Vox
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Braccialetti non innocenti
Buona l’idea. Un po' truculento lo sviluppo. Il tutto parte in America quando, dopo l’ascesa alla presidenza di una figura contestabile, la società involve, perché le donne, ma anche le bambine, sono costrette a tenere ai polsi dei contatori per tenere sotto controllo le parole espresse nella giornata, che non possono essere più di 100, altrimenti parte in automatico una scarica elettrica tanto più forte tanto più si eccede il limite. Sembra fantascienza, perché nell’arco di una sola generazione, il mondo viene stravolto fino a diventare irriconoscibile. Le vogliono docili, ma alcune di loro diventano guerriere, disposte anche ad uccidere per rimanere libere. Perché trovano la forza per reagire a questo assurdo sopruso. Molto interessante è il fatto che la protagonista sia una linguista, aspetto che ci offre un punto di vista specialistico non comune: apprendiamo ad esempio che se una bambina non apprende a parlare in una determinata fascia di età, porta conseguenze irreversibili anche nell’età adulta, nel senso che non riuscirà più a recuperare queste carenze. Peccato per l’aspetto truculento, che emerge quando si scopre il vaso di Pandora sulla serie di esperimenti illeciti che vengono condotti sugli animali. Caldo come un soffio l’accenno velato all’Italia ed al suo mondo.
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Lo studente si impegna ma potrebbe fare di più
Comincio subito col far notare i diversi punti in comune fra questo romanzo e “Il racconto dell’ancella”.
- anzitutto il rapido passaggio – e sempre per motivi politico/religiosi – verso la schiavizzazione della donna. In questo caso la condanna al limite di cento parole al giorno tramite braccialetto con tanto di scossa elettrica al superamento del limite, mentre nell’”Ancella” questo tipo di controllo non era necessario, essendo la società stessa più che sufficiente al bisogno;
- esiste anche qui una rete di resistenza, ma con una differenza nella sua finalità: mentre nell’”Ancella” la Resistenza ha lo scopo principale di favorire la fuga dal Paese, in “Vox” si tratta di estirpare il male alla radice, cioè cercare di eliminare chi sta al potere;
- anche qui i maschietti ci fanno una magra figura, in generale, ma sono molto più ben disposti a dare una mano (e oltre agli americani, anche gli italiani!);
- scrittura in prima persona, con notevoli interventi introspettivi
Le differenze:
- lieto fine dietro l’angolo in ”Vox”, mentre nell’”Ancella” si può solo supporre ragionevolmente che Difred abbia riconquistato la libertà;
- qualche rara scena un po’ movimentata che nell’”Ancella” manca del tutto, ma non sorprende più di tanto, visto che in generale un’autrice tende più a evitarle, rispetto all’autore maschio. In generale.
- anche qui Jean – come Difred – trova un altro partner (a quanto pare per la serie “italians do it better”) e il maritozzo, becco e non molto contento à si sacrifica per il bene comune.
Difetti:
- alcuni deus ex machina non proprio inaspettati ma necessari per mettere tutti i pezzi al loro posto e arrivare al lieto fine (ma non ve li dico perché non vi rovino la lettura). Però Poe lo preferivo davvero cattivo (ecco, ne ho detto uno) e il Presidente e i suoi compari li facevo più scaltri (e ne ho detto un altro!).
Il lieto fine stempera il pregresso facendolo assomigliare a una specie di prova dolorosa ma necessaria, e penso che questo sia stato fatto per obbedire a leggi di mercato (non deludere chi, dopo trecento e passa pagine vuole che tutti vivano felici e contenti).
In questo senso Christina Dalcher avrebbe potuto osare un po’ di più: intendo dire che se una situazione simile diventasse reale difficilmente ci sarebbe un lieto fine…
Detto questo, il mio parere potrebbe sembrare negativo, ma non lo è: direi piuttosto che “Vox” completa, sia pure da un punto di vista differente, il discorso iniziato con l’”Ancella” e non escludo che la Dalcher l’abbia letto rimanendone fortemente influenzata.
Non lo vedo ad ogni modo un plagio o una scopiazzatura, quanto una diversa e interessante interpretazione che sistema altri pezzi del mosaico.
