Narrativa straniera Fantascienza Illusione di potere
 

Illusione di potere Illusione di potere

Illusione di potere

Letteratura straniera

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Il dottor Eric Sweetscent ha molti problemi. Il suo pianeta è coinvolto in una guerra impossibile da vincere. Sua moglie è mortalmente dipendente da una droga che trascina chiunque ne faccia uso avanti e indietro nel tempo, e che sta portando anche lui in una spirale autodistruttiva. L'ultimo paziente che Eric ha in cura, inoltre, non è solo l'uomo più potente del tumultuoso pianeta Terra, ma probabilmente è anche il più malato. Il segretario delle Nazioni Unite Gino Molinari, infatti, ha trasformato la sua malattia mortale in uno strumento di controllo politico, ed Eric non sa se con il proprio lavoro deve provare a guarirlo o continuare a tenerlo sospeso a un passo dall'aldilà.



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Illusione di potere 2013-11-29 11:43:10 antonelladimartino
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antonelladimartino Opinione inserita da antonelladimartino    29 Novembre, 2013
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LA SUA TESTARDAGGINE TIPICAMENTE PIEMONTESE

L’illusione di potere s’incarna in uno dei personaggi più eccentrici e straordinari di Philip K. Dick: il dittatore Gino Molinari, “un misto di Lincoln e Mussolini”. Molinari è un piccolo uomo, che compensa la debolezza della carne con la sua “testardaggine tipicamente piemontese”. Molinari è un dittatore che riesce a essere al tempo stesso spietato e sensibile, talmente sensibile da patire i dolori, i desideri e le speranze dell’umanità intera. Molinari è un mostro politico, che mette in atto la mostruosità della politica.

Forse la trama è ispirata da una precisa localizzazione: l’Italia nella seconda guerra mondiale, dilaniata da forze belliche e sociali di gran lunga superiori alla sua. Ibrido sospeso tra grandezza e goffaggine, il dittatore italiano rifiuta i trapianti di organi per nutrirsi unicamente della personalità ostinata e della carne fresca di un’amante ragazzina; ma quando la morte arriva, si svela il suo asso nella manica: ha cercato e trovato i suoi doppi nei mondi paralleli, per superare i suoi limiti umani e guidare il suo popolo in una guerra contorta, dove gli alleati sono peggio dei nemici e gli esiti si moltiplicano insieme alle dimensioni spaziotemporali.

Il protagonista del romanzo, il medico esperto in trapianti d’organo Eric Sweetscent, è un uomo fragile, dilaniato dai rapporti distruttivi: con la moglie; con i potenti per cui lavora; con la guerra che incombe nello spazio e nel tempo. Intrappolato dal vortice della storia e della sua vita personale, il nostro eroe tormentato è costretto a viaggi frenetici nel futuro e nei mondi paralleli, forse infiniti, che compongono un multiuniverso caotico e assurdo, confezionato su misura per le complessità dell’anima. L’esperienza più rivelatrice del viaggio è l’incontro con il proprio duplicato: Eric si ritrova di fronte, esposte a una luce spietata, le sue miserie. Una consapevolezza innaturale e terrificante, che lo costringe a scegliere: essere pessimi o non essere.

Dick ci racconta un’umanità sull’orlo del caos e della disperazione, ma salvata dal cieco desiderio di vivere. È l’amore per la vita, infatti, che ci costringe a compiere il male per poi rimuovere memorie e responsabilità, che ci spinge a proseguire il nostro cammino al di là dell’etica e della consapevolezza.
“Gli esseri viventi non sono stati creati per capire ciò che compiono.”

Una delle sue opere migliori, sospesa tra ottimismo e pessimismo.

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Illusione di potere 2013-07-24 13:26:20 Todaoda
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Todaoda Opinione inserita da Todaoda    24 Luglio, 2013
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Il miglior romanzo di Philp K. Dick

