Narrativa straniera Gialli, Thriller, Horror Abbiamo sempre vissuto nel castello
 

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Letteratura straniera

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"A Shirley Jackson, che non ha mai avuto bisogno di alzare la voce"; con questa dedica si apre "L'incendiaria" di Stephen King. È infatti con toni sommessi e deliziosamente sardonici che la diciottenne Mary Katherine ci racconta della grande casa avita dove vive reclusa, in uno stato di idilliaca felicità, con la bellissima sorella Constance e uno zio invalido. Non ci sarebbe nulla di strano nella loro passione per i minuti riti quotidiani, la buona cucina e il giardinaggio, se non fosse che tutti gli altri membri della famiglia Blackwood sono morti avvelenati sei anni prima, seduti a tavola, proprio lì in sala da pranzo. E quando in tanta armonia irrompe l'Estraneo (nella persona del cugino Charles), si snoda sotto i nostri occhi, con piccoli tocchi stregoneschi, una storia sottilmente perturbante che ha le ingannevoli caratteristiche formali di una commedia.



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Abbiamo sempre vissuto nel castello 2023-07-01 14:28:34 Menti55
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Menti55 Opinione inserita da Menti55    01 Luglio, 2023
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Un classico della narrativa gotica

La vita sembra scorrere tranquilla nel Castello dei Blackwood con il tempo scandito dal rituale quotidiano colazione, pranzo, cena. Gli abitanti sono solo 3: Constance, la sorella Mary Katherin (Merricat) e lo zio Julian, fratello del padre; a loro si aggiunge il gatto Jonas. In realtà nulla è come sembra. Già dal fulminante incipit si intuisce che Merricat ha qualche “problema”: “…con un pizzico di fortuna sarei potuta nascere lupo mannaro…Detesto lavarmi, e i cani, e il rumore. Le mie passioni sono… e l’Amanita phalloides, il fungo mortale. Tutti gli altri membri della famiglia sono morti”. Constance, dopo essere stata scagionata dall’accusa di aver avvelenato la famiglia con l’arsenico 6 anni prima, non esce più di casa per il terrore di incontrare persone; Julian, paralizzato su una sedia a rotelle, conseguenza del veleno che ha ingerito in minima parte, è piuttosto svampito. Aiutati dall’alta recinzione che costeggia la magione, i Blackwood vivono isolati dal resto della comunità tranne per gli approvvigionamenti che Mary fa in paese (fra grandi turbamenti mentali) e per il tè settimanale con l’amica di famiglia Helen Clarke. La Jackson, come sempre, è maestra nel delineare le diverse personalità ma si supera nella descrizione di Mary (l’Io narrante del romanzo). Infantile, psicotica, Merricat vive in un mondo fantastico a suo agio solo nel parco che circonda il castello facendo della natura circostante il suo habitat naturale. Ma Mary ha anche un sesto senso e quando d’improvviso si presenta e si stabilisce in casa il loro cugino Charles, figlio di un altro fratello del padre, intuisce che questa presenza è pericolosa per il precario equilibrio familiare. Charles, infatti, fa colpo su Constance prospettandole una nuova vita da cui né Mary né lo zio Julian sembra debbano farne parte. Merricat prova ad opporre a Charles i suoi amuleti, le sue parole magiche, i più fantasiosi sortilegi per allontanarlo, invano, dal Castello fino al drammatico epilogo finale. La Jackson, in questo breve romanzo, torna ancora una volta sui suoi dilemmi classici: qual è il confine tra il bene e il male? Dove risiede la cattiveria umana? Solo nelle azioni delittuose o non piuttosto nello scherno della comunità nei confronti di qualcuno? È lecito aver paura degli altri (i concittadini nel loro insieme in questo caso) o bisogna aprirsi agli altri come i Clarke, i Wright, i Carrington?