Infine, fra le righe troviamo non troppo velate allusioni a personaggi attualmente viventi e incitamenti a non sottovalutare – come aveva fatto Jean all’inizio – certi cambiamenti che potrebbero avere conseguenze estreme.
E infine la mia personalissima opinione:
Idea: Originale e ben sviluppata, almeno per le prime trecento pagine.
Stile: scorrevole e mai pedante, anche se a volte qualche tecnicismo in meno non avrebbe guastato.
Trama: tiene e – nonostante le soluzioni deludenti di cui dicevo prima – non mi è sembrata mai fuori della logica del romanzo. Solo – come detto sopra – il finale positivo per quanto bene accetto, mi pare assai poco probabile, in particolare per la soluzione adottata.
Contenuto: ben sviluppato il discorso sulla condizione femminile in questo ipotetico futuro (peraltro talmente vicino a noi al punto che questo si può considerare un romanzo distopico).
Personaggi: ben delineati e in generale coerenti con i propri obiettivi. La vera sorpresa è Patrick, che non è proprio quel che pareva (Lorenzo è abbastanza prevedibile, essendo per Jean l’immagine dell’uomo ideale). Morgan invece, è monolitico e si comporta proprio come ci si aspetta che faccia.
Come si legge: scorrevole e piacevole. Non ho trovato veramente dei punti di stanca. Si ha l’impressione di avere di fronte qualcuno che sta raccontando la sua storia.
Acquisto consigliato: sì. Anche se “Il racconto dell’ancella” è di ben altra pasta.
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Silenziare
«Se c’è una cosa che ho imparato da lei è che non puoi protestare contro qualcosa che non ti aspetti» p. 34
Stati Uniti. Da quando il nuovo Presidente si è insediato alla Casa Bianca e ha iniziato a detenere il potere molte cose sono cambiate. Sulla scia dell’estremismo del credo religioso e dell’indottrinamento delle masse si è giunti alla conclusione di una necessità impellente: quella di ripristinare i ruoli e i valori all’interno della famiglia moderna per ridare un ordine a tutte quelle cose che a fronte di una società basata sulle apparenze e frivolezze, non vanno come dovrebbero. E quale miglior modo se non quello di ripristinare la figura del pater familias, di renderlo l’unico soggetto legittimato a prendere decisioni a lavorare, con annessi e connessi poteri trasmessi anche alla prole di sesso maschile, e con la riconduzione della figura femminile solo e soltanto al ruolo di madre e custode della casa? Non stupisce dunque che, mentre un piano di bonificazione ha luogo in tutto il paese, un piano che parte dalla riformulazione del concetto di scuola e di istruzione a cui fa seguito ancora una marcata separazione delle figure femminili e maschili in ogni contesto nonché uno spossessamento di diritti (dal semplice possesso di un conto corrente bancario a un passaporto), contemporaneamente abbia luogo anche una degenerazione del sistema che mira ad un “silenzio assoluto” del possibile dissenso. Un silenzio che non si basa più su un limite di parole che possono essere proferite al giorno da parte della categoria del gentil sesso. Un silenzio che si uniforma a macchia d’olio senza risparmiare alcuno. Eh sì, perché se per controllare le donne è necessario silenziarle imponendo alla categoria il limite di 100 parole giornaliere a cui segue per ogni frazione decimane superata una scossa elettrica irradiata dal contatore, un braccialetto di vari colori e strass al polso (perché la donna è superficiale e guarda soltanto al brillantino e al colore), che si incrementa all’aumentare delle parole in eccesso proferite, adesso che la società ha assunto un nuovo volto, è necessario qualcosa di più forte e efficace. Da qui, il ruolo nuovamente necessario della protagonista, la Dott.ssa Jean McClennal specializzata nello studio delle neuropatie e in particolare massima esperta del progetto Wernicke.