Phili K. Dick con Illusione di Potere ci consegna un' opera irreprensibile in ogni suo aspetto. Equilibrato, ragionato, ben architettato, ma anche avvincente, sorprendentemente profondo e introspettivo, questo libro può essere considerato tra i lavori più riusciti dell'autore al pari dei suoi più celebri scritti, quelli che per intenderci sono diventati anche trasposizioni cinematografiche.
L'atmosfera che si respira in "illusione" é quella tipica del futurismo letterario, cara all' autore e ai suoi fedeli lettori, a cavallo tra ciò che é accaduto sulla terra nel recente passato e quello che potrebbe accadere, ipoteticamente, nella società evoluta (ma per certi aspetti involuta) di un lontano futuro, una realtà estremizzata ai margini dell'irrealtà, creata con deduzioni forzate che traggono dalla storia dell' umanità, dall'evoluzione cerebrale degli esseri viventi e che, esaminandone l'andamento, producono delle previsioni all'eccesso.
Non e' semplice fantascienza anni 50 - 60 quella di Dick, é un anticipazione scientifico - sociale ponderata dal sapere dell'epoca, una sorta di esercizio divinatorio della ragione: "date queste premesse non c'è nulla che mi dissuada dall'idea che accadrà questa cosa, date le nostre attuali conoscenze non c'è niente che non mi permetta di pensare che tra due, venti, duecento anni avremo acquisito questo grado di conoscenza," questo sembra essere il filo conduttore del pensiero di Dick, e c'e' una bella differenza rispetto al resto della letteratura di genere a lui contemporanea. Bradbury immaginava la vita su marte, i viaggi interplanetari e le peripezie della scienza spaziale, Asimov illustrava i prodigi del progresso, delle intelligenze artificiali più evolute persino di quelle umane, Dick invece racconta dei problemi dell'uomo alle prese con questi, coi viaggi nello spazio, con la vita su altri pianeti, con il rapporto con altre forme d'intelligenza. E se quello dei suoi colleghi era un libero sfogo, seppur ragionato, della fantasia, quello di Dick invece è uno studio intellettuale, seppur visionario e provocatorio, che ha sempre un punto di partenza, un soggetto e un punto d’arrivo, una sorta di termine ultimo adiacente al principio tramite il soggetto agente: l'essere umano. D'accordo, tra duecento anni vivremo su marte, ci saranno i robot e gli alieni tenteranno d'invadere la terra, ma l'uomo come vivrà? Come affronterà questi problemi? E quelli quotidiani? Quelli di ogni giorno? Di che natura saranno? In che modo li risolveranno? Questa e' la domanda di partenza di Dick, la risposta, ammesso che questa ci sia, e' la fine del ragionamento, e' il luogo dove prende forma la sua previsione, ciò che c' è in mezzo, tra l'inizio e la fine, e' il libro, lo strumento con cui si esplica la sua teoria, lo stratagemma con cui ci fa ragionare sui nostri costumi sociali di moltitudine cosciente, di esseri viventi del pianeta terra e di singoli individui, di separate unità pensanti facenti parte di un sistema globale e inclusivo definito “genere umano”
Dunque c' è una certa differenza rispetto alla letteratura fantascientifica classica; da quella trae il ritmo, lo stile e quell'ingenuo ed affascinante luogo comune che l'immaginario collettivo dell'epoca ci vuole, noi genere umano, alle prese con minacce di altri mondi, di esseri che trascendono il concetto generale di natura; da quella fantascienza prende spunto, ma rispetto a quella poi si sviluppa e si evolve alla ricerca di una nuova definizione, di vita, di percezioni cognitive, di emozione.
Attenzione non è che siamo di fronte ad un saggio filosofico od umanistico, quella di Philip K. Dick è sì la stessa realtà futuristica, probabile ma non verificata, tipica degli anni 50 - 60, ma è l’approccio a questa che è differente rispetto ai suoi colleghi: per Dick la realtà è sempre una questione personale, soggetta a multiple interpretazioni, tante quante sono le persone che la vivono, e mai netta, precisa, definita. (Vedasi per esempio in Illusione di potere le diverse conoscenze e capacità che sfoggiano i vari “io” multi dimensionali, o le possibili risoluzioni della questione storico-politica del mondo asservito o integrato agli alieni, una percezione diversa a seconda della specie che l’analizza.)
