Maledette piramidi
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L'Antico Egitto visto da Pratchett
13 luglio 1995, circa - 13 luglio 2015: sono passati vent'anni dal momento in cui feci la conoscenza con Terry Pratchett, per gli estimatori e fan solo Pterry. 13 marzo 2015 - 13 luglio 2015: sono passati, invece, quattro mesi dal giorno in cui, purtroppo, Sir Terence David John Pratchett ha lasciato questo RoundWorld (la nostra Terra) per seguire il tetragono Death nel lungo viaggio verso il mondo delle sue creature: il Discworld.
Proprio per la concomitanza di queste date mi è sembrato il momento opportuno di dedicargli una riflessione che rendesse omaggio alla sua opera. E permettetemi di farlo ricordando come nacque il mio amore per i suoi romanzi.
Un giorno, girellando senza particolari idee tra i banchi della mia abituale libreria, in cerca di qualche libro d'evasione da leggere, fermai uno degli impiegati che conoscevo e gli chiesi consiglio. Mi indicò "Maledette piramidi!" aggiungendo: "Vedrà che si diverte".
Lette le prime pagine rimasi un po' stupefatto e deluso: parlava di un mondo piatto come una pizza (senza acciughe, però), coricato sul dorso di quattro elefanti che, a loro volta, stavano in equilibrio sul carapace di una tartaruga marina che nuotava nel cosmo. Io apprezzo il fantasy, ma quella sembrava robetta da bambini! Oltretutto si faceva chiaro riferimento a dati e circostanze che dovevano essere già ben noti agli affezionati lettori (il libro è il settimo della serie) dati che io, invece, ignoravo. Mi sentivo come colui che entra a metà di un film, teme di non capire la trama o, addirittura, di aver sbagliato sala. Stavo quasi per chiuderlo definitivamente.
Per fortuna è un gesto che faccio raramente e, così, ho proseguito la lettura per alcune pagine, seguendo le peripezie di Pteppic (o, più semplicemente, Teppic) in un mondo che sembrava l'antico Egitto nello stesso modo in cui l'Inghilterra di "Monty Python ed il Sacro Graal" assomigliava alla “Britannia Azzurra” del Re Artù letterario.
Bastarono poche altre pagine per farmi sganasciare in risate incontenibili: da quel momento nacque il mio amore sconfinato per il Discworld e per il suo autore.
Fu un amore così travolgente ed incondizionato che nei mesi seguenti mi misi alla caccia disperata di tutti i romanzi di Pratchett che riuscivo a trovare. Purtroppo, in quegli anni (la fine degli anni '90), le poche edizioni italiane del ciclo del Disco (tutte per i tipi della Mondadori) erano ormai introvabili. Quasi frustrato feci un ultimo tentativo: provare a leggere i romanzi in lingua originale, rispolverando il mio arrugginitissimo inglese scolastico.
L'impresa non si rivelò certo facilissima, visto che l'autore si diverte con la lingua inglese e la tratta come una palla di plastilina, manipolandola a piacere ed infarcendola di giochi di parole (gli inglesissimi punes) ed altri equilibrismi letterari, come far parlare battocchi di portoni e doccioni di palazzi. Il premio, però, fu superlativo, perché, oltre a scoprire una forma di umorismo intelligentissimo e colto, mi accorsi che il Discworld era anche una eccellente parabola del nostro pazzo, pazzo mondo.
Per chi conosce la letteratura fantasy bisogna avvertire, infatti, che il mondo fantastico di Sir Pterry non ha nulla a che vedere con le tragedie da crepuscolo degli dei di Tolkien e dei suoi epigoni, anche se esistono elfi, nani, troll e gnomi. Né può essere lontanamente paragonato ai maghetti dark della Rowling, anche se il Discworld esiste solo in forza del potentissimo campo ‘thaumico’ della magia. Nulla c’entrano neppure i Vampiri new age ormai preda di molti autori moderni, anche se i vampiri in Pratchett esistono e, come quelli di Twilight, spesso, si sono votati all’astinenza dal sangue umano e sono diventati dipendenti dal cacao.
Il fantasy di Pratchett è un meraviglioso mondo parallelo, un paravento dietro il quale parlare di noi uomini e donne del Mondo Tondo. Un commentatore ebbe a dire che Pratchett era il punto di congiunzione dove Tolkien incontrava i Monty Python (ecco il perché della mia prima impressione). Tuttavia dimenticò di osservare come, con la sua argutissima satira, Pterry ci mostra la nostra vera natura, come apparirebbe ad un osservatore posto "dentro lo specchio".