«Puoi portare via molte cose a una persona: soldi, lavoro, stimoli intellettuali. Puoi anche portarle via la voce senza intaccare la sua essenza più profonda. Ma, se le impedisci di sentirsi parte di un gruppo, se le togli lo spirito di squadra, le cose cambiano» p. 47
Da questi brevi assunti ha inizio il romanzo distopico di Christina Dalcher, un testo in cui è chiara la volontà di denuncia all’ultimo governo americano, i cui riferimenti e spunti di riflessione sono molteplici. L’autrice nella sua narrazione cerca di evidenziare le varie contraddizioni di quello che sarebbe un sistema volto ad un ritorno indietro cercando, ancora, di porre l’accento sulla necessità di una concreta parità di diritti tra i due sessi. Il problema è che nello scorrere delle vicende tante sono le incongruenze e imprecisioni che deviano gli intenti e che non consentono al lettore di appassionarsi e riflettere, come dovrebbe, sul contenuto.
Perché se per una prima parte, un centocinquanta pagine circa, lo scopo dell’opera è chiaro e inequivocabile nonché ben strutturato, a partire dalla seconda parte lo sviluppo peggiora, perde quelle che erano le linee essenziali e diventa un mix tra un colpo di Stato alla Casa Bianca con un moto di ribellione verso il dogma religioso in un connubio di sequenze non chiare e sconclusionate. Da notare, infatti, è che tutta la denuncia attuata dalla scrittrice si basa, fonda e sostanzia proprio su quest’ultimo aspetto. La condizione femminile viene analizzata cioè esclusivamente a fronte di un ridondante e perenne estremismo religioso che non lascia spazio e possibilità di appello a tutti gli altri motivi che potrebbero invece fondare questa disparità. A questa prima nota debole si aggiunge una narrazione in prima persona che non caratterizza i personaggi, che nella fase d’azione è caotica e confusionaria e che negli altri passi dello scritto tende a ripetersi nei soliti concetti ripetuti e ripetuti e ripetuti ancora, lasciando tanti altri dettagli al caso e all’intuizione del lettore. Non stupitevi, dunque, se vi sembrerà di aver saltato un pezzo e se quindi vi verrà da tornare indietro per rileggere il periodo: non siete voi che non avete letto qualcosa, è l’autrice che o lo ha dato per scontato o semplicemente ha inserito un dettaglio che non trova fondamento e continuità con quello che stava trattando. Il risultato è che ci si chiede: ma cosa sta succedendo? Che succede?
A tutto ciò si aggiunge un finale poco esaustivo, frettoloso, che non centra il fulcro di quello che poteva essere l’epilogo, che lascia l’amaro in bocca, che non ha un perché logico.
Peccato, perché con uno sviluppo più curato e attento e con una minore fretta nella pubblicazione, “Vox” avrebbe avuto tutte le carte in regola per essere un libro da ricordare e con cui riflettere sulla realtà sociale che ci circonda.
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Sviluppo pessimo
Immaginate un mondo nel quale le donne non possono più parlare, non possono più dire la loro opinione. Peggio, un mondo nel quale possono farlo, ma per massimo cento parole al giorno, dopodiché, per via del braccialetto che portano obbligatoriamente al polso, se solo provano a pronunciare la centunesima parola verranno scosse elettricamente. Un incubo.
La storia si ambienta negli Stati Uniti e già nei primi capitoli scopriamo che il fenomeno per il momento è circoscritto soltanto lì.
Con questo romanzo distopico l’autrice cavalca l’onda dei temi quali il femminismo, anche se da una parte ci sono uomini conservatori, ma anche le stesse donne che puntualizzano come loro debbano essere mogli amorevoli che si occupano della casa. Questo romanzo vorrebbe far comprendere come in qualsiasi circostanza la libertà di parola sia fondamentale.
Queste idee estremiste sono stata inculcate con il tempo, come spiega Jean: «Ecco, è così che ci sono riusciti. Intrufolandosi in un corso qui e una associazione là, ovunque potessero attirare i ragazzi con la promessa di rendere più appetibili le loro candidature. È bastato». (Candidature per il college).
In Vox ciò che porta al silenzio femminile è la religione che prende sempre più piede con i suoi dogmi e regole sulla sottomissione della moglie al marito. Anche se nel romanzo è così, si può invece notare come nella nostra realtà le donne vengono etichettate dagli uomini e si cerchi comunque di farle stare in silenzio, senza che la religione imponga niente.
