L'atomo stagnante
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Fantascienza anni Sessanta
** Attenzione, spoiler! ** Uscito in origine nella prima metà degli anni Sessanta, questo romanzo del californiano Sutton risente molto del periodo in cui fu scritto – la Guerra Fredda e l’incubo dell’atomica – ma si rivela alla fine un buon thriller fantascientifico che procede con ritmo spedito attraverso un intreccio ben congegnato e personaggi che, pur rispettando gli stilemi del genere, sanno farsi seguire con curiosità. Siccome niente può invecchiare più alla svelta di un libro di fantascienza, l’azione è ambientata in un futuro datato 1999: un conflitto nucleare ha quasi spazzato via l’umanità e perciò la regola fondante del rinnovato patto sociale, che fa base soprattutto nella decentrata e si suppone meno contaminata Australia, è il divieto assoluto di ricerca sull’atomo. Pare però che qualcuno stia cospirando in tal senso e per indagare viene chiamato un poliziotto strappato al suo dorato esilio su di un’isoletta del Pacifico. In una società rigidamente classista, le divisioni sono basate sul Quoziente d’Intelligenza, il nostro uomo si piazza a un livello stranamente basso, ma riceve l’incarico dal gran capo mondiale in persona: le sue capacità extrasensoriali lo aiuteranno a sgarbugliare la matassa. Il protagonista si sforza a lungo di nascondere una simile dote perché quelli come lui sono considerati dei pericolosi reietti: un tema, quello della minoranza perseguitata solo per preconcetto, che serve a variare il filone principale che, a sua volta, unisce l’investigazione ai colpi bassi della lotta politica in cui sono impegnati i candidati alla più alta poltrona terrestre, peraltro assegnata con una sorta di quiz televisivo all’ennesima potenza. L’ultimo ingrediente, che si va esplicando in un azzeccato crescendo, è quello delle scoperte scientifiche che possono essere indirizzate al bene o al male: i famosi cospiratori vogliono difatti riprenderla per poter tornare a puntare verso le stelle.