Lui stesso, quando giunse nella mia città per presentare la versione italiana di "Moving Pictures" (in italiano "Polvere di Stelle", sic!), ebbe a fare questo esempio, per chiarire il suo modo di scrivere. "Supponete di avere due botti: una piena di ottimo vino e l'altra di schifezza" (Pterry in effetti disse "shit" e chi sa un po' d'inglese sa anche quale sia la traduzione letterale della parola!). "Provate a versare un mestolo di vino buono nella botte della schifezza; sempre schifezza resterà. Ora provate a fare l'operazione contraria: un mestolo di 'shit' nella botte del vino di qualità. Anche in questo caso avrete ottenuto una botte di liquido imbevibile. Così è il fantasy, non conta quanto ne inseriate in un romanzo, basta una cucchiaiata e lo avrete 'contaminato' totalmente. E così io faccio con i miei libri".
Tuttavia la shit di Pratchett non intorbida l'intingolo, ma aggiunge quel pizzico di spezie in più per renderlo ancor più gradevole al palato, perché è più facile ridere degli altri che di noi stessi, perché quel mondo incredibilmente alieno ed assurdo (pur essendo così tanto simile al nostro) dà la possibilità di portare alle estreme conseguenze situazioni e considerazioni a noi fin troppo familiari.
Johnatan Swift scrisse i "Viaggi di Gulliver" per mettere in berlina la società del suo tempo, Pterry nei suoi 40 volumi del ciclo del Disco ha ironizzato su ogni cosa che riteniamo pomposamente “importante”: sui miti, sulla letteratura classica, sulle nostre manie ed i nostri vizi. I suoi primi volumi sono pieni di gioiosa voglia di scherzare su tutto e su tutti, poi, maturando ed invecchiando (come il vino buono, però), la sua è diventata una satira sempre più meditata e razionale, ma sempre graffiante ed acuta. Ha toccato tutti i grandi temi, compresi quelli della vita e della morte, della religione, della discriminazione razziale e sociale, dell'integralismo. E poco importa se i libri sono ammantati di esotiche stravaganze. Poco importa se il lugubre Death (rigorosamente di sesso maschile in inglese), personificazione antropomorfica della morte, si presenta a cavallo dello splendido stallone bianco di nome Binky in carne e muscoli, "perché i cavalli scheletrici sono troppo scomodi!", e spesso ragiona filosoficamente sulla strana, incomprensibile natura umana! Poco importa se gli dei del suo mondo hanno sede sull'altissimo monte di Cori Celesti entro un loft minimalista ove passano il tempo giocando e barando a dadi sulla vita degli esseri umani; se, tra di loro c’è anche Biliuos l’oh-ddio del dopo-sbornia, ed Anoia, la dea degli oggetti incastrati nei cassetti (invocata spessissimo, anche se non in modo benevolo) ed un buffo elefantino divoratore di lana, dio dei calzini spaiati. Poco importa se essi, diventati cosi intransigenti da vietare ai propri seguaci il consumo di cioccolato o l'uso della parola blu, rischiano di divenire sempre più piccoli come il numero dei loro fedeli, e, infine, di scomparire nel nulla. Poco importa se le razze discriminate di cui si cerca la riabilitazione siano gnomi, troll, goblin o orchi.
Insomma poco importa se il mondo del Disco è fantasioso ed irreale, perché i fatti che ci mostra sono terribilmente reali e concreti. E, soprattutto, leggerne le strane sconclusionate vicende è un piacere unico.
Se avessi mai l’ardire di fare una critica ai libri di Pratchett dovrei dire che, sotto un certo risvolto, sono eccessivi: sono troppo divertenti e troppo profondi al contempo. Le battute sono così frequenti e fulminanti, così spesso frammiste ad osservazioni di una lucidità agghiacciante, che rischi di non gustarti tutte le prime o di perdere la profondità delle altre perché stai ancora ridendo per la frase che le ha precedute.
Non è raro, poi, che, preso dalla situazione comica, il lettore non si avveda che Terry gli sta educatamente battendo su una spalla per dirgli di fermarsi a riflettere su cose dannatamente importanti, buttate lì, con una frase che da sola varrebbe come un intero discorso, ma che quasi si mimetizza nel fluire del racconto, come se temesse di essere troppo saggia per un libro che, forse, dovrebbe essere solo "di evasione".
Mi sono reso conto, dopo tutto questo profluvio di parole, di non averne spesa neppure una su "Maledette Piramidi!" il libro che ha dato, per me, inizio al tutto, e che dovrebbe essere l'oggetto della recensione.
