L'orlo della Fondazione
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Si stava meglio senza
Alla fine degli anni ‘60 del secolo scorso, quando si decide di premiare la migliore saga fantascientifica di sempre, “l’epoca d’oro” di questo genere sta declinando.
A vincere è la “Trilogia della Fondazione” di Isaac Asimov (con ogni probabilità, ancora oggi la miglior saga di science-fiction mai scritta): i tre suggestivi volumi che la compongono - “Cronache dalla galassia”, “Il crollo della galassia centrale”, “L’altra faccia della spirale” - delineano una storia assolutamente geniale, ispirata allo scrittore dalla lettura di un famoso libro sulla decadenza dell’antico impero romano.
La trama: quella umana è l’unica razza intelligente nell’intero universo, ormai sparsa su milioni di pianeti, colonizzati e resi abitabili nelle loro diverse peculiarità. La forma di governo che accomuna le centinaia di miliardi di uomini viventi è l’Impero, promanante dal pianeta centrale di nome Trantor, il pianeta-burocrazia interamente coperto di metallo. Ma l’Impero sta cedendo, e le prime crepe si intravedono già: ciò che ne può venire sono trentamila anni di interregno burrascoso, di violenta anarchia, in attesa che un nuovo impero nasca. A meno che Hari Seldon, il massimo interprete della psicostoriografia (la scienza che può prefigurare gli avvenimenti futuri grazie ad equazioni applicate al comportamento delle masse), riesca nel suo intento e riduca così la barbarie a soli 1000 anni.
Alla fine degli anni Sessanta, “La Trilogia della Fondazione” - con i libri e i racconti sui robot governati dalle tre leggi della robotica - innalza Asimov a miglior autore di fantascienza. Nonostante, la saga possa considerarsi, in realtà, non finita: i tre libri descrivono soltanto i primi 300 anni dei 1000 che dovranno necessariamente passare perché l’Impero si formi nuovamente, ancor più saldo e illuminato di quello che sta andando a morire.
Da qui si riparte, quasi trent’anni dopo (la “Trilogia” è scritta in realtà nella prima metà degli anni ‘50), quando lo scrittore decide di creare un quarto volume, intitolato “L’orlo della Fondazione”.
Non sempre si può mantenere lo stesso livello di scrittura, né – siamo d’accordo – è bene indulgere nel medesimo filo narrativo. Ma questo quarto capitolo della saga sembra – brutto a dirsi se si parla di Asimov – più un’operazione commerciale che un reale tentativo di proseguire in una fortunata intuizione.
Dal punto di vista formale, mentre la “Trilogia” si mostrava rapida nel delineare i singoli episodi che la componevano (raccontando una storia il cui massimo protagonista è il genere umano con le sue straordinarie capacità), “L’orlo della Fondazione” va ad “impantanarsi” nella storia dei suoi singoli personaggi, diluendo la narrazione in descrizioni di pensieri e dietrologie che annacquano il tutto.
Dal punto di vista materiale, Asimov vorrebbe rivitalizzare il racconto con qualche nuova idea, e così “L’orlo” prende una sua direzione autonoma, non costituisce la continuazione di quei primi 300 anni (di 1000 totali) narrati nella “Trilogia”… con il risultato di cambiare totalmente connotati e significati, sino a rinnegare l’innegabile fascino di quella storia dipanatasi nei tre volumi degli anni ‘50. Non che questo quarto capitolo non abbia un suo obiettivo: il problema è che non c’è paragone con ciò che l’ha preceduto.
A volte, per lasciare un buon ricordo delle cose, è forse meglio non toccarle (né tantomeno provare a muoverle dal posto che sono riuscite a ritagliarsi). Si rischia, semplicemente, di… romperle.