La svastica sul sole
Editore
Recensione Utenti
Opinioni inserite: 7
Sovrastima
Rimango dell’opinione che Dick sia un caso di eccezionale e perversa sovrastima del personaggio e delle sue opere: a dispetto dell’entusiastica prefazione al testo devo dire che “La svastica sul Sole” non ha in definitiva una trama. Sono alla fine episodi legati fra loro da un filo sottilissimo e in modo forzato, dove l’introspezione viene spinta all’estremo in modo esagerato (leggi inutile) e i dialoghi al novanta per cento mi sembrano fatti per riempire pagine.
Non ho trovato tensione, non ho trovato meraviglia, né smarrimento o colpi di scena. Niente.
Ma quel che non ho proprio sopportato è che - oltre a non avere una trama – per trecento pagine non succede assolutamente niente, tranne che a pagina 243 (pochi colpi di pistola) e a pagina 259 (ZAC! Juliana taglia la gola a Joe, il tutto definito dalle tre lettere ZAC + punto esclamativo).
Notate il numero di pagina in cui succede qualcosa. 243 e 259.
Non solo non c’è azione, ma ho trovato quella che mi è parsa semplicemente una proiezione delle pare mentali dell’autore.
Se i testi di Dick fossero davvero visionari me li leggerei tutti d’un fiato (adoro i romanzi visionari, se son fatti bene), ma non lo sono. Da parte mia li vedo solo come proiezioni di una mente che non sa dove aggrapparsi, che non ha più punti di riferimento nel mondo reale. Argomento da psicoterapeuta, per dirla in soldoni.
Rinuncio a capire quale sia il criterio di attribuzione del Premio Hugo (che, intendiamoci, spesso e volentieri premia dei veri capolavori) ma che, nel caso specifico, mi pare fuori luogo.
A discolpa della giuria che gli ha aggiudicato il Premio, osservo che il romanzo data ormai cinquantacinque anni e i criteri con cui è stato al tempo valutato ora hanno ben poco motivo d’essere.
Dal mio punto di vista di lettore chiedo che il cantastorie mi presenti una bella storia, anche incredibile, perfino assurda, se vogliamo, ma che racconti una storia.
Questo in Dick non l’ho trovato e quindi…beh…gli editori non potranno più contare sul mio contributo all’innalzamento delle vendite di questo autore.
Addio Philip Dick, non è stato intenso e nemmeno bello.
Indicazioni utili
Il mondo dei vincitori
Un classico di un genere di nicchia: il romanzo ucronico, o fantastorico. Philip K. Dick immagina come sarebbe il mondo se l'Asse avesse vinto la seconda guerra mondiale, con gli USA divisi in sfere d'influenza tedesca (costa atlantica) e giapponese (costa pacifica) e una zona centrale più autonoma ma politicamente ininfluente denominata "Stati delle Montagne Rocciose", la Russia ridotta ad un'area ancor più marginale e subalterna, devastata dalle deportazioni naziste e sfruttata per la manodopera a basso costo, un'Asia (Cina, India, Indocina) e un'Oceania dominate dal Sol Levante.
Premetto che l'autore non si sofferma troppo sugli elementi di geopolitica di questo Risiko mondiale, bensì privilegia la riflessione interiore e il dialogo dei personaggi, attraverso i quali vengono offerti in maniera molto suggestiva innumerevoli spunti di riflessione sui temi cari all'autore: il potere, la falsità della storia, l'alienazione dell'uomo nella società, i valori contrapposti e inconciliabili delle diverse culture, il mito del progresso scientifico.