Me ne scuso, ma, dopo un così lungo "fidanzamento" con l'autore, mi diventa ormai difficile distinguere un'opera dall'altra; per quanto ognuna sia perfettamente autonoma anche fuori dal ciclo, in particolare “Pyramids” (mi permetto di parlare della versione in lingua originale che ho riletto di recente per i motivi che specificherò più sotto) è un unicum nella saga, poiché i personaggi si presentano solo in questo romanzo e, anche cronologicamente, è completamente svincolata dai vari cicli in cui può essere idealmente suddivisa l'opera.
In questa storia si narra del giovane Pteppic che, dopo sette lunghi anni di pericolosi studi presso l’Ateneo della Gilda degli Assassini di Ankh-Morpork, il più prestigioso college di tutto il Mondo Disco, si è brillantemente laureato. Quella stessa notte, però, è miracolosamente convocato nel suo regno, il Djelibeybi (un'equivalente dell'antico Egitto), a seguito della morte improvvisa del padre. Dovrà diventare il nuovo faraone, dovrà sopraintendere alle esequie del padre facendo costruire una Grande Piramide, sarà responsabile del sorgere del sole, dell'esondazione del fiume e del maturare del grano e, insomma, dovrà governare il piccolo Stato allungato lungo le rive del fiume Djel, incarnando le funzioni del dio protettore della sua terra.
Tuttavia, ormai assuefatto agli usi "barbari" della grande città - usi che contemplano cuscini di piume, servizi igienici con fognature, ed uno stile di vita moderno - Pteppic (diventato ormai per tutti Teppic) si troverà subito in contrasto con il sommo sacerdote Dios che vuole mantenere le tradizioni millenarie del Djelibeybi, mentre lui vorrebbe introdurre quelle innovazioni conosciute ad Ankh-Morpork. Inoltre, non conoscendo lo stretto protocollo a cui deve attenersi un faraone, metterà nei guai più di un suo suddito con i suoi modi troppo "alla mano"; per non parlare dei guai che creerà l'enorme piramide che si vedrà costretto a commissionare per tumulare il padre, il quale, poveretto, avrebbe desiderato una sepoltura in mare, come vanamente va dicendo il suo fantasma che aleggia nei pressi del luogo di imbalsamazione.
Teppic sarà costretto a fuggire dal Regno. Infatti, a seguito di un ordine che il perfido Dios gli ha estorto, la giovane ancella Ptraci dovrebbe essere messa a morte per non aver voluto seguire ‘volontariamente’ nella tomba il defunto faraone. Giungeranno in groppa al più grande matematico di tutti i tempi (il cammello You Bastard!) ad Efebe, stato iconico dell'antica Grecia.
Nel frattempo il Vecchio regno, sotto il "peso" della instabilità paracosmica causata dalla Grande piramide che tiene intrappolato il tempo, scomparirà dal Disco. Nel Djelibeybi gli dei si manifesteranno agli uomini, mentre gli antichi faraoni risorgeranno dalle piramidi in cui sono state conservate le loro mummie. Al di fuori, sul Disco, i due stati di Efebe e Tsort non più separati dalla valle del Djel, sono divenuti di nuovo confinanti, riaccendono così la loro millenaria rivalità: schiereranno l'uno contro l'altro eserciti di… cavalli di legno, infarciti di armati, per vendicare i torti subiti che ognuno rinfaccia all’altro.
Teppic, tuttavia, riuscirà a tornare nel proprio regno e a distruggere a Grande Piramide: il Djelibeybi riprenderà il proprio posto nel Mondo Disco, forse con qualche modernità in più, mentre Dios scomparirà nel passato per ricominciare il ciclo degli avvenimenti.
A commento mi limiterò a dire che con Pyramids, e la rivisitazione umoristica dei miti dell’Antico Egitto e dell’antica Grecia e delle strane opinioni che noi moderni ci siamo fatti di quelle antiche, gloriose civiltà, Pratchett mette sotto un microscopio critico proprio il nostro essere, la schiavitù che spesso ci incatena (nelle religioni, ma non solo) più al rito in sé, ormai privo di concreto significato, che dell’essenza del precetto. L'autore, in fondo ci suggerisce di "fare un passo indietro" in modo da osservare con occhio più distaccato la realtà delle cose, di individuare il lato comico di ognuna di esse e di difendere la nostra libertà ed indipendenza di pensiero.
Chiudo con alcune frasi tratte dal volume e da me maldestramente tradotte (vedi sotto per i motivi). Anche lette fuori dal loro contesto conservano una straordinaria efficacia, sia come battute umoristiche che come riflessioni con la drammatica concretezza degli aforismi.
"- Un caso di mortis portalis tackulum con complicazioni-
-Cosa vuol dire?- chiese Chidder.
- In termini legali,- sbuffò il dottore - è morto stecchito [in inglese: morto come un chiodo di porta]-
- E quali sarebbero le complicazioni? -
Il dottore guardò imbarazzato. - Respira ancora - disse.
