Il grande disegno. Ciclo del mondo del fiume
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Philip José Farmer (1918-2009) è stato un autore di fantascienza statunitense. Narratore eclettico, ironico e dissacrante, si è aggiudicato alcuni tra i maggiori riconoscimenti letterari nel campo fantascientifico, tra i quali il premio Hugo per Il fiume della vita e il premio Nebula alla carriera. Fanucci Editore ripropone in una nuova edizione tutto il Ciclo del Mondo del fiume, l’opera che lo ha definitivamente consacrato come uno dei più grandi autori di fantascienza del Novecento.
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Il grande disegno
Non bisognerebbe accostarsi a una serie partendo da metà o giù di lì, e qui si tratta del terzo volume del Ciclo del Fiume, ma in casa questo c’era (un vecchio Urania di vent’anni fa) e non avevo tempo e voglia di andarmi a cercare le puntate precedenti (che poi mi sono arrivate a tiro quando avevo già cominciato la lettura, ma questo è un altro discorso). E’ anche vero, però, che ogni capitolo dovrebbe comunque saper camminare con le proprie gambe – se non altro con lo scopo di far avvicinare anche il lettore di passaggio - e così mi sono avviato fiducioso, anche perché Farmer è un narratore che sa coinvolgere e divertire: caratteristiche, queste ultime, che finiscono per acuire il senso di delusione che si prova una volta chiuso il libro. E’ certamente affascinante l’idea di un mondo percorso da un grande fiume lungo le cui sponde qualcuno ha resuscitato l’intera umanità mischiando provenienze geografiche ed epoche storiche, però non ci si può nascondere l’impressione che, giunto a questo punto, l’autore si sia di fatto ritrovato prigioniero in un universo dai difficili sbocchi, magari con il desiderio di volare nello spazio a immaginare nuovi mondi vicino a stelle lontane. La brillantezza della scrittura si rivela soprattutto nella capacità di sfruttare un’occasione come quella di mettere a contatto figure famose di epoche diverse (da Mark Twain a Richard Burton l’esploratore a molti altri), e nel sottofondo avventuroso che resta l’aspetto migliore, con i risorti che, una volta organizzatisi, si avvicinano ai responsabili (autonominatisi Etici) del loro risveglio che sono piazzati, in apparenza, in una grande torre al centro del mare polare. Il procedere della storia è però rallentato da una serie non indifferente di zavorre, a partire dalle lunghe parti didascaliche che, a volte, sembrano scritte per un’enciclopedia – si tratti di raccontare lo sfondo storico di un personaggio oppure di descrivere con minuzia le caratteristiche e il volo di un aeronave. Altrettanto disorientante è il gran numero di personaggi che entrano in scena – ci sono almeno tre o quattro filoni narrativi che procedono in parallelo – anche se non tutti riescono a raggiungere un certo spessore: al confronto, pur essendo avulse dal flusso principale, funzionano assai meglio le divagazioni (i flash-back, la lettera nel contenitore di bambù) che hanno come protagonista soprattutto Frigate e che si configurano come racconti a se stanti, ma in ogni caso gustosi. E’ curioso notare come, fra i personaggi suddetti, una sola sia donna, cioè il pilota di dirigibili Jill Gulbirra, che combarre quasi da sola per i diritti femminili in una compagnia esclusivamente maschile (le altre donne sono solo decorative) in cui gli uomini, anche i più sensibili alle istanze sociali, faticano moltissimo a mollare anche un grammo di potere al gentil sesso. Tra i sospetti incrociati di essere spie degli Etici, ripetizioni di ogni misura in sistema decimale e statunitense,viaggi ai confini del mondo e scoppiettanti battaglie aero-navali, il romanzo si lascia comunque leggere senza troppo impegno – malgrado, forse, le intenzioni dell’autore - per arrivare a un finale del quale non si può dire che sia aperto perché sarebbe riduttivo: manca solo la scritta ‘continua’…