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Consigliato a chi ha letto...
La lotteria della Jackson, a chi ama la letteratura gotica, un po' thriller...
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Abbiamo sempre vissuto nel castello 2021-10-08 07:44:22 ALI77
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ALI77 Opinione inserita da ALI77    08 Ottobre, 2021
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Una storia folle, agghiacciante, disturbante

Fin dalle prime pagine si respira un'atmosfera cupa e inquietante, l'autrice è stata molto brava a suscitare nel lettore un senso di smarrimento, di paura e di claustrofobia, non sapevo dove mi avrebbe portato questa storia.
La narratrice del libro è Mary Katherine Blackwood che vive assieme alla sorella Constance e allo zio Julian in una grande casa fuori dalla città di New England.
Mary e Constance seguono una serie di regole, alle sorelle non piacciono i cambiamenti, tutto doveva rimanere al proprio posto e non venire spostato. Costance, cucinava e badava a Julian, lo zio malato e passava molto tempo nel giardino e non usciva mai.
Mary, invece, andava in città solo per delle necessità due volte a settimana, andava a fare la spesa e in biblioteca, ma stava ben lontano dalle persone.

"Gli abitanti del paese ci hanno sempre odiato."(cit)

I Blackwood non usavano la posta, né avevano un telefono non amavano ricevere degli estranei, alcuni conoscenti andavano da loro a fargli visita ma sempre avvisando prima del loro arrivo.
Gli abitanti del paese hanno paura di questa famiglia, li temono e li tengono a distanza.
In questo storia c'era qualcosa di strano fin dal principio, con il passare delle pagine, veniamo a conoscenza che tutti gli altri membri della famiglia Blackwood che vivevano assieme a Mary, Constance e Julian sono morti avvelenati.
L'arsenico è stato aggiunto allo zucchero, i tre personaggi del libro sono sopravvissuti perché Constance non lo mangiava, Julian ne prendeva sempre poco e Mary era nella sua camera in punizione.
Constance è stata accusata di essere la responsabile del tragico evento che ha portato alla morte, anni prima, di quattro membri della famiglia. Però la ragazza è stata assolta, ma da quel momento in poi ha paura di uscire di casa e rimane barricata nella sua proprietà.
Mary mostra dei segni evidenti di disturbi mentali, la sua follia è lucida per questo è agghiacciante e inquietante leggere questa storia attraverso i suoi occhi. Non ha rimorso, non ama il rumore, gli estranei e chiunque possa minacciare l'equilibrio della sua vita.

"Sui marciapiedi esitavo sempre, sentendomi esposta e vulnerabile mentre il traffico continuava a scorrere."(cit)

Il libro segue la quotidianità di questi tre personaggi fino a che l'arrivo del cugino Charles sconvolgerà le loro vite.
Ho apprezzato lo stile di scrittura dell'autrice, che ha reso l'ambientazione molto vivida, trasmettendoci un forte senso di inquietudine, è una lettura avvincente che mi abbastanza incuriosita.
I personaggi sono davvero particolari, non sapevo fino a che punto si volesse spingere l'autrice, ma si intuisce fin dall'inizio cosa è davvero accaduto agli altri membri della famiglia, quindi questo ha un po' smorzato l' entusiasmo nei confronti di questa lettura.
E' una storia diversa dalle solite, mi sono fatta una serie di domande a cui durante la lettura non ho ricevuto risposta, nonostante il libro sia scorrevole, ci sono dei punti dove il climax non era così alto.
Detto questo però l'autrice rende bene attraverso le sue parole l'atmosfera e il modo di vivere delle due sorelle, folle, agghiacciante, disturbante e credo sia questa la forza del libro più che la trama che ho trovato semplice.
Lo consiglio, ma leggetelo senza alcuna aspettativa altrimenti ne rimarrete delusi, perché molti ne hanno parlato bene ma in fondo la storia è più semplice di quello che potete immaginare.



