Jonathan Strange e il signor Norrell
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Magicamente malinconico
Malinconia ed ironia si mescolano lentamente in un lungo romanzo a metà tra lo storico ed il fantastico.
Il libro non parte lento ma lentissimo, per tutta la prima metà del racconto è difficile non trovare la maggior parte della lettura tediosa e sonnacchiosa. Troppo particolareggiata. Troppo complessa.
L'idea è senza dubbio originale e vincente: immergere una magia tanto credibile dal risultare concreta, in un periodo storico vero e ben conosciuto come l'inizio dell'Ottocento nel pieno delle guerre Napoleoniche.
L'unico difetto di questo libro è proprio la lunghissima partenza al rallentatore, quattrocento pagine di preamboli sono secondo il sottoscritto veramente un' esagerazione ai limiti del sadismo.
Coraggiosamente ho superato questo invalicabile ostacolo continuando imperterrito nella lettura, nonostante più volte mi sia addormentato con il libro in mano risvegliato dallo stesso che mi piombava sulla fronte... Avendo letto il romanzo "Piranesi" della signora Susanna Clarke, ed essendone stato incredibilmente e favorevolmente colpito, aspettavo che anche questo "mattone" raggiungesse il suo scopo.
Fortunatamente la seconda metà del romanzo risulta decisamente più gradevole, infarcendo la storia di situazioni, accadimenti, vicissitudini ed evoluzioni che finalmente danno un senso alla lettura dello stesso, ma non solo, proseguendo, si capisce anche il senso di tutta la prima lentissima parte!
Susanna Clarke utilizza una scrittura ricercata ed arcaica, non solo nei dialoghi tra i vari (molti e molteplici "forse troppi") personaggi, ma anche nella stesura stessa del racconto, rendendo il romanzo stesso "gotico" e romanticamente "d'epoca". Lasciando quindi al letture la favorevole e piacevole sensazione di leggere uno "scritto del tempo".
"Era una giornata grigia. Un vento gelido soffiava fiocchi di neve contro la finestra della biblioteca del signor Norrel, dove Childermass scriveva lettere d'affari seduto alla scrivania. Sebbene fossero soltanto le dieci del mattino erano già accese le candele. Unico rumore quello del carbone che si consumava nel camino e il grattare della penna di Childermass sul foglio."
Il finale, "aperto ma non troppo", ci lascia a metà tra il malonico e lo speranzoso.
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Per le note ho sacrificato più di una diottria
Ammetto che, per quanto trovassi la sinossi intrigante, "Jonathan Strange e il signor Norrell" è uno dei libri di cui rimandavo sempre la lettura, senza farmi troppi problemi; mi capita sempre così con i volumi particolarmente lunghi usciti da abbastanza tempo da non avere più un grande hype attorno a loro. Essermelo ritrovato nel sorteggio della mia Random TBR mi ha però obbligato a farlo rientrare tra le letture dei primi sei mesi dell’anno, e nel complesso sono contenta sia andata così: senza una sorta di obbligo avrei procrastinato ancora una lettura di certo impegnativa (in termini temporali, più che altro!) ma allo stesso tempo decisamente piacevole.
Clarke ci porta in una versione alternativa dell'Inghilterra di inizio Ottocento, dove la magia esiste ed è nota a tutti ma da centinaia di anni non viene più praticata attivamente dai maghi britannici, che sembrano aver perduto le conoscenze necessarie ed essersi allontanati dalle creature fatate per rivolgere la loro attenzione soltanto alla teoria. A tentare di dare nuovo lustro a questa disciplina -contribuendo nel contempo allo sforzo bellico contro l'esercito napoleonico- è Gilbert Norrell, mago dello Yorkshire che acquisisce un ruolo sempre più importante nella società londinese grazie ai suoi incantesimi stupefacenti. Alla rigida disciplina e all'estrema riservatezza di Norrell fa da contrappeso lo spigliato e talentuoso Jonathan Strange, un neofita delle arti magiche che predilige incantesimi più scenografici e sperimentali, motivo per il quale il loro sodalizio di maestro e allievo non dura a lungo.
Questo accenno di trama vi potrebbe sembrare lacunoso, e in effetti lo è; ma d'altro canto la storia raccontata dalla cara Susanna è talmente articolata -e popolata da dozzine di personaggi- che farne un sunto è una vera impresa. Questo è forse il primo ostacolo da superare per cominciare ad apprezzare il romanzo: bisogna farsi forza, cercando di memorizzare quanti più nomi possibili (una piccola appendice a fine volume sarebbe stata assai gradita dalla sottoscritta) e venendo a patti con una narrazione che si prendere comodamente i suoi tempi per mostrare retroscena e aneddoti assortiti. Con il procedere della lettura si viene inevitabilmente catturati dalla prosa di Clarke, che adotta uno stile perfetto per l'età georgiana, in cui le vicende sono teoricamente ambientate; tra location tanto fiabesche quando oscure, il senso di mistero e inquietudine della storia viene reso ottimamente.
