1974 di David Peace
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Il cuore nero d'Albione
Non è facilissimo districarsi nel labirinto di personaggi e situazioni ordite da David Peace in questo primo capitolo della tetralogia denominata Red Riding Quartet (comprendente anche "1977", "Millenovecento80" e "Milllenovecento83").
Vale però la pena sforzarsi e accettare una lettura munifica di argomenti estrapolati dal nucleo centrale, inerenti un'indagine molto pericolosa affrontata da Edward Dunford: giornalista di cronaca con un talento poco invidiabile nell' incassare legnate e catalizzare guai.
L' ambientazione è quella plumbea di un cupo Yorkshire, reso depresso con approccio decadente per donare concretezza all'invisibile cuore nero dell'Inghilterra provinciale, quella dove non sembra accadere mai nulla ma in realtà l'orrore potrebbe celarsi dietro ogni scricchiolante uscio o muoversi al fioco lume di una candela.
Ci sono delle ragazzine scomparse e fatte a pezzi, ma il loro assassinio per Peace è solo un escamotage per proiettare il lettore in un preciso momento storico.
Un approccio particolare e ben ponderato che a volte prende di petto l'indagine ed in altre occasioni si limita a lambirla, senza mai rinunciare a dimostrare quanto il male sia radicato ed accettato senza batter ciglio.
"1974" non è il classico thriller alimentare dimenticabile nel giro di pochi giorni, Peace allestisce un ritratto nero pece e lo sbatte in faccia senza tanti cerimonie; la sua è una narrazione secca, quasi frammentaria eppure coinvolgente, capace di calamitare riferendo di un malessere sociale evidente in cui servono capri espiatori per scaricare le colpe di una società alla deriva. Nemmeno il protagonista è esente dal marciume, non indaga per senso di giustizia ma solo per gloria personale. Non gli interessa nulla delle vittime, gli preme tornare in prima pagina e dimostrare di essere qualcosa di più di un semplice pennivendolo. Come spesso accade l'ambizione rende ciechi, muta il pericolo in qualcosa di più o meno innocuo, lascia che i campanelli d'allarme suonino a vuoto. Su Edward l'ossessione ha la meglio, impossibile non sprofondare nel regno del malaffare dove corruzione e violenza imperano.
Prolisso in alcune divagazioni e diluito a causa di spiegazioni non necessarie, faticoso a tratti ma anche splendidamente cesellato tra le brume di un paesaggio inospitale e una rete malvagia, fitta, resistente, estesa in ogni dove e preservata da un'omertà granitica. Noir imperfetto ma piacevolmente sopra le righe e a prova di stereotipo.
Indicazioni utili
Li seppelliamo vivi i nostri morti!
Mi ha lasciata un pò fredda, proprio come la storia nel suo complesso. Peace, definito l'erede inglese di Ellroy, per il linguaggio asciutto e la narrazione serrata, mi sembra un pò forzata, mi aspettavo qualcosa che lo accomunasse a lui dopo aver letto "Dalia nera", invece mi è sembrato troppo azzardato questo affiancamento. Andiamo al libro: troppo carne al fuoco in un'Inghilterra ai limiti della tolleranza e della democrazia, dove la vera rivoluzione è la musica. Non so se leggerò gli altri che seguono, per il momento credo proprio di no.