E’ come se l’autore elaborasse una realtà, e in questo romanzo è forse più chiaro che in altri, e poi si divertisse a cancellarne alcune parti, sfuocarne delle altre, deformane delle altre ancora, poiché nessuno vede le cose allo stesso modo degli altri, e l’esperienza percettiva di un oggetto tra due persone per quanto simile non potrai mai essere identica, poiché sempre mediata dalle peculiarità fisiche, genetiche, geografiche e persino culturali dei soggetti osservanti. E questo vale per soggetti della stessa specie figuriamoci tra soggetti di specie differenti, con differenti facoltà intellettive, figuriamoci, come nel caso dell’ “Illusione”, tra soggetti appartenenti a mondi diversi. Un tavolo di legno non verniciato è marrone, per un'altra persona idem, ma sarà lo stesso punto di marrone o sarà leggermente più chiaro, o magari più scuro? E per un essere vivente con non vede i colori come gli uomini? Per un Reeg o un Lilistariano, come sarà? E chi ha ragione? Ovvio, la fantascienza di Dick per una questione di estrazione sociale e storica per forza ha aspetti simili al resto di quella prodotta nella sua epoca ma da questa si distanzia, mettendo al centro della narrazione non tanto il singolo, strabiliante evento, tipico di questo filone, ma la comprensione che si ha di esso, mettendo al centro l’essere, umano, alieno, cibernetico che dir si voglia.
Quello dell’autore è l’assunto filosofico aprioristico, che nulla è certo, e dunque non c’è mai un punto di vista totalmente corretto, non c’è mai un’opinione inconfutabile, non c’è mai una specie vivente più meritevole di un altra. E in questo romanzo si vede bene, infatti qui non solo ci fa capire che non esiste una razza superiore, ne nel passato, ne nel presente e neppure nel futuro, ma non ha neppure senso parlare di razza, poiché il concetto stesso non sussiste in quanto di invenzione umana e dunque privo di valore per qualunque essere che non lo sia. Certo questa idea relativistica si può ascrivere a qualunque definizione ed allora nulla ha più un significato, nulla ha più senso, ed allora si sfiora il nichilismo assoluto, inteso come oggetto del reale che si annichilisce nella realtà stessa poiché privo di una propria sostanza oggettiva scevra dalla percettibilità, ma, proprio qui sta la forza del romanzo, del suo messaggio: posto questo assunto, che non c’è un unico punto di vista, non dobbiamo arrenderci, non dobbiamo lasciarci invadere dal nichilismo della sostanza, al contrario dobbiamo trovare una nuova definizione per le cose, la vita, la realtà, una nuova definizione per l’essere, non più umano ma vivente, e ancora non più vivente, ma semplicemente, cosciente. Di fronte alla mancanza di certezze dobbiamo sforzarci di crearne di nuove, di trovare definizioni che contemplino ogni casistica possibile e che alla luce di una neo acquisita consapevolezza permettano di integrarci, noi esseri ancora umani secondo i nostri canoni, alle nuove specie, da queste trarre dell'insegnamenti, e così, assieme a loro, alle aliene, alle robotiche, compiere il successivo step evolutivo, garantendo ad ogni membro di questo nuovo sistema sociale il diritto di vivere e di sopravvivere, malgrado i problemi a cui andremo incontro, malgrado i difetti che riscontreremo gli uni negli altri.
Questo e' il tema fondamentale intorno al quale si sviluppa Illusione di Potere e in generale la maggior parte degli scritti Dickiani.
Una volta addentratosi in questa analisi, mediata dall’evolversi della trama e delle sue crepuscolari e suadenti atmosfere, (sto ora generalizzando il discorso rifacendomi all’architettura narrativa di tutte le opere dello scrittore) l'autore si trova di fronte a un bivio: il genere umano riuscirà a creare questa utopica società perfettamente integrata e polimorfica oppure non riuscendo a liberarsi dai propri vizi, dalle proprie debolezze, dalle proprie dipendenze, rovinerà tutto, magari proprio sul più bello? E a seconda della strada che vuole far prendere al proprio scritto, a seconda dei concetti sui cui vuole porre l’accento, noi lettori, ci possiamo trovare di fronte ad opere improntate al pessimismo come La Svastica sul Sole o Un' Oscuro Scutare, opere dove si risolve tutto in un' Orwelliana utopia negativa, oppure ad opere improntate all'ottimismo come per esempio quest'ultima, Illusione di Potere, in cui tutto sembra destinato ad andare a ramengo, ma alla fine la fiducia nel genere umano prevale e la società multi specie, poiché definirla multi etnica sarebbe restrittivo, si risolleva, liberandosi dal fardello delle sue ottuse colpe. E’ da notare che nella bibliografia dickiana quest’ultima è una soluzione più unica che rara, che si può apprezzare qui, in Illusione di Potere, e in ben pochi altri scritti.
