Narrativa straniera Fantascienza Ritorno dall'universo
 

Ritorno dall'universo Ritorno dall'universo

Ritorno dall'universo

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Hal Bregg è di ritorno da una lunga spedizione galattica. «Abbiamo volato per centoventisette anni del tempo terrestre e dieci anni del tempo di bordo. Quanti anni ho? Biologicamente quaranta ma secondo gli orologi terrestri centocinquantasette». Nel secolo e più trascorso, ovviamente la Terra è cambiata. Ma quello che l’astronauta non poteva aspettarsi è questa specie di «paradiso» che ritrova. Gli umani hanno finalmente realizzato l’antico ideale filosofico: l’assenza di passioni. Il nuovo mondo è senza conflitti, senza paura, senza rischio, non c’è fatica perché lavorano dei servizievoli robot. E, senza emotività, non c’è in fondo neppure più memoria. Hal, diverso anche nel fisico, esplora la città piena di straordinarie invenzioni alla disperata ricerca di qualcuno che lo capisca, che ricordi perché lui è partito, le ragioni della spedizione in cui s’è giocato tutto e ha perso tanto. Certe avventure, certe rivelazioni, certi incontri con donne gli fanno afferrare qual è il prezzo di questa tranquillità, di questa diffusa comodità. Sono svaporati per sempre la curiosità, l’interesse, il sapore delle cose, il dubbio. E la speranza di felicità. Che non c’è mai ma sempre si rimanda al futuro. Ma il rischio, è proprio vero che sia scomparso? La fantascienza creata da Lem (l’autore del capolavoro Solaris), che lo ha reso tra i massimi esponenti del genere, riunisce tipicamente due aspetti: da un lato il rigore scientifico, dietro ogni invenzione immaginativa, dall’altro le inquiete, trepidanti, domande sulla condizione umana, proprie della fantascienza umanistica. Ritorno dall’universo può leggersi in vari modi. L’utopia negativa dell’«uomo nuovo», le peripezie e il rovello del protagonista, il quale non appartiene al presente ma non può tornare al passato, sono il dramma del reduce; infine, tutta la tribolata vicenda è accompagnata dalla febbrile domanda di sottofondo: esiste una sostanza umana, una umana identità? E se esiste, è quella dei vecchi astronauti centenari dal passato perduto, o quella dei neoumani di questo pacato futuro?



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Ritorno dall'universo 2021-11-06 10:46:59 Valerio91
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Valerio91 Opinione inserita da Valerio91    06 Novembre, 2021
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Una profusione di dettagli

Stanislaw Lem è un autore che sta tornando alla ribalta: Sellerio sta lentamente pubblicando diversi dei suoi romanzi, e ho appena scoperto dell’imminente uscita di un grosso tomo Mondadori, in cui è raccolta la sua narrativa breve. Non potrei esserne più contento, perché lo reputo un autore degno di considerazione, capace di portare alta la bandiera della fantascienza letteraria. Tuttavia devo ammettere che “Ritorno dall’universo” non è all’altezza dei primi due romanzi pubblicati da Sellerio, “Solaris” e “L’invincibile”, e credo che il problema principale sia da ricondursi all’infinita profusione di dettagli descrittivi che l’autore ci pone dinanzi soprattutto nella prima metà del romanzo: sebbene il ritorno del protagonista da un viaggio interspaziale su una Terra che è andata avanti di oltre un secolo mentre lui è poco più che invecchiato sia probabilmente il punto centrale del romanzo, le descrizioni sono davvero troppe e finiscono addirittura per perdere di efficacia. In questo romanzo sono descritte talmente tante cose che sono riuscito, paradossalmente, a immaginare ben poco, e la terra descritta da Lem mi è sembrata poco più di un ambiente buio tempestato di neon. La seconda parte del romanzo è probabilmente quella che vede emergere il Lem che più ho imparato ad apprezzare: l’autore riflessivo, dagli spunti filosofeggianti, che riesce a coniugare intrattenimento e letteratura impegnata; ma per arrivarci il cammino si rivela troppo ostico e può portare il lettore meno paziente a lasciar perdere.
Come dicevo, il tutto è incentrato sul “ritorno” del nostro protagonista Hal dall’universo: egli era infatti pilota sull’astronave Prometeo, partita verso le stelle per raccogliere campioni su altri pianeti e, sebbene con poche speranze, incontrare altre forme di vita. Al suo rientro tutto è cambiato, la terra non ha più nulla di quel che aveva prima della sua partenza e lui e i suoi compagni, che erano partiti da eroi, tornano accolti dalla più completa indifferenza riguardo alla loro missione, e con stupore riguardo alla loro statura superiore alla media. Quando Hal cerca di capire quelli che sono stati i progressi dell’umanità durante la sua assenza, si accorge che è stata introdotta una pratica detta “betrizzazione”, che ha reso l’essere umano biologicamente incapace di uccidere. Loro, che non sono stati betrizzati, rappresentano per i terrestri una minaccia paradossalmente affascinante. Ma ciò che più turba Hal è la scoperta di come gli scienziati dell’epoca, mentre loro rischiavano la vita nella loro missione interplanetaria, abbiano finito per considerare i viaggi spaziali come un qualcosa di totalmente inutile. Per cos’erano partiti, dunque? La brama umana di perseguire le stelle è un correre dietro al vento, un qualcosa che non porta a nulla? Questo è il punto centrale sul quale Lem si focalizza soprattutto nell’ultima parte del romanzo, che secondo me è la più bella e interessante e senza la quale il voto sarebbe stato ben più basso di questo.
Lem resta comunque un autore dallo stile pregevole e dal pensiero acuto e profondo.

“Non avevo bisogno di stelle. Ero stato un pazzo, un folle, quando avevo lottato per prender parte alla spedizione, quando mi ero lasciato ridurre a un sacco che schizzava sangue nei gravirotor, a che mi era servito, perché, perché non sapevo che si deve essere uomini comuni, i più comuni possibile, perché altrimenti è impossibile vivere e neanche vale la pena.”

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