Inizialmente può risultare spiazzante la tecnica narrativa che segue in maniera piuttosto meticolosa le vicende (tutte ambientate in una nazione americana crepuscolare) separate di molti personaggi, che senza presentazioni sono descritti nel loro presente contingente. Attraverso le loro azioni e le loro considerazioni viene svelato gradualmente lo scenario in cui sono immersi e che li domina. Infatti che si tratti del timoroso mercante d'arte americana, dell'onesto funzionario giapponese, della sensuale insegnante di judo, o dell'influente agente nazista, tutti devono fare continuamente i conti con gli eventi enormi della Storia. E' il destino dei cittadini dei paesi vinti: quello di adattarsi loro malgrado ad altri valori che non capiscono (la cultura giapponese negli USA) o che vengono imposti con la violenza (il nazismo).
A tal riguardo comunque Philip K. Dick non è del tutto imparziale: sicuramente affascinato dalla raffinatezza delle culture orientali, tanto da affidare continuamente all'oracolo millenario cinese "I Ching" l'interpretazione delle sorti dei personaggi anche americani, coglie però nel regime nipponico, rispetto agli USA umiliati, una superiorità beffarda e in fin dei conti compiaciuta e lo mette nero su bianco in un illuminante passaggio:
"E' così che governavano i giapponesi, non con la crudeltà ma con la sottigliezza, con l'ingegno, con l'astuzia di secoli. Cristo! In confronto a loro siamo dei barbari. [...] Siamo stupidi ed ingenui, di fronte a questo modo di ragionare così lucido e spietato."
Del regime nazista l'autore non condivide ovviamente la violenza, ma nemmeno la filosofia superomistica:
"La loro visione è cosmica. Non un uomo qua, un bambino là, ma un'astrazione: la razza, la terra. [...] Vogliono essere gli agenti, non le vittime, della storia. Si identificano con la potenza di Dio e credono di essere simili a dèi. Questa è la loro pazzia di fondo. [...] Quello che non comprendono è l'impotenza dell'uomo. Io sono debole, piccolo, senza la minima importanza per l'universo. [...] Non è meglio così? Gli dèi distruggono coloro di cui si accorgono. Se sei piccolo potrai scampare alla gelosia di chi è grande."
Lo spirito americano stritolato da queste due ideologie dominanti ed ostili tenta di emergere debolmente nella schiettezza e nell'eroismo di alcuni personaggi nativi statunitensi in cerca di una riscossa personale. Ma è solo uno spiraglio di luce in un contesto alienante.
Così come un altro segnale di utopica speranza è costituito da un altro libro ucronico dentro il libro (oltre al già citato "I Ching"), dal titolo stavolta inventato, "La cavalletta non si alzerà più" (riferimento dotto all'Ecclesiaste) in cui sono invece gli Alleati a sconfiggere l'Asse e a spartirsi il mondo tra USA e Inghilterra. Ma è tutto un inganno, comunque vada la Storia, in quanto quelle due nazioni, spiega l'autore tramite una spia nazista:
"Sono due plutocrazie, nelle mani dei ricchi. Se avessero vinto, avrebbero pensato solo a far soldi e quello sarebbe stato l'unico problema delle classi dominanti."
E ancora lo scontro tra Alleati e Asse viene descritto come:
"Il vecchio contro il nuovo. Il denaro - ecco perché i nazisti tirarono in ballo ingannevolmente la questione ebraica - contro lo spirito comune delle masse, quello che i nazisti chiamano Gemeinschaft... identità collettiva. Come i sovietici. La comunità."
Tematica attualissima oggi pensando alla contrapposizione crescente tra élite dominante e nuovi populismi/sovranismi.
In definitiva un romanzo complesso, ucronico ma assolutamente credibile, ben congegnato anche nell'avvincente trama, con molteplici chiavi di lettura e piani semantici, tra cui su tutti prevale quello psicologico.
Indicazioni utili
La trama si sviluppa in modo graduale. E' come se i personaggi in un gioco da tavola partissero da diverse caselle anche distanti e poi via via si incontrassero, per poi separarsi di nuovo, in alcuni casi per sempre... (non voglio spoilerare). Non c'è una vera fine, ma l'intero libro (poco più di 300 pagine) sembra soltanto l'inizio di una lunga saga. Dick non ne scriverà un sequel, ma ci penserà Amazon Studios 53 anni dopo a ricavarne una serie TV ("L'uomo nell'alto castello"), che mi accingerò a guardare (qualcuno l'ha vista?).