Spesso questo romanzo viene criticato e non ottiene la stessa considerazione delle altre opere, ma è un errore poiché rappresenta forse l'unico vero inno alla gioia nell’universo letterario dello scrittore. Vero, c' è " la guerra dei mondi", il crimine, la violenza, la droga e gli intrighi di corte, l'illusione di potere appunto, ma alla fine l'uomo ce la fa, l'umanità sopravvive (e il mio non è uno spoiler poiché lo si legge, quasi fin da subito in una delle preveggenze pluridimensionali del protagonista) e pur nella disgrazia in cui versa il mondo, pur nella rovina, l'uomo di “Illusione” è più forte, pur nella sconfitta è un vincente.
E’ un monito quello dell’ Illusione, una lezione che il suo autore ha imparato a proprie spese e ora ci impartisce dall' alto della sua esperienza: non importa se l’uomo è alle prese con problemi difficili, più grandi di lui, apparentemente impossibili, non importa, deve sempre continuare a cercarne la soluzione e non deve mai auto commiserarsi, poiché la vita non si esplica in quella utopia del bene dove tutti vanno d'amore e d'accordo, non si esplica nel compensatorio e ingannevole paradiso terrestre delle religioni antiche e moderne, ma nella strenua lotta quotidiana, nell' abilità di adattamento del singolo, e per estensione del genero umano, alle nuove situazioni, nella sua capacità di sopravvivere ogni giorno sia che si trovi alle prese con un problema sentimentale, sia che si trovi alle prese con un vizio autodistruttivo, sia che per eccesso si trovi alle prese con un invasione planetaria.
Alla luce di ciò risultano particolarmente suggestive le considerazioni che il dr. Sweetscent, il protagonista del romanzo, fa sui "cani pigri", le singole unità di intelligenza artificiale difettose che sarebbero destinate alla distruzione ma che un suo collega mezzo svitato mette in libertà, poiché anch'esse, secondo lui, hanno diritto a vivere.
Queste unità sono probabilmente al margine del concetto stesso di vita, il più delle volte versano in condizioni pessime, sono piccole, semi senzienti e la loro unica capacità è quella di rotolare costantemente, eppure sono estremamente attaccate alla loro vita, per quanto misera possa sembrare, ne sono talmente attaccate da riuscire, in caso di pericolo, a rimanere per giorni interi nascoste, immobili, quando la loro unica funzione si risolve nel movimento.
La domanda che si pone il protagonista, e con lui ovviamente anche Dick, è: "ma chi glielo fa fare?" Vivono una vita misera, se di vita si può parlare, perché dunque se ne hanno la possibilità non la fanno finita e basta? Ma invece non lo fanno, loro, i cani pigri, non lo fanno ed anzi lottano allo strenuo per sopravvivere, perché?
La risposta gli arriva presto: perché altrimenti sarebbero esseri viventi indegni di quel nome, perché anche per loro, al pari di tutti, protagonista, autore e lettori compresi, la vita non è il risultato delle azioni che compiono, ma la forza a priori che li spinge a compiere quelle medesime azioni, l'istinto di sopravvivenza, la voglia di lottare.
“Troppo facile arrendersi, allora cosa hai vissuto a fare fino ad ora?” Sembrano dire al dr. Sweetscent, quelle piccole sfere, e lui riflette: loro lottano pazzamente, perché così e' la loro vita, e allo stesso modo io devo fare altrettanto perché così e' la mia vita, e allo stesso modo l'umanità intera deve fare altrettanto perché la lotta per la sopravvivenza è l'unica prerogativa dell'essere vivi, è l'unica cosa che ci contraddistingue dai morti e dagli oggetti inanimati. Dunque in ogni ambito della vita non conta tanto se si vince o si perde, ma se si combatte o ci si arrende, poiché se si combatte almeno una possibilità, la speranza di riuscire, rimane, mentre se ci si arrende, si è già perso, praticamente si è già morti.
E' quasi una considerazione mistica quella con cui ci lascia Dick in Illusione di Potere: non esiste una sola realtà ma tante quante gli esseri viventi, ed ognuna avrà sempre la sua buona quantità di illusioni, di dispiaceri, di lotte e di rinunce, e non c’è niente da fare, non importa se sei ricco e potente o povero e debole, se sei un umano o un essere peroidale molliccio e fluttuante di un’altra dimensione, la vita è così prendere o lasciare, ma se lasci vali meno di un cane pigro marrone, vali meno di una rotella.
Una considerazione mistica e ancora una volta frutto unicamente del suo particolare approccio relativistico alla fantascienza e alla vita in generale.
Si è detto che questo romanzo Philip K. Dick non lo citasse molto volentieri, per i suoi aspetti autobiografici relativi alla depressione e all'uso di sostanze stupefacenti, anche se la critica adora trovare delle similitudini tra lo scritto e la vita di colui che scrive; si è detto che proprio per questa sua attitudine negativa lui preferisse altri suoi romanzi, più cupi, disincantati, pessimistici.