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Abbiamo sempre vissuto nel castello 2021-05-15 13:07:03 FrancoAntonio
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FrancoAntonio Opinione inserita da FrancoAntonio    15 Mag, 2021
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L'orrore della quotidianità

È possibile che l’orrore e il terrore riescano a sostanziarsi nel pacato susseguirsi di ordinari gesti quotidiani? L’angoscia e l’opprimente peso dell’esistenza possono mimetizzarsi nel noioso tran tran di ogni giorno, di ogni settimana ognuno inevitabilmente uguale ai precedenti? Per Shirley Jackson sì.
L’A. riesce a calare i suoi lettori in un’atmosfera melmosa e pervasiva che penetra nei pori e sembra impossibile da lavare via; un’atmosfera che lascia un malsano sentore di minaccia, un brivido cupo sottopelle che non ci abbandona neppure una volta che si sono chiuse le pagine che lo contengono.
Eppure la vita di Mary Katherine Blackwood (detta Merricat), appare trascorre lieta nella sua grigia monotonia. Assieme alla sorella maggiore Constance, allo zio Julian, invalido e un po’ “suonato”, e al gatto Jonas occupano la sontuosa residenza Blackwood; la grande tenuta consente loro di vivere agiatamente, con tutto il necessario a loro portata, riducendo al minimo i contatti con il mondo esterno e solo per procurarsi i pochi alimentari che il loro orto non produce e per il continuo rifornimento degli onnipresenti libri.
Constance è buona e servizievole con loro: li accudisce e vezzeggia con amore. Accetta serenamente anche le loro stramberie. Eppure, nonostante la sentenza di assoluzione, tutto il paese è convinto che sia stata proprio lei l’assassina che avvelenò la sua famiglia, quella che aggiunse l’arsenico nello zucchero per i mirtilli, quella che causò la morte tra atroci dolori dei genitori, del fratellino, della zia Dorothy e rese invalido Julian. Ma ora tutto fila liscio a casa Blackwood, anche se ogni tanto Merricat è costretta a scendere in paese per qualche provvista e così rischia di dover subire le cattiverie degli abitanti; nulla è fuori posto, superato il cancello che separa il grande parco dal resto del mondo. A casa, tutto va bene, tutto è in pace, almeno sino all’esiziale cambiamento causato da Charles, cugino delle ragazze, piombato improvvisamente e in modo totalmente indesiderato nelle loro esistenze. Merricat ha fatto ogni magia possibile per evitare questo increscioso evento, ma, ora che lui si è installato nella villa, una nuova plumbea tragedia si precipiterà sulla loro esistenza in un climax lungamente annunciato. A quel punto non si comprenderà più da che parte staranno i mostri e da quale le vittime. Il mesto dolore si fonderà col terrore, l’ira con la follia, la mesta rassegnazione con i tormentosi sensi di colpa in un purgatorio continuo che appare troppo simile a un inferno in terra.

La fama di Shirley Jackson, quale maestra del thriller, non è certo immeritata, ed è dovuta in gran parte a questo breve romanzo, nel quale un’aura angosciosa striscia in ogni pagina, anche in quelle apparentemente più innocue. La cosa singolare è che il subdolo raccapriccio che ci pervade discende da una verità che si comprende ben presto, anche se mai viene affermata in modo apertamente esplicito. Eppure, se non è troppo difficile immaginare cosa sia effettivamente accaduto a casa Blackwood, si oscillerà continuamente tra la repulsione per il fatto di sangue di sei anni prima e l’odio e la repulsione per ciò che ne è derivato come conseguenza dopo. Quando, poi, saranno chiari i ruoli reciproci la cappa calerà ancor più opprimente e soffocante.
La conclusione, sapientemente soffusa e indefinita, come avvolta in una caligine senza tempo, ci lascia a un tempo insoddisfatti e ulteriormente angosciati con un malessere che mette i brividi.
Proprio per tale motivo, se da un lato non posso non riconoscere a questo romanzo le caratteristiche di capolavoro del suo genere, dall’altro non riesco neppure a ricavarne una profonda piacevolezza. Troppe sono le sensazioni che suscita, tutte negative e demoralizzanti. Odio, rabbia, sgomento, depressione, disprezzo, avversione, sgomento, afflitta empatia, nessuno di questi fa rima con piacere, ma tutti confluiscono a inspessire i muri della plumbea prigione delle sorelle Blackwood che noi siamo chiamati a condividere.

