisco non infierire.
Indicazioni utili
- sì
- no
Non conosco le altre opere di Musso, quindi non posso dire se sia o meno in linea con il suo stile. Spero, per lui, che abbia dato migliori prove di sé.