Illusione di Potere non è immune dal pessimismo, non è orfano di quelle atmosfere buie e romanticamente surreali che l'autore ci ha fatto conoscere ed apprezzare in altri suoi lavori, ma qui a differenza che in altri testi, sono elaborate mentalmente: sono descritte, sviluppate, ragionate e superate.
Il dr. Sweetscent, il protagonista del romanzo, è l’emblema del malato che non si arrende mai, che continua a lottare e alla fine guarisce con le sue forze, che debella il suo istinto autodistruttivo.
Se fosse vero che Illusione di Potere conteneva aspetti autobiografici, non sarebbe stata un'opera di cui vergognarsi ma al contrario una di cui andare fieri, poiché sarebbe stata la testimonianza dei problemi vissuti dall'autore e poi risolti, sarebbe stata la dimostrazione che lui, al pari del dr. Sweetscent e dei cani pigri, malgrado le sue vicissitudini, malgrado i suoi vizi e colpe, non aveva smesso mai di lottare, che anche lui, come i personaggi di questo libro, alla fine era attaccato alla vita.
Ma si sa i critici, e il sottoscritto non fa eccezione, spesso vedono solo quello che vogliono vedere.
Ciò non di meno resta il fatto che Illusione di Potere resta una delle poche opere ottimiste dell'autore, che pur traendo da delle collaudate situazioni ottenebranti, angoscianti, a dir poco kafkiane, riesce a sviluppare una storia in cui traspare l'amore dell'essere umano nei confronti della vita, sia questa misera e artificiale, sia questa aliena e multi temporale. L’io pluridimensionale del romanzo ne è la prova, una propria versione di se stessi per ogni futuro possibile, per ogni futuro visitabile grazie ad una particolare droga, e tutte queste versioni hanno una cosa in comune tra loro, vogliono continuare a vivere e lottano costantemente per riuscirci. La JJ-180, la droga sintetica sviluppata dagli umani e poi utilizzata proprio contro di loro, la rappresentazione del punto più basso che può raggiungere l’essere Dickiano nel suo processo di autodeterminazione, il tanto citato anello di congiunzione tra finzione letteraria e realtà biografica, ne è la conferma definitiva.
A differenza di quel che si dice, la dipendenza dalla JJ-180 non è considerata una cosa negativa, o meglio è sì vissuta dai protagonisti come estremo negativo, ma anche come spunto da cui partire per risolvere i propri problemi, come sprone per dare una svolta alla propria vita, un punto di partenza per dare un nuovo significato alla propria esistenza, come a dire che la virtù può nascere solo dalle proprie debolezze e la forza di un' uomo, la sua fibra, il suo valore, non si stabiliscono quando va tutto bene, ma quando questi è stanco e provato, quando è ai limiti del sopportabile, quando è gettato di fronte alla scelta estrema se continuare a lottare oppure arrendersi e lasciarsi distruggere assieme al resto dell’umanità.
Questo dunque è il messaggio reale del libro, questa è la conclusione del ragionamento che porta Philip K. Dick a scrivere l’ “Illusione”, e non il bisogno di confessare i suoi istinti autolesionistici.
L’illusione di potere, che gli conferisce la droga nel romanzo, sussiste ancora, poiché la multidimensionalità prodottane con l'uso è soltanto un mero sotterfugio (l’alter ego della dimensione parallela, può essere sì più forte, saggio, intelligente e informato rispetto a quello dell’attuale dimensione, ma da un ipotetico scambio di ruoli non ci guadagna nessuno poiché pur trattandosi di copie identiche in realtà sono sempre individui differenti), dunque il sotterfugio dell’illusione persiste nel romanzo, ma il protagonista non tenta di adottarla per sfuggire alla sua realtà presente, non tenta di adottarla per desistere e abbandonarsi alle allucinazioni, ma anzi per trarne il maggior vantaggio possibile, per tentare di riordinare proprio il suo presente, la sua realtà e la sua vita.
Mai arrendersi, bisogna sempre lottare, questo è il significato dell’ Illusione, un'opera, che può essere definita futuristica, visionaria, crepuscolare, ma sicuramente anche eroica ed ottimista. Un opera, per concludere, in cui nulla è lasciato al caso, in cui persino lo stile, che in altri lavori dell’autore può essere considerato il suo punto debole, in quanto troppo commerciale, qui risulta assolutamente perfetto poiché con la sua semplicità non distrae dall’evolversi della storia, poiché con la sua schiettezza riesce a sublimare la forza delle immagini di una trama avvincente imprimendole nella coscienza del lettore, rendendo assoluta la vicenda di un singolo in costante lotta per la sopravvivenza, al pari del resto dell’umanità.
Questo dunque è Illusione di Potere, un romanzo di cui andare fieri. Un romanzo perfetto.

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