I simulacri
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Un romanzo meno dickiano
Nella produzione letteraria di Philip K. Dick (o almeno in quella parte che ho affrontato finora) sono diversi i romanzi in cui le idee e gli eventi si dividono tra genialità e follia. In certi casi, questa follia diventa così accentuata da lasciare il lettore sconcertato al punto da chiedersi: “ma cosa diavolo sto leggendo?". Questa è una peculiarità che ha contribuito alla fama di Dick e gli ha permesso di produrre opere molto riuscite (“Le tre stimmate di Palmer Eldritch" o “Ubik”) e altre che partivano da una buona premessa ma erano sviluppate maluccio (“La svastica sul sole"). Anche quelle meno efficaci, tuttavia, hanno spesso avuto un'enorme influenza su una buona fetta della produzione letteraria e cinematografica, sia alla fine del Novecento che nella nostra era “netflixiana”: basti pensare a “Blade Runner” o alla più recente serie “The man in the high castle”. Questo, ripeto, è dovuto a quelle idee che nella maggior parte dei casi si rivelano un cocktail di genio e sregolatezza.
"I simulacri" credo sia la prima eccezione che mi sono ritrovato davanti: è infatti un’opera che rispetto alle altre si mostra paurosamente “normale”. La cosa mi ha soddisfatto? Nì. Venendo meno questa caratteristica dell'autore, sebbene fosse croce e delizia, viene meno anche quel fascino che rendeva ogni sua opera un’esperienza unica. Con questo non voglio dire che "I simulacri" sia un brutto libro, anzi, si legge con piacere, ma ho avvertito distintamente quanto gli manchi qualcosa; quanto sia meno “dickiano”.
La narrazione viaggia sui punti di vista di diversi personaggi e ci racconta un'America guidata da presidenti che non sono altro che simulacri: fantocci senz'anima che si limitano ad apparire su uno schermo televisivo e si spengono per il resto del tempo, senza alcun potere decisionale effettivo. La vera detentrice del potere sembra essere infatti la First Lady Nicole Thibodeaux, che nonostante l'avvicendarsi dei presidenti rimane salda al suo posto e rappresenta per tutti una specie di idolo a cui non possono fare a meno di offrire una cieca devozione. La società in cui opera questo strano governo è palesemente instabile, divisa tra il potere ingannevole del governo, l’enorme influenza dei monopoli e le flotte di navicelle che portano i “reietti” verso le colonie di Marte. Una società destinata a crollare.
Dick non si fa mancare nulla, in questa storia, e ci mette in mezzo anche nazisti pescati nel passato grazie a una macchina del tempo. Dunque ne “I simulacri” c’è un po’ di tutto: androidi, viaggi nel tempo, colonie extramondo, e tante altre cose peculiari della pura fantascienza; tuttavia si ha la sensazione che, a fronte di tanto materiale, si sia finito per approfondire ben poco. Al termine della lettura, infatti, sentivo d’aver letto una storia di fantascienza come tante altre, il che mi ha fatto un po' pentire di tutte le volte in cui ho definito Dick troppo confusionario. Rimane un suo difetto, e continuo a dire che con la capacità narrativa di un Bradbury avremmo avuto di fronte uno scrittore leggendario, ma quella confusione era ottimamente bilanciata dalle sue grandi idee.
In conclusione, quando leggete un autore, state attenti a quel che desiderate.