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Abbiamo sempre vissuto nel castello 2021-01-18 14:19:54 DanySanny
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DanySanny Opinione inserita da DanySanny    18 Gennaio, 2021
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Come una creme brulèe

Non potevo esimermi dalla lettura di questo che è diventato a suo modo il QLibro della fine del 2020, specialmente perché frutto della penna di Shirley Jackson, con il suo tratto mai sbavato, con la sua eccentrica visione del mondo, con l’atmosfera di magia dolciastra e la sua sottilissima, pervadente inquietudine. Dopo aver letto alcuni dei suoi racconti e quella bella raccolta di testi a carattere vario che è “Paranoia”, posso finalmente dire che di Shirley Jackson preferisco il mondo interiore alla prosa. Nella misura lunga del romanzo, infatti, trovo che i suoi pregi si facciano sì evidenti, ma che anche i suoi difetti (o quelli che almeno a me sembrano tali) si acuiscano. L’autrice ha un istinto narrativo sorprendente, una grazia compositiva di sofisticato garbo, una capacità invidiabile di dosare al punto giusto ogni ingrediente e anche un piacevole senso del ritmo e del suono; anzi questo romanzo risulta godibile per la scelta di affidare la narrazione a un personaggio inaffidabile, elemento chiave per creare anche nel lettore una sorta di asincronia tra quello che effettivamente accade e come questo viene invece raccontato (come accade nel famoso “Giro di vite” di James). In questa crepa si insinua l’inquietudine che serpeggia nel libro, la stessa che alla fine lascia tra il commosso e il turbato, indecisi su dove volgere la propria compassione, disgustati dalla violenza degli uomini, ma anche traditi da chi credevamo amici.
Cosa è che allora non mi convince di questo romanzo? Il fatto che, come nei racconti, il testo resta quasi in sospeso, in una conclusione tanto sfumata da apparire incompiuta, quasi debole e zoppo sulla conclusione. Se nella dimensione breve del racconto questo silenzio finale è più accettabile, qui invece risulta in una punta di insoddisfazione. Per tornare alla metafora culinaria che tanto spesso associo alla Jackson, è come mangiare una perfetta, equilibrata e buonissima creme brulèe: deliziosa certo, ma sempre monca di quello strato croccante sul fondo che la renderebbe finalmente compiuta.

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Abbiamo sempre vissuto nel castello 2021-01-11 13:21:13 andrea70
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andrea70 Opinione inserita da andrea70    11 Gennaio, 2021
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Inquietante e malinconico

Le due sorelle Constance e Mary Katherine Blackwood vivono in una isolata dimora di campagna insieme allo zio paterno Julian rimasto invalido in seguito ad un "incidente" avvenuto 6 anni prima quando tutti gli altri membri della famiglia morirono avvelenati durante un pranzo di famiglia.
La più giovane delle sorelle Mary detta Merrycat si reca in paese a fare compere e viene dileggiata dai paesani e additata come stramba e certi suoi discorsi e pensieri fanno sorgere il sospetto che nella sua testa ci sia qualche "spiffero", la sorella maggiore si occupa della casa, dai lavori domestici alla cucina mentre lo zio Julian dalla sua sedia a rotelle alterna momenti di lucidità a vaneggiamenti e intanto scrive la storia della famiglia e di quanto accadde in quel famigerato giorno in cui molti perirono e lui si salvò miracolosamente rimanendo però invalido per gli effetti del veleno.
Scopriremo che ad essere sospettata dei delitti , ma senza mai essere ritenuta colpevole, fu Constance non a caso in paese si canticchiano inquietanti filastrocche :
"Merricat, disse Constance, tè e biscotti, presto vieni”
“Fossi matta, sorellina, se ci vengo m’avveleni”.
“Merricat, disse Connie, non è ora di dormire? In eterno, al cimitero, sottoterra giù a marcire”.
Nonostante le malevole insinuazioni dei paesani , il dileggio costante e i pettegolezzi la vita a Blackwood Manor va avanti senza particolari sussulti in un microcosmo di affetti familiari fuori dal tempo e dal mondo esterno con cui gli unici contatti , a parte le spedizioni in paese per le compere sono le abitudinarie e superficiali visite di cortesia che ricevono da una vicina più interessata a curiosare che alla sorte delle fanciulle.
A rompere gli equilibri arriva all'improvviso un estraneo o quasi , il cugino Charles, uno sfaccendato impiccione che porta scompiglio nella regolare monotonia della casa.
Non ci vorrà molto a capire che Charles punta al patrimonio delle cugine al di là dei proclami di volersi prendere cura di loro, si installa in casa loro e ci vive come se fosse sempre stata casa sua, approfittando dell'ospitalità di Constance della quale pare anche vagamente invaghito.
Fin da subito tra lui e Mary scocca una reciproca antipatia, la giovane immagina vari modi per liberarsi della sua ingombrante presenza , si scoprono altri strani comportamenti della giovane e qui si rafforza la convinzione che sia mentalmente instabile ma il modo lieve con cui viene argomentata la follia e alcuni passaggi inducono il lettore a domandarsi chi sia davvero pazzo o se lo siano tutti.
In mezzo a tutto Constance sembra essere la custode di Mary, la asseconda in certe farneticazioni, finge di non sentire o non vedere alcune cose come a proteggerla amorevolmente dalla durezza della realtà.
In seguito ad uno dei comportamenti folli di Mary la situazione precipita e abbiamo coinvolto tutto il paese in quella che diventa per qualche ora una piccola caccia alle streghe che si trasforma in breve tempo in rimorso da parte dei persecutori.
Il finale è a dir poco inquietante e malinconico e svela tutto relativamente agli eventi di quel giorno in cui gran parte della famiglia Blackwood venne sterminata.
Non aspettatevi un horror a tinte forti , non è così e non ci sono particolari colpi di scena, la bellezza del romanzo sta nelle atmosfere, nelle cose lasciate intuire e nell'inquietudine che aleggia per tutto il racconto.
Una bellissima storia di amore fraterno e follia.

