Venere sulla conchiglia
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Venere sulla conchiglia
Farmer scrisse questo libro in omaggio a Kurt Vonnegut, tanto che la prima edizione uscì a firma Kilgore Trout, l’immaginario scrittore di fantasceinza che compare qua e là nei romanzi dell’autore di ‘Mattatoio n. 5’. Vonnegut diede prima il suo assenso e poi si ritirò mentre il volume vendeva numerose copie: di questa marcia indietro non sono chiari i motivi, ma in essa bene si riflette l’ambivalenza di cui resta preda il lettore una volta girata l’ultima pagina. Farmer utilizza come canovaccio un accenno di trama presente in ‘Dio la benedica, Mr. Rosewater’ e da lì parte per una storia scanzonata in cui unisce le sue passioni – l’avventura fine a se stessa, l’essere immortale che scavalca le epoche, l’unione di forma popolare e cultura alta (il libro è pieno di citazioni quasi invisibili spiegate in una prefazione da leggere solo alla fine) – alle idee del suo scrittore di riferimento, tanto che qui ne raddoppia lo spunto immaginando le opere sia di un poeta, sia di un altro romanziere. Quest’ultimo serve anche per descrivere qualche aggiuntiva società aliena oltre a quelle che il protagonista Simon Wagstaff – in compagnia di un cane, una civetta e, per un bel tratto, di una fighissima robot - visita nella sua ricerca del senso della vita: la capacità dell’autore come ‘costruttore di mondi’ (tanto per parafrasare il titolo di un suo famoso ciclo) è indiscutibile e fonte di momenti di puro divertimento – come dimenticare il pianeta abitato da una razza i cui maschi sono una sorta di palloni aerostatici che si muovono a forza di peti? Altrove, però, l’ironia è assai più acre, specie quando si tratta di sbeffeggiare la religione e, soprattutto, il modo in cui essa si insinua nella sfera sociale e politica moltiplicandone l’ottusità: introduzione nel mondo chiuso della fantascienza di un argomento delicato, ma che ha sempre avuto un peso relativo perché l’interesse si è subito appuntato sull’altra grande novità, il sesso. Del resto il periodo in cui queste righe furono scritte era quello giusto, la prima metà degli anni Settanta, e così il buon Simon accompagna il suo vagare avendo rapporti con tutta una serie di svariate creature: letto con occhi odierni, il tutto risulta abbastanza casto, ma quarant’anni fa certe situazioni potevano essere percepite in modo diverso. Il problema è che questa sorta di mezza via finisce per valere riguardo all’intero romanzo, il quale diverte (a volte molto) e appassiona, specie se si amano i lunghi viaggi nello spazio, grazie anche a una scrittura leggera e brillante, ma non riesce mai davvero a incidere nel profondo. L’impressione è che le premesse – Vonnegut, il sesso, la religione – finiscano per creare un’attesa che Farmer non riesce a soddisfare in pieno: in ogni caso, il libro rimane una svelta e arguta lettura estiva rallegrata da alcuni passaggi davvero spassosi come il battibecco che, nella mente di Wagstaff, si svolge fra pittori di epoca diversa per la paternità della ‘Nascita di Venere’ (dipinto parafrasato nella copertina dell’edizione originale e, purtroppo, non riportata sul volumetto Urania Collezione introdotto da Valerio Evangelisti e acquistato dal sottoscritto per la modica cifra di un paio di euro).