Sebbene l’idea di questo romanzo sia molto buona, lo sviluppo non lo è altrettanto. Si parla tanto di questo libro per la trama distopica di cui è composto, ma l’autrice non è riuscita a trattare bene il tema prefisso. Si parte bene e si prosegue in maniera confusionaria senza che il lettore riesca a comprendere cosa stia accadendo.
Il romanzo è scritto in prima persona, quindi ci si aspetta una certa introspezione che invece manca. I personaggi non sono minimamente approfonditi e molti concetti vengono ripetuti sino alla nausea ancora ed ancora, risultando davvero ripetitivo.
Con l’andare avanti dei capitoli il romanzo prende una piega con più azione che purtroppo è molto caotica, spesso non si capisce cosa stia effettivamente accadendo.
Il finale è molto veloce e poco sviluppato – come tutto il libro – lasciando il momento clou fuori campo. Anche in questo caso il lettore si chiederà cosa sia davvero accaduto.
Questo è uno di quei romanzi che avrebbe potuto dare tantissimo, ma, forse per la fretta di pubblicarlo, è soltanto un’accozzaglia di frasi e avvenimenti buttati lì alla rinfusa.
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UN TESTO CHE DOVEVA MATURARE
Vox, è il libro di cui tutti parlano e che mi inizialmente mi ha incuriosita molto.
Solo 100 parole questo è il limite giornaliero consentito alle donne. Solo alle donne perché gli uomini non hanno nessun tipo di vincolo.
Non vorrei dilungarmi sulla trama, ma questo romanzo dispotico mi ha lasciato qualche perplessità e vi vorrei dire il perché.
Sempre e solo le donne, in questi libri tutto ruota intorno a noi a questi soliti cliché che ormai stanno dominando la nostra società, le donne devono parlare di meno, devono stare al loro posto, devono essere fedeli e soprattutto devono fare figli. Anzi servono solo a quello.
Sono inevitabili i paragoni con il libro “Il racconto dell’ancella” di Margaret Atwood e il confronto non regge perché Vox presenta molti difetti.
Sicuramente la trama ha un qualcosa che attira il lettore ma credo che la curiosità iniziale svanisca quasi subito, perché l’idea c’è ma non è sviluppata in maniera approfondita.
La storia non è così originale, i primi capitoli sono troppo lenti e nei successivi la narrazione corre così veloce che alcuni passaggi si perdono.
Sicuramente devo ammettere che è un libro che fa riflettere sulla società del futuro, che non va avanti ma che torna indietro evidenziando le differenze e non trovando invece una ricchezza nel nostro mondo così variegato.
Nella seconda metà del libro la trama diventa veramente difficile da seguire, c’è molto confusione nei personaggi e nella storia.
Ho trovato agghiacciante leggere alcuni parti di questo romanzo, per la gravità di quello che potrebbe diventare il nostro mondo, ma sicuramente non possiamo ignorare i molti messaggi che oggi giorno vengono lanciati dalla società in cui viviamo.
Questo testo non mi ha convinto, per un libro che viene venduto e pubblicizzato così tanto l’autrice, l’editor e tutti gli altri che ci vanno dietro dovrebbero prestare più attenzione a quello che propongono.
Se fosse solo per il messaggio il libro è da un cinque pieno, ma purtroppo in sé lo stile e la struttura è da uno.
Avevo molto aspettative, forse troppo riguardo a questo libro e sono stata veramente delusa e mi dispiace perché probabilmente il testo e l’idea dovevano forse essere rivisti e “maturare” un po’ di più.
Non consiglio questo libro perché non mi ha convinta, anche se vi capitasse di leggerlo o lo avete già comprato sicuramente è un testo che fa riflettere e dal quale possiamo trarre alcuni spunti importanti, ma nonostante questo il mio giudizio non è positivo.
Se cercate un testo più solido, lineare e un vero dispotico con le stesse tematiche vi rinnovo l’invito alla lettura de “Il racconto dell’ancella”.
Non è una storia che ricorderò con piacere ma solo con tanta amarezza.