L'incubo dei Syn
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L'ONDA NEL CERVELLO
Accade, a volte, per i generi letterari cosiddetti “minori” – così si suole definire, ad esempio, il giallo, o la fantascienza – di scovare piccoli gioielli del tutto inaspettati. E' il caso di questo romanzo breve (150 pagine) scritto da Raymond F. Jones, ed uscito in Italia nella collana di fantascienza “Urania”.
Arthur Zoran sta tornando sulla Terra dopo due anni di lavoro su un altro pianeta. Ha intuito che qualcosa, dai tempi della sua partenza, è cambiato (altrimenti come spiegare che le ultime lettere della sua donna, Ardyth, gli siano arrivate censurate? E da quando sulla Terra è stata istituita la censura?), ma non sa ancora cosa. Nell'infermeria dell'astronave che lo riporta in patria, Arthur, come tutti gli altri passeggeri, viene condotto in una stanza e sottoposto ad un tracciato elettoencefalografico, poi isolato per circa 24 ore, fino al risultato dell'esame: Arthur non presenta anomalie, dunque è libero di rientrare sul pianeta.
Gli basta scendere dall'astronave, però, per accorgersi che non è più lo stesso pianeta: a dominare, ora, è la paura, il sospetto, la delazione... la gente si rinchiude in casa e per la città semideserta girano ronde di polizia.
Si potrebbe parlare di una caccia all'uomo permanente... ma non sarebbe esatto, perché quella umana non è più l'unica razza sul pianeta. I Syn, in tutto e per tutto uguali agli uomini (Syn è l'abbreviazione di “uomini sintetici”), sono ovunque. Non si sa da dove vengono, dove e come si riproducono, perché sono qui, né cosa vogliono.
Di loro si conosce un'unica cosa, come identificarli: i tracciati dell'encefalo mostrano – accanto alla normale attività elettrica del cervello – una debolissima onda che negli umani non si ritrova: quello è il marchio dei Syn! Ecco perché sulla Terra il diagramma EEG viene continuamente ripetuto, a scadenze ravvicinate, e tutti i Syn identificati come tali (compreso quelli che sono riusciti, chissà come, a scampare ai controlli precedenti) vengono immediatamente catturati e soppressi.
E' il pensiero che tormenta Arthur quando, arrivato a casa, non trova più Ardyth. Perché ormai chiunque potrebbe essere un Syn.
Forse “L'incubo dei Syn” non è un capolavoro: lo stile di scrittura non è quello della migliore letteratura, né è riconoscibile come quelli di un Asimov o di un Dick. Sotto quest'aspetto il romanzo si presenta poco ricercato, a volte anche sciatto (viene però il dubbio che a mancare di qualità possa essere la traduzione).
A colpire, tuttavia, è l'idea portante, che genera un racconto dall'atmosfera costantemente cupa (quasi “dark”, sebbene questo termine non si addica alle storie con sfumature sociologiche). Prevale l'angoscia, resa benissimo dai pensieri del protagonista (e si fa perdonare anche qualche ingenuità della trama, tipica della letteratura minore): Arthur, contro l'evidenza dei massacri che le due razze si infliggono reciprocamente, porta avanti la sua idea di una possibile convivenza tra diversi, rischiando più volte la vita.
Fino ad arrivare ad un finale assolutamente a sorpresa, un pugno nello stomaco, metaforicamente potentissimo; un finale che, suggellato dalle parole di una “macchina”, non si limita a disegnare un inquietante futuro, ma lascia intravedere frammenti del peggior passato della natura umana:
“Voi cominciate col dare a un uomo un nome sgradevole. Poi cominciate a odiarlo perché porta questo nome. Siccome lo odiate, finite col temerlo. E, sotto la molla del terrore, ben presto arrivate all'omicidio, al massacro, al genocidio. E' un meccanismo vecchio quanto l'uomo, e sempre infallibile. Prima che il vostro sole si spenga, si ripeterà decine di migliaia di altre volte, e voi appassirete come muffa sulla crosta del vostro pianeta.”