"Quando muori, la prima cosa che perdi è la tua vita. La successiva sono le tue illusioni".
"Dios, Primo Ministro e Gran sacerdote di tutti i Grandi Sacerdoti, non era per sua natura religioso. Non è una qualità auspicabile per un alto sacerdote, influisce sulla tua capacità di giudizio, lo rende fallace. Comincia a credere in qualche cosa e tutto l’affare diventa una farsa. Non che avesse nulla contro la fede. La gente doveva credere negli dei, se non altro perché è così difficile credere nelle persone. Gli dei erano necessari. Egli si limitava a chiedere che se ne stessero fuori dalla sua strada e lo lasciassero lavorare a modo suo"
"Curioso. Quando era vivo tutto ciò gli sembrava così sensato, così ovvio. Ora che era morto appariva come un enorme spreco di energie".
"- Sì, perché sei qui [in prigione]?”
L’uomo alzò la testa. - Ho bestemmiato contro il Re -
- Perché l’hai fatto?-
- Mi ero fatto cadere una pietra sul piede. Ora la mia lingua sarà amputata.-
La figura ammantata di nero [Teppic], annuì con comprensione.
- Un sacerdote ti ha udito, vero? - disse.
- No. L’ho riferito io al sacerdote. Tali espressioni non possono restare senza punizione.- Disse l’uomo virtuosamente.
Come siamo bravi in queste cose, pensò Teppic. I semplici animali non sono assolutamente in grado agire in maniera simile. Devi essere un umano per comportarti in modo realmente stupido.
"E' ora noto alla scienza che esistono più dimensioni delle classiche quattro. Gli scienziati dicono che ciò non ha impatto sul mondo perché le dimensioni extra sono molto piccole e curve attorno a sé e dal momento che la realtà è frattale e la gran parte di essa è rincalzata su sé medesima. Ciò vuol dire che l'universo è più pieno di meraviglie di quanto noi possiamo mai sperare di comprendere, o, più probabilmente, che gli scienziati ingarbugliano le cose man mano che procedono."
"La fede è una forza. E' una forza, debole in confronto alla gravità; se si tratta di muovere una montagna la gravità vince sempre."
"Gli Efebiani facevano il vino con qualsiasi cosa potessero sbattere in un secchio, e mangiavano qualsiasi cosa non riuscisse ad uscirne."
"Dios sedeva sui gradini del trono, e squadrava mestamente il pavimento. Gli dei non ascoltavano. Lui lo sapeva già. Lui lo sapeva, lo sapeva di tutti. Ma non aveva mai avuto importanza sinora. Quello che aveva importanza era il rituale, non gli dei. Gli dei erano là solo per svolgere il compito di megafoni, perché chi altri avrebbe ascoltato la gente, sennò?"
"Il problema con gli dei è che dal momento in cui una quantità sufficiente di persone comincia a credere in loro essi iniziano ad esistere davvero. E ciò che inizia ad esistere non è ciò che originariamente si era inteso".
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Devo aggiungere un’ultima considerazione, come poscritto. Meglio, vorrei rivolgere, ai potenziali lettori, un consiglio che raramente do, ma che nella fattispecie ritengo assolutamente indispensabile. Chiunque conosca anche solo un po’ di inglese è meglio che cerchi di leggere i libri di Pratchett in lingua originale, per quanto la cosa non sia oltremodo facile. Mi sono reso conto in questi giorni - rileggendo Pyramids e tenendo di fianco il testo italiano, per curiosità - che, purtroppo, i traduttori italiani, equivocando sul genere di libri scritti da Sir Terry, e, forse, ritenendoli solo letteratura d’evasione o, peggio, libretti per l’infanzia, hanno le deprecabili abitudini di amputare brutalmente i testi, anche dove non esiste una reale difficoltà di trasformare il discorso in italiano; di edulcorare le espressioni usate; di stemperare gli abili equilibrismi linguistici utilizzati rendendo piatto il fraseggio. Talvolta, con la pretesa di spiegare la situazione, che risulta chiara di per sé, aggiungono espressioni di loro pugno che nulla hanno a che vedere col testo originale rischiando così di stravolgere il senso o l’immediatezza della frase. Per non parlare di quando, ahimè, si sentono in diritto di sostituire una battuta (assolutamente perfetta in inglese) con una di loro totale invenzione che arriva al lettore con la medesima efficacia di un frustata data con un fascio di spaghetti scotti.
Per quanto Pratchett sappia resistere bravamente anche a detti scempi ed a restare sempre e comunque godibile, il testo originale è ben più piacevole ed intelligente.
Indicazioni utili
In fondo, consigliato a tutti.