E se avessero vinto loro?
Un futuro distopico è quello descritto da Philip K. Dick in “La svastica sul sole”, un futuro che non è altro che uno scenario di fatto non così irrealizzabile dal punto di vista dell’autore se si considera il periodo storico in cui il medesimo è cresciuto e si è radicalizzato. Egli nasce e matura, infatti, in una fase in cui i residui della Seconda Guerra Mondiale sono ancora forti e pressanti come se la stessa si fosse conclusa il giorno antecedente, non è dunque impossibile per lui immaginare e contestualizzare un mondo dove il conflitto non si sia risolto con gli effetti noti bensì con la perdita degli alleati e la vincita dei Giapponesi e dei Nazisti. Conseguenza naturale è il sorgere spontaneo della domanda: “E se avessero vinto loro?”.
L’attenzione è focalizzata sulla prospettiva statunitense, ovvero un insieme di stati governati e sottomessi dal nemico e per questo suddivisi in due aree, una governata dal Reich e l’altra dai nipponici. Il resto del mondo è intriso dal credo della superiorità razziale ariana e territori quali l’Africa, sono ridotti a polvere, a deserto, poiché destinatari di quella soluzione radicale di sterminio tanto bramata ed auspicata. In Europa, ancora, l’Italia ha raccolto soltanto le briciole della vittoria proclamata e i tedeschi, si preparano, a lanciare razzi su Marte e bombe atomiche sull’ormai ex alleato Giappone.
Ancora, sulla costa occidentale degli Stati Uniti, i nipponici, sono ossessionati dagli oggetti propri del folclore e della cultura americana, e tutto sembra girare attorno a due libri: il millenario “I ching”, l’oracolo della saggezza cinese, e il best seller del momento, vietato in tutti i paesi del Reich e per il quale, in realtà, l’Asse sarebbe stato sconfitto dagli Alleati.
Con “La svastica del sole” Philip K. Dich dà origine ad una delle sue storie più filosofiche e introspettive, una storia che riesce a raccontare gli avvenimenti, presenti e passati, attraverso lo scontro culturale tra Oriente ed Occidente, attraverso lo scontro tra moralità e spiritualità in un contesto di preminente asservimento.
Il tutto si manifesta e palesa attraverso uno stile fluido e scorrevole seppur non particolarmente erudito e farraginoso nella sua parte iniziale prima cioè, di entrare nel pieno degli avvenimenti, che si offre di narrare più vicende tra loro parallele che, si sfiorano senza mai veramente incrociarsi, e che sono caratterizzate da personaggi con un ruolo ben definito ed anche simbolico. Unica grande pecca del libro? L’incapacità dell’imparzialità. Lo scrittore è chiaramente di parte tanto che non offre alternativa alcuna a quella di una vittoria da parte del suo paese di origine, unico in grado di vincere e di governare il mondo.
Nonostante ciò, il testo non perde di spessore ed anzi invita a più riprese alla meditazione ed alla riflessione.
«Sono simile a quest’uomo, dal punto di vista razziale? Si, domandò Baynes. Simile a tal punto da avere le stesse intenzioni e gli stessi obiettivi? Allora c’è anche in me quella vena psicotica. E’ un mondo psicotico, quello in cui viviamo. I pazzi sono al potere. Da quanto tempo lo sappiamo? Da quanto tempo affrontiamo questa realtà? E… quanti di noi lo sanno? Non Lotze. Forse se uno sa di essere pazzo, allora non è pazzo. Oppure può dire di essere guarito, finalmente. Si risveglia. Credo che solo poche persone si rendano conto di tutto questo. Persone isolate, qua e là. Ma le masse… Che cosa pensano? Tutte le centinaia di migliaia di abitanti di questa città. Sono convinte di vivere in un mondo sano di mente? Oppure intravedono, intuiscono in qualche modo la verità? Ma, pensò, che cosa significa la parola pazzo? E’ una definizione legale. E per me, che significato ha? Io la sento, la vedo, ma che cos’è?»
