Un cantico per Leibowitz
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Religione e scienza
Premio Hugo come miglior romanzo nel 1961, “Un cantico per Leibowitz” è una storia post-atomica piuttosto particolare, perché incentrata su temi che sono diversi da quelli normalmente considerati da opere di questo genere; su tutti, il conflitto tra scienza e religione. Il paradosso che ci è chiaro fin dal principio e che diventa palese nella conclusione della storia, è come un ordine religioso (quello di San Leibowitz) sia l’entità che si carichi dell’onere di conservare quel che resta della scienza umana, quella sviluppata prima del “Diluvio di fiamma”. Il diluvio di fiamma altro non è che la guerra atomica, che ha lasciato pochissimi resti e ha trasformato alcuni esseri umani in mostri deformi. Tutto quello che è accaduto e che appartiene al periodo precedente la guerra ha acquisito un’aura di sacralità: le storie che descrivono il conflitto hanno preso una connotazione biblica, i personaggi che l’hanno vissuta diventano i nuovi santi (compreso Leibowitz), e semplici liste della spesa e fogli di carta diventano le nuove reliquie sacre.
Subito dopo il conflitto, gli scienziati vengono considerati i principali responsabili dell’autodistruzione degli uomini: la cultura e le scienze hanno fornito ai prìncipi e ai re i mezzi per radere tutto al suolo e perciò, in un evento che viene chiamato la Semplificazione, vengono banditi per sempre dalla faccia della terra. In questo periodo, un gruppo di uomini che presto si evolverà nell’ordine di San Leibowitz, si sacrifica per salvare quanti più libri possibile anche se questi sono diventati oramai incomprensibili, nella speranza che in un futuro non troppo lontano l’Uomo torni a essere in grado di capire, per recuperare ciò che ha perso.
La storia de “Un cantico per Leibowitz” è divisa in tre parti che comprendono un periodo di parecchi secoli e che ci rendono partecipi della “seconda evoluzione” umana; una evoluzione che ripercorre in tutto e per tutto la prima e che sembra avere la medesima conclusione. L’essere umano sembra incapace di imparare dai propri errori, indipendentemente dalle conseguenze tangibili della sua cattiva condotta. L’uomo non impara mai dal suo passato e, con il dovuto tempo, sprofonderà sempre nello stesso abisso.
La domanda più spinosa che l’opera ci sbatte in faccia, e alla quale è effettivamente difficile dare una risposta è: la scienza è veramente la causa degli orrori che ci ritroviamo a vivere? Sarà la causa della nostra rovina definitiva? Oppure è l’Uomo a tenere serbare in sé una spaventosa propensione ad autodistruggersi?
“Quando si risponde al genocidio con il genocidio, alla violenza con la violenza, all’odio con l’odio, non serve più chiedere quale ascia sia più insanguinata. Il male sul male, ammucchiato sul male.”