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Abbiamo sempre vissuto nel castello 2020-11-30 08:47:25 Andre
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Andre Opinione inserita da Andre    30 Novembre, 2020
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Inquietante ma con classe

Edito nel 1962 e pubblicato per la prima volta in Italia solo nel 1990 (con il titolo “Così dolce, così innocente”), “Abbiamo sempre vissuto nel castello” è uno dei più noti romanzi di Shirley Jackson, nonché il suo ultimo lavoro finito.


Ambientato in un tranquillo villaggio, “Abbiamo sempre vissuto nel castello” racconta la vita realmente tranquilla di Mary “Merricat” Katherine Blackwood, della sorella Constance e dell’anziano zio Julian. Il tempo sembra scorrere sereno e tranquillo tra il lavoro nell’orto ed i manicaretti sapientemente preparati da Constance, se non fosse per un unico “piccolo” neo che corrode l’atmosfera della famiglia Blackwood: tutti gli altri membri della famiglia sono morti avvelenati, durante un pranzo, sei anni prima.


Una vita vissuta in maniera difficoltosa ha contribuito positivamente sulla scrittura di Shirley Jackson. Maltrattata continuamente dalla madre e tradita costantemente dal marito, Shirley Jackson ha saputo comunque far tesoro della sua dote di scrittrice. L’aria che si respira in questo psycho-thriller mi ricorda un po’ quella del film “Serial Mom” (in italiano: “La signora Ammazzatutti”) e delle vicende della protagonista, la superba Kathleen Turner.

“Abbiamo sempre vissuto nel castello” è un romanzo sottile, che grazie al minuzioso metodo della Jackson riesce a suscitare emozioni scompigliate e torbide pur mantenendo toni pacati e quindi ancor più disturbanti.

Così come per “La signora Ammazzatutti”, insospettabile killer protetta dalle mura domestiche nel suo ruolo di madre premurosa e vicina dolce e disponibile, così per le sorelle Blackwood la casa diventa un riparo dal mondo esterno, da quegli abitanti del villaggio che costantemente le giudica responsabili dell’omicidio di –sic- tutta la famiglia.

Con l’arrivo del cugino Charles, però, persino la casa diventa un luogo vulnerabile e pericoloso. Entrato nella vita delle cugine e dello zio, Charles metterà a repentaglio la sicurezza delle sorelle fino ad un tragico epilogo.
“A Shirley Jackson, che non ha mai avuto bisogno di alzare la voce”: questa è la dedica di uno dei più grandi fan della Jackson, ossia Stephen King (dedica apparsa ne “L’incendiaria”). Ed è proprio così.