Indicazioni utili
Top 50 Opinionisti - Guarda tutte le mie opinioni
La verità difficile da trovare
A chi come me si approccia a questo romanzo dopo la visione della serie TV sconsiglio di aspettarsi che quest’ultima sia una trasposizione fedele: gli sceneggiatori hanno preferito limitarsi all’idea di base e sviluppare una storia completamente diverso, e ben più adrenalinico. A confronto il romanzo preferisce all’azione i pensieri dei personaggi e l’introspezione dei loro sentimenti.
Dick concede davvero molto spazio alle riflessioni, specialmente per i personaggi POV, e in diversi casi ne sfrutta i pensieri al fine di riportare le sue idee personali.
La maggiore abilità dell’autore è saper ideare dei personaggi brillanti, tratteggiati con maestria, anche se in alcune situazioni non è facile capire il significato delle loro scelte ed empatizzare con loro.
Sono rimasta delusa in particolar modo da Juliana, che nella serie TV è praticamente la protagonista e rivela un carattere quasi opposto a quello nel romanzo; è invece una vera sorpresa Childan, soprattutto nell’ottica dell’evoluzione da servile imbonitore dei giapponesi a fiero americano, che comprende infine il valore della propria nazione e cultura.
Di base la trama -che si sviluppa con lentezza- presenta un iniziale “what if” storico: nel mondo del romanzo ci troviamo in un Nord America diviso tra Germania e Giappone che sono risultati i vincitori della Seconda Guerra Mondiali. Da questa premessa si genera un romanzo corale in cui molti personaggi non giungono mai a riunirsi, seppur influenzando gli uni le vite degli altri, come a divenire gli anelli in una lunga catena.
A collegare i personaggi contribuiscono soprattutto due libri: l’I Ching, millenaria opera composta da due volumi che quasi tutti usano per tentare di far luce sul proprio avvenire, e “La cavalletta non si alzerà più”, romanzo che profila una terza variante della realtà, con gli Stati Uniti e l’Inghilterra vincitori del conflitto mondiale e protagonisti di una Guerra Fredda per la supremazia assoluta.
Dick non si limita a cambiare l’esito della Guerra, ma riesce a creare un complesso mondo alternativo, nel quale inserisce anche dettagli e riferimenti alla Storia come noi la conosciamo, rendendo così ancor più arduo distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è.
Altra qualità dell’autore che si può riscontrare chiaramente è la sua vasta conoscenza delle cultura orientare in generale e di quella giapponese in particolare: questo contribuisce a rendere interessanti e realistici gli scambi tra personaggi provenienti da Paesi diversi. Il quadro dipinto per i nazisti appare invece un po’ troppo stereotipato e privo di spunti originali.
La presenza di diverse etnie genera inoltre la creazione di una piramide sociale, da tutti accettata tacitamente, che vede al vertice i tedeschi e poi a scendere i giapponesi, gli americani e infine che è emigrato dalla Cina e dall’Africa. Ciò genera un servilismo anche a livello mentale, ma d’altro canto non aiuta ad accrescere il senso di pietà per chi sta alla base, anzi lo azzera completamente.
Il romanzo di Dick non è solo un’originale distopia degli anni ’60, ma anche una storia di fantascienza; fa però riflettere l’evidente contrasto tra i viaggi spaziali progettati dal Reich e la diffusione dei metodi divinatori orientali.
Per quanto riguarda l’edizione italiana, ho trovato l’introduzione un po’ prolissa ma utile ad entrare nell’ottica di un romanzo che inizia in media res. Interessante anche la post fazione che ci dimostra come da sempre i vincitori possano scrivere la Storia a proprio favore.
