Narrativa straniera Fantasy Nella casa del verme
 

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Il sole sta morendo, e le tenebre incombono. Il mondo è ridotto a oceani di fuoco e lande di cenere. Nella loro fortezza, gli adepti del Verme Bianco, guerrieri e dame, danzano su pavimenti di lucida ossidiana, portano avanti rituali millenari di estasi e dolore, banchettano con le carni di nemici deformi. E al centro di quel triste carosello c'è lui, Annelyn, giovane, fiero e sicuro di sé. Fin troppo. Umiliato con alcuni amici dal misterioso Beccaio, decide di vendicarsi braccandolo nei sinistri cunicoli dove nessuno ha mai avuto il coraggio di spingersi. Ma dove regna il buio è facile che il cacciatore diventi preda. Comincia così, scandito dalla follia, un inseguimento nell'abisso, che si trascina per cunicoli soffocanti e misteriosi saloni dove marcisce un potere che magari è solo l'eco d'una tecnologia micidiale. Quella del Verme Bianco? Con l'inconfondibile magia della sua scrittura, George R.R. Martin riesce a evocare un intero universo, con le sue religioni, razze e verità sepolte, un mondo che si protende ben oltre gli accenni sapientemente calibrati che lo tratteggiano. In questa gemma dark fantasy, pubblicata in America nel 1976 (in una raccolta che ha ottenuto il prestigioso Locus Award), la potenza evocativa di Tolkien, la brutalità visionaria di Moorcock ed Herbert, e gli orrori di Lovecraft si fondono nell'immaginario multiforme di chi avrebbe ideato la grande epica de Il Trono di Spade, l'evento spartiacque del fantasy mondiale.



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Nella casa del verme 2018-01-19 19:18:54 Manuela Vitale
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Manuela Vitale Opinione inserita da Manuela Vitale    19 Gennaio, 2018
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Sì ma avanti il prossimo

Premetto che ho già conosciuto Martin con le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco e, quindi, il mio paragone era proprio con i suoi bestseller. La storia si presenta all'inizio interessante, misteriosa, a tratti quasi claustrofobica, con la presenza di personaggi ingombranti, pesanti e profondi. Il protagonista, Annelyn, è sempre a metà fra cacciatore e preda. Un po' come nelle Cronache, anche qui nulla è mai scontato e questo, senz'ombra di dubbio, è la parte più interessante del libro. Infatti, Martin, non annoia mai del tutto anche se, come in questo caso, la storia risulta essere un po'.. banale. E' davvero con tanta tristezza che azzardo a scrivere ciò: la trama è noiosa. La trama è intensa a tratti, non scorre liscia, è come se non ci fosse stata la solita macchinazione tipica di Martin (chi ha letto le Cronache può capire benissimo). Nonostante la trama abbia questo piccolo - grande - problema il vero punto forte del libro è lo stile di Martin: così tolkeniano, così forbito, così abile, così... bello. Ecco, nonostante le lunghe descrizioni - che fanno proprio vedere ai lettori le cose - non ci si stanca. Comprerei questo libro? Forse sì ma non posso dire che sia minimamente all'altezza dei precedenti. Penso che sia un libro senza infamia e senza lode e, sottolineo, prima di scrivere ciò ho letto l'opera ben due volte. Concludo sostenendo che Martin, come sempre, si dimostra un maestro del fantasy, anche se qui vi sono degli elementi di molti altri generi (ad esempio ho sentito qualcosa del distopico).
Forse la mia è una voce fuori dal coro?

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Lettura consigliata
  • no
Consigliato a chi ha letto...
Non posso dire "no, non è da leggere" perché non è assolutamente così. Come ho già scritto su, semplicemente, non è fra le opere massime dell'autore. Sembra un libro pubblicato un po' così, senza capo o coda. Però sì, potrei consigliarlo a ha già letto di Martin oppure ci si potrebbe fare un'idea errata per chi non ha mai preso in mano un suo libro.
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