Personalmente ho apprezzato molto anche l'umorismo della voce narrante (un anonimo conterraneo dei protagonisti): sottile e pungente, da il suo meglio nelle note che pur essendo quasi sempre opzionali meritano di essere lette per farsi qualche risata. Pur non essendo tutti memorabili, i personaggi sono poi ben caratterizzati, mettendo in chiaro i loro difetti, anche se non in modo palesemente fastidioso; un lavoro ancor più attento è stato fatto sui due protagonisti, in particolare puntando l'attenzione sulla loro dicotomia sia a livello caratteriale che in merito agli opposti approcci nei confronti della magia. Il romanzo propone anche alcuni spunti di riflessione sulla condizione vissuta da determinate categorie -come le donne ed i neri- nel passato, ma questo tema non diventa mai centrale nella narrazione.
Ma veniamo ai tasti dolenti, che si fanno ancor più amari se penso a quanto del mio tempo ho dedicato a questa lettura. Come già accennato, il ritmo del volume è tremendamente lento a causa dei cambi frequenti e repentini di prospettiva e di una trama troppo dispersiva; se poi l'epilogo riuscisse a far convergere tutte le linee narrative non mi lamenterei più di tanto, ma il finale per assurdo è molto frettoloso e non riesce a dare una conclusione degna alle storie di tutti i personaggi. Personaggi che affollano in modo esagerato il libro, venendo spesso abbandonati in un limbo fuori scena per decine di pagine.
Visto il mestiere svolto da Norrell e Strange, mi sarei poi aspettata qualche chiarimento in più sul sistema magico, che rimane invece fumoso e quasi astratto. Ho poi qualche riserva sulla scelta di includere la prospettiva del villain principale, perché rende noioso dover aspettare centinaia di pagine prima che i protagonisti arrivino a determinate scoperte; ad avermi veramente frustrato è stata proprio la lentezza con cui i personaggi univano i puntini, passando per dei poveri mentecatti che impiegano anni per raggiungere conclusioni palesi.
NB: Libro letto nell'edizione TEA, dal catalogo Longanesi
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Due maghi appariranno in Inghilterra
La società magica di York è in subbuglio, il giovane Segundus ha fatto l’unica domanda che non avrebbe dovuto fare: perché la magia inglese non funziona più? Grandi del passato hanno compiute prodezze, Martin Pale, Catherine di Winchester, Ralph Stokesey e soprattutto John Uskglass, il Re Corvo che per 300 anni regnò sopra metà dell’Inghilterra. Ma quei tempi d’oro sono finiti, o così sembra, finché Gilbert Norrell, scontroso signore del nord, non anima le statue della cattedrale. Allora la profezia è vera: due maghi riporteranno la magia in Inghilterra, uno sembra essere Norrell, e l’altro?
Norrell va a Londra, vuole ridar lustro alla magia inglese, e per farsi prender sul serio riporta in vita Lady Pole. Ma dovrà stringere un patto con il Gentiluomo dai capelli lanuginosi, e nulla è senza conseguenze. E nel frattempo, anche l’istrionico Jonathan Strange trova il suo destino, è lui il secondo mago, gli dice lo straccione Vinculus, e dovrà andare a Londra a incontrare il Signor Norrell.
Siamo nel XIX° secolo, e l’ombra di Napoleone incombe su tutta l’Europa, e ora, con due maghi al suo fianco, l’Inghilterra è certa di vincere. Così Strange, ora allievo di Norrell, parte, prima per il Portogallo, poi per Waterloo, a dar manforte all’esercito, ma mentre è via capisce che il suo maestro non gli ha detto tutto, e a lui non basta, vuole conoscere la verità: perché la loro magia non può fare le meraviglie dei maghi del passato? E cercando quel potere che sembra perso, segna il suo destino, la profezia dice che riporteranno la magia in Inghilterra, ma parla anche della loro rovina.
Jonathan Strange e il Signor Norrell è il primo, fortunatissimo, romanzo di Susanna Clarke, un fantasy forse unico, in cui realtà storica e fantastica si mischiano in un’originale narrazione fuori dal tempo. Personaggi realmente esistiti, come il risoluto Generale Wellington, il folle Giorgio III o l’insopportabile Lord Byron, fanno da spalla ai protagonisti di questa storia sulla magia, tra regni fatati, schiavi senza nome e strade nascoste dietro gli specchi. L’autrice usa un linguaggio arcaico, non solo il modo con cui i personaggi si esprimono, ma la ricercatezza del linguaggio della stessa Clarke danno la bizzarra sensazione di star leggendo un testo d’epoca vittoriana, anziché un qualcosa non molto più vecchio di una decina d’anni. E questa scelta ben s’adatta alla coltre di malinconia che pesa su tutto il romanzo. Qualcosa d’inestimabile è andato perso, qualcosa il cui valore non possiamo nemmeno più comprendere. Ma non è una lettura triste, tutt’altro, l’ironia, “l’inglesità”, il mistero e la magia, tanta magia, rendono le oltre 800 pagine piacevoli, e le note con cui Susanna Clarke correda il testo, ampliano il mondo in cui Jonathan Strange e il Signor Norrell immergono il lettore, un mondo così credibile, che sembra così vicino, che potrebbe davvero trovarsi dietro il cielo, dall’altra parte della pioggia.