Indicazioni utili
Una Storia diversa da quella che conosciamo
La svastica sul sole - P. K. Dick
Ho comprato questo e ho anche regalato questo libro anni fa ma da allora non l'avevo mai preso in mano per leggerlo in prima persona. Lo avevo quasi dimenticato tra la mole di libri da leggere che cresce sempre di più, quando la notizia che da questa storia avevano tratto una serie TV mi ha ricordato della sua esistenza e allora mi è tornata una grande esigenza di leggerlo; le infinite vie della letteratura!
MI dispiace aver fatto attendere così a lungo un libro che davvero merita un ottimo voto e un’ottima recensione.
Per via di essere ambientato in un futuro distopico, dove gli alleati hanno perso la II guerra mondiale e i nazisti insieme ai giapponesi l’hanno vinta, il libro si classifica nel genere fantascienza; so bene quanto questo genere spesso venga visto come un genere di serie B, dove si narrano cose che non esistono o che sono troppo ardite per essere considerate reali, ma la bravura di Dick e la storia in particolare di questo romanzo devono far mettere da parte questi preconcetti e trattarlo come un romanzo di alta letteratura. Un romanzo dove ci si immagina come sarebbe stato il mondo, in particolare dal punto di vista Stati-Uniti-centrico, governato dai nazisti e dai giapponesi che mette in evidenza tante realtà alternative, che mostra gli USA colonizzati dal nemico e sottomessi; un romanzo che assume i contorni da meta-romanzo nel momento in cui un altro libro diventa protagonista all’interno della narrazione, un libro dove gli alleati hanno vinto e il mondo ha un futuro diverso, un libro scritto da l'UOMO NELL’ALTO CASTELLO (titolo originale dell’opera) e che è il protagonista vero, quasi di più dei vari personaggi che ci girano intorno.
In questa opera Dick si supera, scrive la sua opera più complicata e filosofica, dove interroga i vari personaggi sul proprio destino, sulle proprie preoccupazioni attraverso il famoso libro dei mutamenti, I Ching, vero e proprio oracolo realmente esistente che guida le azioni dei vari protagonisti.
Una storia che fa riflettere, scritta nel 1967, che pone quella famosa domande che chissà quanti di noi si saranno fatti: e se avessero vinto loro? Certo non è l’unico autore ad aver trattato l’argomento ma sicuramente è uno dei migliori esempi.
Con uno stile di scrittura fluido e scorrevole, una trama con 3-4 storie parallele che si sfiorano senza mai realmente incrociarsi, il tutto tenuto insieme con maestria dal contesto socio-politico dove ogni personaggio ha un particolare ruolo che definirei anche simbolico ne consiglio vivamente la lettura. Non svelo ulteriormente altri particolari in quanto meritano davvero di essere scoperti leggendo il libro.
Il maggiore difetto del libro sta proprio nella sua partigianeria, un libro evidentemente scritto da uno statunitense che vede come unica buona alternativa quella che gli USA avessero vinto e governato il mondo come poi in effetti la storia ha mostrato fino ai giorni nostri; inoltre qualche dispersione in ragionamenti a volte fini a se stessi con tratti troppo filosofeggianti rende l’opera meno perfetta ma resto comunque dell’dea che sia un ottimo romanzo,
Indicazioni utili
Realtà alternative soggettive
Molto spesso ci ritroviamo a chiedere a noi stessi, in determinate situazioni passate: “Cosa sarebbe successo se le cose fossero andate diversamente?”.