Shirley Jackson riesce ad inquietare senza sporcare il pavimento, riesce a suscitare turbamenti grazie ad una quiete insita nelle sue parole e nelle sue ambientazioni.

Un romanzo che consiglio a tutti.

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Abbiamo sempre vissuto nel castello 2020-10-04 19:02:46 Mario Inisi
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    04 Ottobre, 2020
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Sono così felice!

Il libro è molto originale, la storia del rapporto magico tra uno zio anziano e le nipoti: Constance accusata di aver pianificato l'omicidio del resto della famiglia e la sua sorellina Mary Catherine, Merricat che come dice il soprannome è sempre in compagnia del gatto Jonas. Il libro è molto bello, il rapporto tra i tre, quattro contando il gatto, fatto di tenerezza e attenzioni non è ben compreso nè dagli amici nè dal resto della gretta comunità. Il male si annida non dentro le mura domestiche ma fuori, come si vede nelle uscite in paese di Merricat o nella scena dell'incendio. In effetti l'unico posto dove si vive bene è la luna, che assomiglia parecchio alla cucina delle sorelle. Carinissima la storia d'amore con il cugino Charles, degna di dare il nome al viale degli innamorati, Il libro sprizza ironia, intelligenza e fantasia. L'autrice è stata una gran bella scoperta.

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Abbiamo sempre vissuto nel castello 2020-09-17 13:08:51 Molly Bloom
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Molly Bloom Opinione inserita da Molly Bloom    17 Settembre, 2020
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Metterò la morte nel loro cibo e li guarderò morir

Una ragazzina che sogna un cavallo alato che la porterà sulla Luna, dove la sorella pianterà il suo orticello e dove avranno la loro casetta al riparo di tutti i mali. Una ragazzina che viene fischiata e bullizzata dagli abitanti del paese e che per sopportare la tortura di andare a fare le commissioni si deve inventare dei giochi immaginari. Fragile, indifesa, timida, che muove velocemente i piedini per essere presto di ritorno a casa. Ogni tanto canticchia e per la maggior parte del tempo si immagina un mondo fantastico in cui essere felice. Che tenera immagine, vero? La stessa ragazzina però è appassionata di Riccardo cuor di leone e di un fungo velenoso. Sogna ad occhi aperti che le persone che incontra cadano morte stecchite a terra e che lei calpesti i loro cadaveri e non lesina maldicenze di ogni genere a qualsiasi essere estraneo:

"Si bruceranno la lingua, pensai, come se mangiassero fuoco. Ogni volta che quelle parole gli usciranno di bocca sentiranno le fiamme in gola, e nella pancia un tormento più rovente di mille incendi."

Una ragazzina che inizialmente sembra essere la vittima di tutti, persino di sua sorella che viene descritta con tinte ambigue, tant'è che il lettore proverà subito pena per lei e si schiererà dalla sua parte. Ma l'empatia è breve, seppur il personaggio non risulti del tutto antipatico in quanto presenta un ovvio quadro clinico patologico essendo affetta da disturbi ossessivi compulsivi, è chiaramente una ragazza bisognosa di aiuto ma è anche la fonte di parecchi mali. Il male è insito però nella maggior parte dei personaggi anche se, alcuni cercano di redimere. 

Due ragazze, un gatto e un castello andato in rovina, sembra quasi una favola e a modo suo lo è perché il finale è decisamente "e vissero felici e contenti", tant'è che le parole finali sono "siamo cosi' felici", ma se fosse una sana e oggettiva felicità sarebbe per l'appunto una favola e non un racconto inquietante che in realtà è. Lo stile dell'autrice è pulitissimo e curato nei minimi particolari, dai dialoghi alle descrizioni che sono sempre ben calibrate con luci e ombre e nonostante descrive una realtà verosimile e quindi senza fare appello a zombie, fantasmi o pareti insanguinate, riesce a far serpeggiare un filo di terrore durante tutta la narrazione. Si ha terrore non del paranormale ma della gente, della persona a te cara, di una timida ragazzina indifesa. Non esiste alcun male che sia superiore alla realtà e Shirley Jackson descrive proprio questo orrore terreno. Ho molto apprezzato anche l'atmosfera gotica che l'autrice crea e anche il fatto che i fatti vengono chiariti lasciando poco spazio al dubbio nel lettore, confonde e gioca con le idee ma verso la fine i nodi vengono al pettine. E' stata la prima volta che ho letto qualcosa di Shirley Jackson e sicuramente leggerò altro. Trovo la sua scrittura molto raffinata, appagante e stimolante.

