Magisterium. L'anno di ferro
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Quando l’eroe non è un eroe
Qual è la differenza tra l’avere un allenatore personale e l’andare semplicemente in palestra per proprio conto? A quanto pare tutta la differenza che c’è tra la scuola di Hogwarts e il Magisterium: nella prima vengono insegnate formule magiche, pozioni e un po’ di storia della magia; nel secondo sembra sufficiente esercitarsi e ripetere allo sfinimento le stesse operazioni per migliorarsi.
Va bene, è un po’ troppo facile partire subito con un paragone tra questo romanzo e la saga potteriana, ma non è certo mia intenzioni gridare al plagio, anzi a mio avviso lo si può vedere come un omaggio al mondo creato da J. K. Rowling. Questo vale solo se escludiamo l’antagonista e il suo “legale” -per usare un eufemismo- con il protagonista che sembrano davvero una copia poco fantasiosa di Voldemort, e di Harry in quanto Horcrux.
Inizialmente, anche la trama pare un accozzaglia di idee già lette, ma con il proseguire degli eventi essa si evolve in un intreccio ben più interessante e curioso, che costringe il lettore a proseguire con la lettura dei volumi successivi per scoprire dove andrà a parare.
Abbiamo quindi un aspirante mago talentuoso (e questa volta orfano solo a metà), una scuola di magia, due amici coi quali formare l’immancabile terzetto e un insegnate preparato seppur severus severo. Ad animare questo quadro di partenza è innanzitutto la rivelazione che il nostro protagonista una volta tanto non è l’eroe destinato a salvare il mondo, anzi in un primo momento il giovane Callum non desidera neppure entrare nel Magisterium; questo e molti altri dettagli lo rendono un protagonista un po’ insoluto e interessante.
Il filo conduttore in questo primo romanzo sembra semplicemente l’avanzamento nello studio della magia durante il primo anno alla scuola, noto appunto come l’Anno di Ferro. Vari colpi di scena e misteri lasciati volutamente irrisolti aiutano poi ad arricchire la trama, che risulta comunque parecchio scarna.
Quindi abbiamo un libro breve e dallo stile scorrevole: in teoria l’avrei dovuto leggere in un paio d’ore, ma purtroppo ci sono dovuta fermare diverse volte per i dubbi causati da un’ambientazione a dir poco confusa. Ad esempio, non è mai chiarito se le persone “normali” (i Babbani, per intenderci) siano o meno a conoscenza dell’mondo magico; anche il funzionamento della magia rimane parecchio oscuro, perché da un lato sembra sia sufficiente pensare all’obiettivo per attivarla, ma dall’altro non si spiega perché un Magistro non dovrebbe permettere agli studenti di apprendere dei metodi per migliorare più velocemente.
Sul piano dei personaggi abbiamo dei protagonisti ben caratterizzati e dei buoni comprimari, che però sono troppo numerosi ed è molto difficoltoso ricordare tutti i Magistri e gli apprendisti presentati.
Ho apprezzato come sono stati strutturati gli eventi precedenti al romanzo e come poi sono stati presentati al lettore, svelandosi a poco a poco.
Una nota dolente è invece data dalla fretta con cui tutto viene narrato: sia arriva a condensare mesi interi in mezza riga, mentre le autrici avrebbero potuto dare molto più spazio agli studi di Call, così da delineare meglio sia i personaggi secondari sia le competenze apprese.
Anche il finale risente di questa frettolosità generale e sembra piazzato in modo casuale, giusto per concludere il volume.
Vorrei infine segnalare come il titolo di questo libro sia stato vittima di un adattamento opinabile, pratica frequente nel Bel Paese. Perché la Prova di Ferro diventa l’Anno di Ferro? Il tutto ha ancora meno senso dal momento che per i volumi successivi si è optato per una traduzione letterale.