Anche il visionario Philip K. Dick si è posto questa domanda, ma riguardo avvenimenti molto rilevanti nella Storia, ovvero: “Cosa sarebbe successo se la Seconda Guerra Mondiale fosse stata vinta dai Nazisti e i Giapponesi?”. E’ su questa base che si sviluppa “La svastica sul sole”. Il mondo è dominato prevalentemente dai tedeschi e dai giapponesi, mentre gli Stati Uniti sono ridotti a una colonia. L’idea di base è intrigante e interessante, ma Dick, riguardo ad idee geniali, non si discute. Come di consueto però, il suo stile di scrittura non è perfetto, le sue grandi idee non vengono esposte come dovrebbero e mi sono ritrovato a soffermarmi sull’idea che, se l’autore avesse avuto una capacità di esposizione delle sue idee al livello di altri autori, come Orwell, sarebbe uno dei capostipiti non solo della fantascienza, ma della letteratura contemporanea. Peccato.
Il mondo alternativo dominato dai tedeschi immaginato da uno statunitense non poteva che essere più cupo e oppressivo rispetto a quello attuale, anche se non cupo come quello rappresentato nelle altre opere di Dick. L’autore però, seppur velatamente, ostenta la convinzione che il mondo dominato dall’Asse sia decisamente peggiore di un mondo in cui la Guerra l’hanno vinta gli americani. Come fa questo? Creando il proprio corrispettivo nel mondo da lui immaginato, uno scrittore che scrive il libro analogo a “La svastica sul sole”, ovvero “La cavalletta non si alzerà più”, dove è descritta la situazione mondiale successiva alla vittoria della guerra da parte di americani ed inglesi. Un mondo decisamente migliore, seppur con i suoi difetti, ma privi di oppressione, sangue e discriminazione razziale. Non veniamo accompagnati da dei veri e propri protagonisti, ma da tanti personaggi differenti tra loro, comprimari del mondo e della società nella quale vivono, vera protagonista del romanzo. Manca quindi anche una sorta di coinvolgimento emotivo nei confronti qualche personaggio in particolare, che fa perdere qualcosa di importante al romanzo. Capita spesso di perdersi tra le parole del libro, ma non per immedesimazione, bensì perchè spesso si perde il filo del pensiero dello scrittore, che troppo frequentemente diventa confusionario. La trama di fondo poi, non è eccessivamente coinvolgente, ma credo che questo sia voluto. Dick voleva soffermarsi sull’influenza del mondo nazista nell’anima di tutti i personaggi, così differenti l’uno dall’altro.
A mia opinione però, si poteva fare decisamente meglio. Ora la mia domanda è un altra: “Come sarebbe un mondo in cui la Germania ha vinto la Guerra, immaginato da un tedesco?”
“La Verità, si disse. Terribile come la morte, ma più difficile da trovare.”
Indicazioni utili
- sì
- no
Genio e "regolatezza"
Stoicismo è la prima parola che viene in mente pensando a La Svastica sul Sole, tuttavia questa parola non è legata al romanzo in sè; anche se a ben vedere la popolazione americana che nel mondo di Dick ha perso la seconda guerra mondiale e deve vedersela quotidianamente con le leggi dei nazisti e la mentalità dei giapponesi potrebbe essere a ben ragione definita stoica; tuttavia no, la parola non è strettamente legata ai contenuti del romanzo, ma ai lettori: "stoicismo" definisce quale dev'essere la principale qualità delle persone che vogliono affrontare questa lettura.
La Svastica sul Sole (titolo italiano per altro fuorviante, la cui scelta è difficilmente spiegabile se non per banali ragioni commerciali) non è il "solito" romanzo alla Dick dalle crepuscolari e futuristiche prospettive che si intrecciano a creare una storia in cui il malessere di un' uomo è il malessere della società, al contrario è un libro impegnato, difficile da seguire per i continui cambi di inquadratura, e che fa dell'elemento fantastico solo un pretesto per elaborare una complessa disamina degli eventi storico - politici immediatamente successivi alla fine della seconda guerra mondiale.
