Paper magician
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Una brezza fresca nel panorama fantasy
Occorre, prima di andare a soffermarsi sulla vera e propria recensione di questo libro, precisare una cosa. Paper Magician, come ormai la maggior parte dei libri che leggo, l'ho letto in inglese, nella lingua in cui è stato scritto e della quale lo stile riesco a giudicarlo peggio di quanto non sia in grado di farlo con un libro in italiano. Devo ammettere che, insomma, devo ancora fare pratica con questo aspetto della mia lettura.
E che, ovviamente, la recensione potrebbe contenere minori spoiler. Ho provato a rimuovere quelli maggiori di trama, usando quanto scritto in quarta di copertna come limite di quello che potevo e non potevo dire, ma è possibile che qualcosa sia sfuggito.
Ma parliamo dunque di Paper Magician, un romanzo che ho scoperto per caso, lo ammetto, assieme ad altri che mi sono stati consigliati.
Sicuramente il mondo creato dalla penna di Holmberg è originale, nel senso che la descrizione della magia per come funziona, i limiti ad essa imposti e in generale la cornice che fa da sfondo alla storia della protagonista per una volta esulano da quei canoni che sembrano essere stati imposti dalla narrativa fantasy a chiunque si avvicini a questo mondo. Anche se, sfortunatamente, non è esente da quei cliché che forse si sarebbero potuti evitare, magari cercando di mantenere lo stesso tono del resto del libro (mi riferisco al personaggio di Lira, che per quanto sia a livello di "cattivi" dei libri comunque un po' più originale della media, scade comunque nello stereotipo di strega malvagia che usa arti proibite per ottenere i suoi scopi). Che la magia sia un qualcosa di ormai assodao nel mondo, che le persone non reagiscano ad essa in maniera differente da quanto potrebbero reagire agli effetti della gravità su un sasso che cade è un qualcosa che ho particolarmente apprezzato, così come ho apprezzato il modo con cui essa è stata inglobata all'interno dell'ambientazione (anche se forse anche questa parte sarebbe stata possibile approfondirla ancora di più) e parte integrante di essa e non come qualcosa di... oscuro, relegato a torri e roccaforti isolate e polverosi libri. Viene trattata quasi come una scienza, un qualcosa che ovviamente non tutti praticano (ma in fondo, nemmeno nel nostro mondo tutti conoscono come funziona un acceleratore di particelle o, caso più piccolo, un laser) ma che comunque è presente. E tutti potrebbero averci a che fare prima o poi (si parla di Forgiatori che creano proiettili che non mancano mai il bersaglio ad esempio, implicando che sia possibile per un esercito commissionare proiettili speciali che chiunque può in seguito usare). Su questo non penso di avere molto altro da dire, a parte il fatto che, appunto, si sarebbe potuto ampliare questo mondo di magia, cosa che magari avverrà nel prossimo libro, che ancora non ho letto. Sicuramente la trama di Paper magician, confinata in spazi ristretti, non è la più adatta a mostrare altro fuorché la magia dei Folder (non riesco a tradurre il nome di questi maghi, perdonatemi), quindi in questo si può "scusare".
Punto negativo è, però, quella stessa trama che comunque ha un sentore di originalità che non ritrovavo da tempo in un libro. Perché sembra affrettata, troppo, e la necessità di risolvere il conflitto principale in poco tempo non è purtroppo una giustificazione alla rapidità con cui tutto è stato messo in moto e poi concluso. Personalmente ritengo che solo sul rapporto che si instaura fra Ceony ed Emery si sarebbe potuto scrivere almeno il doppio, così come quello che lega (o forse è meglio dire legava) quest'ultimo e Lira.
In questo, purtroppo, Paper Magician rimane poco più che un romanzo piacevole, sicuramente godibile e pronto a trasportarvi via per qualche ora dal mondo in cui vivete, ma privo di quella profondità (non di messaggi filosofici forzatamente inseriti all'interno quanto di costruzione del mondo e della trama) che lo avrebbe potuto portare ad essere qualcosa di più di un romanzo per riempire le ore dei viaggi in treno o da sfogliare prima di andare a dormire.
