Il portale degli obelischi
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Quindi è tutta colpa del Genio delle Tartarughe?
Dopo averne sentito tessere le lodi da chiunque, ammetto di aver avuto delle aspettative importanti al momento di iniziare la trilogia La terra spezzata, anche perché già conoscevo lo stile di Jemisin e avevo apprezzato la sua originalità ne "I centomila regni"; non c'è stato però un vero colpo di fulmine con "La quinta stagione", libro ben scritto e ricco di spunti ma non del tutto convincente a mio avviso. Arrivata al secondo capitolo ero certa che la serie mi avrebbe finalmente conquistata, eppure ancora non ci siamo: pur migliorando alcuni aspetti del primo volume, "Il portale degli obelischi" va ad aumentare le problematiche già esistenti, e crearne di nuove.
La trama è il principale tasto dolente di questo libro, ma iniziamo con un dato oggettivo: i POV diventano tre, tra i quali il principale rimane quello di Essun, a cui si aggiungono le storie della figlia Nassun e di un altro personaggio già conosciuto nel primo volume. Questi ultimi sono fortemente collegati e vanno purtroppo a generare una serie di quesiti senza risposta, che portano inevitabilmente ad una voragine di trama; ve ne elenco alcuni, cercando di non fare spoiler: perché Jija non porta via entrambi i figli se è convinto della sua destinazione? chi l'ha messo al corrente del luogo in cui è diretto? da dove parte la voce sulla "cura" visto che nessuno è mai stato curato? perché in dieci anni il Fulcro non è mai intervenuto in alcun modo? E anche accantonando tutte queste domande, nei capitoli POV di Nassun si procede con una lentezza incredibile, soprattutto se consideriamo che la sua svolta finale era intuibile già dall'inizio.
Con Essun le cose non vanno meglio, purtroppo. Lei porta avanti la storia in modo più concreto, ma viene continuamente rallentata da personaggi che non le forniscono le informazioni necessarie o scene di dubbissima utilità (come quella sull'uomo attaccato dagli insetti bollitori) protratte per interi capitoli. La sua epifania nell'ultima parte può risultare interessante all'apparenza, ma ragionandoci sopra si può capire facilmente come non sia nulla di più di quanto aveva già ottenuto Alabaster, e con un climax perfino meno incisivo per quanto riguarda la serie nel suo insieme.
La scelta di ricorrere nuovamente a dei time jump non aiuta certo a migliorare la fluidità della trama, ma per lo meno le relazioni tra i personaggi principali non ne risentono troppo, come accadeva ne "La quinta stagione". In realtà le varie dinamiche mi sono sembrate più genuine e trattate con grande cura: sicuramente sono tra i punti forza del libro.
Anche i singoli personaggi vengono analizzati approfonditamente, con un deciso focus sulle loro emozioni e desideri, e questo nonostante il cast diventi molto più numeroso. Ovviamente qualcuno ottiene meno spazio, e per quanto mi riguarda avrei voluto leggere più scene con Tonkee e Hoa, oltre che con i vari mangiapietra dei quali sappiamo ancora troppo poco.
Queste creature sono poi alla base della gran parte delle rivelazioni di questo secondo capitolo, in particolare relativamente al world building, ampliato solo in teoria purtroppo. Allo stesso modo, il sistema magico si arricchisce di nuove informazioni che devo però ammettere di non aver compreso del tutto; questo perché le stesse scoperte vengono fatte da più personaggi, però ognuno descrive ciò che riesce a fare con termini diversi.
Dal punto di vista dello stile invece la cara Nora non mi ha deluso: apprezzo molto la sua capacità di alleggerire un'atmosfera tanto pesante grazie ad un paio di battute piazzate al momento giusto. È riuscita inoltre ad inserire con più decisione il tema dell'ambientalismo, pur rimanendo principalmente focalizzata su quello della xenofobia in ogni sua forma. La sua bravura come scrittrice è anche uno dei principali motivi per cui rimango fiduciosa che l'ultimo libro sappia concludere degnamente una serie con delle basi decisamente solide, dando magari un'accelleratina alla trama.