Ed è talmente complessa (per non dire confusa e cervellotica) questa disamina che i rimandi, i paralleli, i riferimenti con la situazione politica internazionale dell'epoca, non si colgono (salvo i più ovvi e grossolani) e il lettore comune, il lettore che è dotato sì di cultura e conoscienze storiche ma per ovvi motivi non ha le competenze di uno che ha fatto della storia la sua professione, rimane obnubilato dalla baraonda di informazioni, dettagli e curiosità gettate qua e la dall'autore lungo tutta la narrazione.
Lo stratagemma utilizzato in verità e' brillante: creare una realtà parallela, specchio della nostra, in cui la vita e tutto ciò che la contorna è simile a come noi già la conosciamo ma con il piccolo particolare che è all'esatto opposto e, grazie a questo paradosso speculare, raccontarci cosa è successo nell'immediato dopo guerra, o per meglio dire: denunciare i tanti vizi e le pochè virtù di cui si è resa capace l'umanità in quel periodo. L'idea dunque è assolutamente ingegnosa, ma se il suo potere, l'iniziale effetto sorpresa, viene speso subito e in malo modo (troppi personaggi in così poche pagine e neanche un vero protagonista) dopo poco ci si rende conto che senza una trama adeguatamente profonda la sorpresa di per sé non è sufficiente a supportare l'interesse del lettore fino alla fine. Lettore che tra l'altro, è bene sottolinearlo ancora una volta, trovandosi di fronte ad un costante spostamento delle luci di scena, non riesce mai ad entrare nella trama, a sentire suoi i problemi dei personaggi e a condividere le emozioni e i pensieri dei tanti protagonisti.
Certo la scelta di Dick di non darci un punto fisso e' più che spiegabile, infatti il suo intento non era certamente quello di raccontarci una storia qualunque, il suo intento era quello di farci comprendere che non sempre tutto ciò che "noi vincitori" abbiamo fatto, facciamo e faremo (vuoi in quella guerra, vuoi nelle future) è corretto ed equo agli occhi della giustizia universale, che non sempre quel "bene comune" per il quale noi crediamo di agire è realmente tale, poichè molte volte non è nient'altro che un diritto acquisito con le armi; questo era il suo intento, e dunque la sua scelta è più che spiegabile ma, come è vero che il fine non sempre giustifica i mezzi, così talvolta è vero anche che i mezzi non sempre giustificano il fine. E in questo caso i mezzi utilizzati dall'autore per buona parte della narrazione non sono per nulla adeguati allo scopo, anzi: il romanzo, senza una trama solida e dei personaggi ben delineati ottiene quasi l'effetto opposto, tanto che leggendolo si rischia di iniziare a non sopportare più questa assurda realtà parallela fatta di tedeschi boriosi e giapponesi incomprensibili e a cadere nuovamente nell'errore la cui correzione era appunto il fine ultimo di Dick, nel tornare cioè per esasperazione a ritenere la società da noi creata quella giusta, quella migliore e dunque quella superiore.
E per evitare ciò si è costretti tenere sempre a mente che il romanzo è solo un' allegoria, una sorta di dimostrazione per assurdo di un concetto, si è costretti a stringere i denti e a ragionare costantemente senza mai riuscire a perdersi nella trama, ad accettare, digerire ed assimilare quell'assurdo mondo ribaltato di Dick.
