Il secondo libro dei robot
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Metallo ed emozioni
Con la prima raccolta di racconti sui robot (datata 1950 ed intitolata “Io, robot”), Isaac Asimov inaugurava all'epoca una visione in controtendenza: rispetto ad una fantascienza fatta di pericolosi invasori di metallo o comunque di bellicosi mostri meccanici, egli proponeva macchine fabbricate dall'uomo semplicemente per servirlo.
Robot vincolati dai loro creatori – gli scienziati della U.S. Robots and Mechanical Men Corporation – alle famosissime “Tre leggi della robotica”:
1. Un robot non può recare danno ad un essere umano, né permettere che, a causa della propria negligenza, un essere umano subisca danno;
2. Un robot deve sempre obbedire agli ordini degli esseri umani, a meno che contrastino con la Prima Legge;
3. Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questo non contrasti con la Prima o la Seconda Legge.
In quel primo libro – oggetto di una recente trasposizione cinematografica interpretata da Will Smith – il “gioco” di Asimov era di verificare l'applicazione delle suddette leggi in nove situazioni-limite che diventavano appassionanti esercizi logici proposti ai lettori.
Ne “Il secondo libro dei robot”, Asimov riprende lo stesso schema in otto racconti e, per la metà di essi, la stessa protagonista umana: la dottoressa Susan Calvin, specializzata nel decifrare la psicologia dei robot e dei loro cervelli positronici.
In realtà, le prime quattro storie fungono da introduzione al mondo futuristico ideato dalla scienziato e scritture naturalizzato statunitense. “Al-76”, in particolare, è la narrazione di un divertente paradosso: quello di un robot programmato per svolgere un compito sulla Luna e che, liberato per errore sulla Terra (che non riconosce), è determinato comunque a compiere la sua missione tecnica. Tra i primi racconti spicca anche “Se saremo uniti”, rilettura della guerra fredda come minacciosa corsa alla progettazione di umanoidi da parte delle superpotenze Usa e Urss.
Nella seconda metà del libro entra in scena Susan Calvin, la donna frustrata e poco attraente che si dimostra geniale quando si tratta di interpretare il comportamento robotico in funzione delle Tre leggi: ogni apparente condotta “deviata” è spiegabile alla luce delle stesse.
Stavolta però, a differenza del primo libro, ad essere privilegiata non è l'interpretazione logica nell'applicazione delle Tre leggi bensì il “corto circuito” creato da emozioni e sentimenti. Per imprevedibili difetti di fabbricazione, per scherzo del caso o per l'esigenza di assecondare quanto più possibile i desideri umani, si assiste all'esistenza di un robot bambino, allo scontro tra un professore universitario e un robot correttore di bozze, e così via.
Mentre “Io, robot” si incentrava sulle implicazioni, spesso imprevedibili, delle leggi innestate dall'uomo nel nucleo costitutivo di ciascun robot, è evidente come questo secondo libro verta sul dualismo tra uomini e robot , sul conflitto interiore di una umanità combattuta tra la paura di ciò che è diverso e la tentazione di antropomorfizzare ogni forma di vita (anche artificiale).
Alla fine, pur restando godibile (specie nei racconti citati), “Il secondo libro dei robot” appare meno omogeneo del primo e forse, per questo, meno coinvolgente.