Lo stile, comunque semplice e almeno nell'edizione inglese, sicuramente facile da seguire, riesce a tenere il lettore attaccato alle pagine, purtroppo le motivazioni dei personaggi che si muovno all'interno del mondo, non sempre sono all'altezza dell'aspettativa che il lettore si è creato leggendo la prima parte (che, curiosamente, ho gradito molto di più rispetto a quella che inizia con il viaggio della giovane apprendista per recuperare il cuore del suo maestro).
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Con l'incanto di una fiaba
Ceony Twill è una giovane di talento che ha appena terminato gli studi in modo brillante; si trova purtroppo costretta ad accantonare i suoi sogni ed iniziare un apprendistato per intraprendere poi una carriere ben lontana da quella desiderata.
Ceony non è però una ragazza italiana dei giorni nostri, bensì un’abile maga in una Londra novecentesca alternativa in cui la magia non solo esiste ma è nota a tutti ed essere maghi è una professione -seppur esclusiva- come le altre, tanto che la protagonista l’ha scelta come alternativa al diventare una cuoca.
Nell’originale ambientazione si trova indubbiamente il maggior pregio di questo romanzo in cui la magia viene presentata in modo inedito: non più come qualcosa di oscuro e slegato dalla vita quotidiana, ma come elemento essenziale di questa, capace di evolversi di pari passo alla tecnologia (si parla per esempio di maghi che lavorano esclusivamente con la plastica) anziché opporsi ad essa come generalmente è percepito nell’immaginario comune.
Per quanto riguarda la trama invece l’originalità viene un po’ a mancare, ho individuato infatti un paio di similitudini con altre opere. La prima è “Papà Gambalunga” di Jean Webster, in cui ritroviamo una giovane di umili natali ma dotata di grande vocazione (in quel caso, per la scrittura) che viene aiutata economicamente da un misterioso benefattore del quale infine si innamorerà. Abbiamo poi “Il castello errante di Howl”, e mi riferisco al film di Hayao Miyazaki non al romanzo di Diana W. Jones; in una scena presente per l’appunto solo nel lungometraggio, la protagonista compie un viaggio nei ricordi passati del mago Howl che somiglia molto all’avventura nel cuore di Mg Thane intrapresa da Ceony.
Purtroppo la trama, oltre ad essere molto prevedibile, mi è sembrata anche troppo frettolosa nel rivelare al lettore le risposte ai pochi quesiti e misteri. Anche l’innamoramento della protagonista e l’inseguimento di Lira potevano essere descritti con più calma e magari con la presenza di ostacolo più ostici da superare; questa scelta ha però il merito di aver concentrato l’attenzione sull’analisi del passato e dei sentimenti di Thane e, in modo più delicato e quasi in ombra, di Ceony, che grazie ai momenti vissuti durante la missione di salvataggio trova il coraggio di dar voce anche ad alcuni aspetti più oscuri del suo animo.
Ne deriva che i due protagonisti appaiono interessanti e ben strutturati; lo stesso non si può dire per l’antagonista: tutto in Lira risulta a malapena abbozzato e il suo fine e le sue azioni non vengono mai chiarite, sebbene i prossimi volumi della trilogia potrebbero far luce a riguardo. Gli altri personaggi sono poco più che comparse, pronte a cedere il passo affinché il focus si concentri sui protagonisti.
Sullo stile dell’autrice preferisco non sbilanciarmi né in positivo né in negativo: è abbastanza semplice e scorrevole, per nulla pretenzioso, ma desidero leggere gli altri libri per controllare la presenza o meno di un miglioramento, di una maturazione soprattutto nella scelta delle sequenze a cui dare più spazio.
Nell’intero romanzo, la Holmberg inserisce poi un gran numero di dettagli, riferimenti e perfino giochi di parole collegati alla carta, al cuore ed alla precisione -qualità fondamentale per ogni piegatore che si rispetti-; ritengo sia stata una scelta molto azzeccata per coinvolgere ancor più il lettore in questo magico mondo dotata di un particolare fascino in grado di farci tornare per un attimo bambini.