"Stoicismo" dunque e' ciò che viene da pensare ricordando le sensazioni durante la lettura. Stoicismo. Almeno fino ai capitoli conclusivi, almeno fino alle ultime venti/trenta pagine del romanzo, venti/trenta pagine in cui finalmente si riaccende la luce della viva genialità dell'autore e in un rutilante crescendo si tirano le somme di tutta la vicenda. Venti trenta pagine di grandissima letteratura che si chiudono con lo stupendo discorso - presa di coscienza dell' "Uomo nell' alto castello" (da cui il titolo originale dell' opera), di colui ovvero che, parallelamente a Dick, in una realtà agli opposti, è riuscito a concepire una dimensione differente, a riconoscersi in essa e a negare la sua attuale; tale uomo (scusate se non aggiungo altro e vi sembro poco chiaro ma non voglio rischiare di rovinare il finale) è l'incarnazione della speranza, della via d'uscita, e se ciò che dice è verò è anche il mezzo di redenzione dell'umanità, e nel gran finale fa questo discorso, autentico, disincantato, toccante, un discorso che ribalta nuovamente la prospettiva delle cose, un discorso talmente potente che sembra animarsi di vita propria e sfuggire di mano tanto al suo autore fittizio che al suo autore reale, un discorso dove Dick stesso, travolto dalle sue idee, dal suo mondo, smette di essere il narratore e diventa un oratore e per mano dell'autore fittizio (suo alter ego all'opposto) buca la quarta dimensione, come solo Chaplin nel Grande Dittatore era riuscito a fare, e ci parla fissandoci direttamente negli occhi.
E se le parole di Chaplin, sono un dura accusa della società ma al contempo anche un’ esortazione al bene che denota un'incrollabile e commovente fiducia nel genere umano, le parole di Philip K. Dick sono quanto di più pessimistico, sconfitto e triste vi possa essere. Sono la definitiva condanna del genere umano, che nella sua visione è la causa di ogni male e dal male, come si sa, non può generare altro che ulteriore male. E se Chaplin con impeto lascia spazio alla speranza, nobilitando l’uomo per il fatto stesso di aver potuto dare alla luce qualcuno in grado di pensare, scrivere e dire quelle parole, Dick con disincanto sfonda quello spazio marcandolo come l'assurda illusione di una razza, quella dell'uomo, che non potrà mai trovare la pace, neppure nell’illusione di una coscienza generata dagli psicofarmaci, dall’alcool e dalle droghe.
Due discorsi all'opposto, dunque, come le realtà del romanzo, il primo, quello del Grande Dittatore, puro, ingenuo, magnifico, il secondo, quello della Svastica sul Sole, sporco, disincantato, terribile. Forse non a caso entrambe le opere, il film e il romanzo, sono strettamente legate alla seconda guerra mondiale, il punto più basso che ha raggiunto l'umanità' nella sua storia...
Entrambe vertono su quella, ma è la chiave di lettura ad essere differente: nel film la guerra rappresenta l’opportunità della ripartenza, la base della montagna dalla quale l'umanità deve incominciare la sua risalita per raggiungere la vetta e riscattarsi; nel libro invece rappresenta la causa, la logica conseguenza di quello che siamo, l’arrivo, la vetta da cui l'umanità' può soltanto precipitare.
Sta ad ognuno scegliere come vederla, quale di queste due visioni all'opposto fare propria, è bene però notare che se il discorso della scena finale del Grande Dittatore è considerato da chiunque come ispirato, magnifico e genuinamente meraviglioso, quello di Dick essendo all'esatto opposto non può essere considerato in altro modo se non altrettanto ispirato, tremendo e genuinamente orrendo.
Dunque uno magnifico e meraviglioso e l'altro tremendo e orrendo, ma entrambi ispirati e genuini. Entrambi a loro modo geniali, come geniali le menti di coloro che li hanno creati, la prima quella del grande attore/regista, la seconda quella del grande scrittore, che qui ancora una volta, malgrado l'effetto sorpresa sprecato fin da subito, malgrado l'eccessiva cerebralità di molti dei passaggi lungo la narrazione, nel finale si riscatta e ci consegna quelle che probabilmente sono le più belle pagine di tutta la produzione letteraria degli ultimi cinquant’anni.
Ad avere una visione poetica delle cose verrebbe da pensare che gli alti e bassi di questo libro siano nient'altro che gli alti e bassi della società moderna, degli istinti dell'uomo in eterno conflitto tra bene e male, tra vizi e virtù e che il riscatto finale dell' autore non sia altro che il riscatto finale dell'umanità' ...ma questa sarebbe la visione poetica di Chaplin, non quella disincantata di Philip K. Dick.