L'uomo che cadde sulla terra
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Bello e triste
(contiene spoiler) Bello e triste questo romanzo, così come bello e triste è il suo protagonista: un Antheano venuto sulla Terra, negli anni '80, per salvare i superstiti abitanti del suo mondo, distrutto dalle guerre atomiche, e per aiutare al contempo l'umanità che sta percorrendo lo stesso devastante percorso. Arriva negli U.S.A. con molto entusiasmo, dopo aver studiato per 15 anni gli umani attraverso le trasmissioni televisive, e ha un piano ben strutturato da portare a termine: arricchirsi il più possibile grazie alle strabilianti invenzioni del futuro e costruire un'astronave in tempo utile per trasportare sulla Terra i 300 sopravvissuti di Anthea. Thomas Jerome Newton (questo è il nome che sceglie) crede di conoscere tutto, e ha fiducia nella sua missione, eppure, sin da subito, avverte il peso della solitudine che non è mitigata neppure dalla presenza di alcune figure che gli diventano care: il chimico teorico Nathan Bryce, che lavora per lui e che sospetta la sua provenienza aliena, e la vedova quarantenne Betty Jo che lo assiste amorevolmente durante una caduta e che gli rimane accanto come domestica. Dolce, remissivo, fragile 'come un uccellino', Newton ascende e cade, così come Icaro nel quadro, spesso citato, di Brugel (caduta di Icaro). È totalmente solo perché la sua intelligenza lo pone al pari di un uomo costretto a vivere con delle scimmie. È un Dio che può solo guardare la vita frenetica di un gruppo di insetti senza possibilità di intervenire.Gli umani sono molto diversi da quelli presenti nei programmi televisivi studiati tanto a lungo, ed egli sprofonda nell'alcolismo e nell'indolenza fino a dubitare che, una volta sulla Terra, i suoi simili si possano davvero salvare, timoroso che ogni Antheano, pur evoluto e intelligente, cada nella stessa trappola; egli non è più alieno e non è umano: non ha una collocazione e, in fondo, non aveva nemmeno una missione visto che la CIA sospetta di lui sin da principio. Imprigionato, fatto oggetto di esperimenti che lo rendono cieco, cede alla follia; ma c'è forse una rinascita che lo attende: quando tocca il fondo, quando diventa come l'ultimo degli esseri umani, l'amico Bryde lo trova e, mentre Newton piange, gli cinge le spalle in un gesto protettivo. È un romanzo di fantascienza, è vero, ma contiene messaggi universali. 'A volte ci fate l'effetto di scimmie sguinzagliate nei musei e armate di coltelli per squarciare i quadri e di martelli per abbattere le statue' dice sconsolato Newton a Bryce durante la sua confessione: viviamo su un pianeta meraviglioso e lo stiamo distruggendo.
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Un alieno un po' Icaro, un po' Tremotino
Vi sono alcuni scrittori talmente votati alla storia che raccontano da sparirvi completamente. Il lettore penserà alla storia e a questa soltanto. Lo scrittore per lui sarà l'autore, ma non l'uomo.
Altri scrittori, in uno slancio profondo di altruismo verso il lettore, si lasciano percepire parola dopo parola, pagina dopo pagina. Questi sono gli scrittori "empatici", quelli che non riescono a lasciare il lettore solo con la storia che raccontano, quelli che stabiliscono il contatto, la magica alchimia dell'affezione che lega il lettore allo scrittore, oltre che alla storia.
Walter Tevis è uno scrittore "empatico", entra nei libri che scrive, mostra attraverso le parole, senza ingombranti velature, ciò che è.
Userò pochissime righe per riportarvi una storia che può dare l'idea della personalità di Tevis. L'episodio è notissimo, viene citato migliaia di volte: Walter Stone Tevis se ne sta seduto, col capo inclinato, il sorriso gentile e grandi occhiali dalle lenti spesse - così, almeno, lo immagino guardando le raffigurazioni del suo volto -, come uno studente qualsiasi, in una classe di un corso universitario per aspiranti scrittori, l'Iowa Writers' Workshop.
L'oratore, il poeta americano Donald Justice, lo riconosce tra gli uditori e strabuzza gli occhi: grande probabilmente è la sua meraviglia nel constatare che il grande e già noto Tevis è lì, umile, in silenzio, ad ascoltare la sua lezione.
Tevis, che per gran parte della sua vita ebbe poca fiducia nel proprio talento, con "L'uomo che cadde sulla Terra" crea un capolavoro in cui si leggono solitudine, frustrazione, gracilità e incertezza di illusioni perdute.