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Abbiamo sempre vissuto nel castello 2020-09-15 17:22:23 Tomoko
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Tomoko Opinione inserita da Tomoko    15 Settembre, 2020
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Inquietudine

È proprio vero, Shirley Jackson non ha proprio bisogno di alzare la voce.
Il libro trasmette costantemente inquietudine che non viene mai incorniciata bene come se fosse un fiume che straripa dai margini.
Chi è la famiglia abitudinaria che vive nel castello? La famiglia Blackwood, travolta da un “tragico incidente” dove pare che una delle due sorelle abbia avvelenato l’intera famiglia.
Gli unici sopravvissuti sono Mary Katherine, lo zio Julian e Constance, appunto, l’autrice degli assassini.
Ma perché quando maryKat va a fare la spesa viene assalita da sguardi truci e parole pesanti?
Chi è il male? Gli abitanti del paese o questi inquietanti personaggi che vivono nel castello?
La routine dei Blackwood viene a mancare al momento dell’arrivo di un personaggio che cercherà di abitare nel castello con loro. In un susseguirsi di scene inaspettate, “abbiamo sempre vissuto nel castello” destabilizzerà anche ogni certezza del lettore che finirà questo libro!

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Abbiamo sempre vissuto nel castello 2020-09-08 08:46:57 lapis
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lapis Opinione inserita da lapis    08 Settembre, 2020
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Follia travestita da normalità

“Merricat, disse Connie, tè e biscotti: presto vieni.
Fossi matta, sorellina, se ci vengo m'avveleni”.

Pietanze prelibate, fini tovaglie, porcellane decorate: le cene in casa Blackwood sono sempre state sontuose. Anche adesso, Constance ci tiene così tanto, cura personalmente l’orto, prepara barattoli e conserve, cucina torte e pasticci. Ma è stato proprio durante una cena cucinata da Constance, sei anni prima, che sono morti tutti. Zucchero all’arsenico. È una vera fortuna che Constance non usi mai lo zucchero, che Mary Katherine fosse stata mandata a letto senza cena, che zio Julian ne abbia usato poco. Sono gli unici sopravvissuti.

Per la giustizia non c’è stato un colpevole, ma in quella casa così placida e tranquilla, dove ogni giorno scorre nella ritualità di gesti sempre uguali, tra rose e marmellate, è passato il male; e forse vi serpeggia ancora. Oppure la cattiveria non si nasconde dentro, ma all’esterno di quelle mura, che proteggono la memoria e la colpa di chi è restato? Oltre il recinto, in quel paese di sguardi diffidenti, di filastrocche denigratorie, di meschine provocazioni. Oltre la porta, in quel cugino giunto all’improvviso in visita, con intenzioni ambigue.

La genialità di questo breve romanzo sta proprio nell’ambivalenza con cui viene contrapposto bene e male. Avvertiamo la presenza del male, come un sentore o un presagio, lo avvertiamo nell’esasperata solitudine di Constance, nelle stravaganti manie di Mary Katherine, nell’ossessione di Julian, eppure non riusciamo a definirne con precisione i contorni. Sappiamo che l’apparente normalità di casa Blackwood nasconde un pozzo nero, e dovremmo augurarci per tutti loro di riuscire a fuggire e ritrovare il mondo, invece pagina dopo pagina percepiamo sempre più il mondo esterno come una minaccia incombente, una morsa soffocante, un nemico da cui proteggersi. E ovunque si volga lo sguardo, si trova solo ordinaria follia.

Thriller psicologico, horror, mistery - nessuna definizione sembra calzare alla perfezione. Di certo, una lettura fulminante, che è un’impresa abbandonare, perché una volta preso in mano il filo di questa inquietante normalità, non si può fare a meno di seguirlo per scoprire dove ci condurrà.

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