"The Man Who Fell to Earth" è considerato un libro cult della letteratura di fantascienza, una mosca bianca che imperturbabilmente ha resistito alle ingiurie del tempo. Non è ridicolo, non è banale, non è obsoleto, è anzi straordinariamente irresistibile.
Non è però, stricto sensu, un libro di fantascienza, o meglio lo è se ci si ferma ad un'osservazione meramente superficiale. Squarciato l'involucro costituito da pianeti, navicelle e vitree comunicazioni aliene, si rinvengono i tratti di un romanzo anche psicologico, per alcuni versi politico, per altri dolorosamente esistenziale. Saranno difatti così fragili, disperate e a volte contorte le interiorità dei personaggi che, ad ogni loro incespicare nei fatti della vita, il lettore avrà la sensazione di un sordo dolore nel petto.
Thomas Jerome Newton – immediato è il rimando al noto Isaac e alla sua celebre mela - è l'"Uomo" che dopo un'accurata e lunga preparazione lascia, a bordo di una navicella monoposto, il proprio pianeta Anthea e "cade" sulla Terra per compiere, come un novello eroe mitologico, la sua missione.
Newton è un individuo strambo, dall'ossatura fragile, alto e leggero, che soffre tremendamente della gravità terrestre, simile nel corpo ad un delicatissimo uccellino e due volte più intelligente degli umani che spesso definisce simili a scimmie bugiarde, autolesioniste, presuntuose e stupide. Nondimeno, col tempo proverà per alcuni di loro un senso di affezione e sentirà che gli sono tremendamente somiglianti: "E io cosa sono, pensò, se non un pauroso edonista autolesionista?"
La parabola dell'Icaro alieno – umano, troppo umano, per dirla alla Nietzsche - che annega la propria tremenda solitudine di uomo/extraterrestre in una miserabile mistura di gin e angostura, forse ormai rassegnato ad una "vita di quieta disperazione", è struggente, emozionante, empatica.
Un giorno di se stesso Tevis disse: "sono un bravo scrittore americano di secondo livello". Fortunatamente il suo stesso oggettivo, incommensurabile talento e il tempo hanno smentito quest'affermazione, sigillo di una dolorosa, tormentata, straordinaria umiltà.
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L'alieno troppo umano
Questo è un bellissimo libro di fantascienza del tutto fuori dal genere che ripropone una riflessione su cosa è umano e su quanto poco di umano ci sia in giro.
Un alieno di una civiltà superiore arriva sulla terra su una navicella monoposto per salvare i suoi simili destinati alla morte nel giro di 50 anni. Ma anche gli umani sono destinati alla morte e nel giro di 10 anni perchè secondo i calcoli alieni ci sarà entro 10 anni, probabilmente meno, qualcuno che premerà il grilletto dell'atomica. E' quindi necessario salvare entrambe le civiltà, l'aliena e la terrestre, anche se la prima, nel caso, dominerebbe la seconda.
L'alieno si fa chiamare TOM ma il suo vero nome è uguale a quello del nano della favola, quello che salvò la vita alla principessa filando la paglia in oro e che chiese in cambio del suo aiuto il figlio di lei. Non è una figura del tutto negativa, dunque, ma nemmeno del tutto positiva. Tom deve fare soldi, tanti soldi, mettere su un'impresa per la costruzione di una nave spaziale per portare sulla terra i suoi. Per far questo assolda uno scienziato, Bryce che diventa il suo antagonista. Bryce sospetta che Tom sia un'alieno perchè ha portato una tecnologia troppo sofisticata per noi umani. La contrapposizione tra i due è solo iniziale perchè il romanzo non prende la piega che ci si aspetterebbe. Tom è troppo umano, si pone dubbi morali sulla sua missione e su tutto e di fronte a Bryce non mente, non lo uccide, non usa la sua intelligenza superiore ma è di una sincerità sconcertante. Di fronte alla durezza dellla vita e delle scelte anche qui l'alcol sembra essere l'unico farmaco che funzioni. Il finale del libro vede un ribaltamento di ruoli con Ton e Bryce amici, legati da questa loro umanità che è la vera aliena e che quindi è destinata a soccombere in un mondo che insegue profitto e potere. No, non vale la pena di salvare questo mondo.
Il finale del libro è di una bellezza eccezionale: Tevis ci lascia con il pianto dell'alieno, forse innamorato della stessa donna umana di Bryce, ma troppo buono per provare sentimenti negativi di sorta.
Il libro è bellissimo, ci sono pagine indimenticabili e richiama molto da vicino la vita di TEvis: il suo ritorno al paese dopo un anno di ospedale per una malattia alle ossa da bambino e gli anni di mobbing nelle scuole in cui deve essersi sentito proprio come l'alieno del romanzo.