I fiori di Marte
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La signora Dio
Quante volte abbiamo sentito additare gli scrittori di fantascienza quali autori di serie B? Quante volte ci siamo fatti cogliere da questo pregiudizio nel momento in cui un testo di uno di suddetti narratori ci è capitato tra le mani? Poi, tanto come casualmente quel libro ci è capitato tra le mani, altrettanto casualmente ci siamo ritrovati a leggerlo, a divorarlo, a concluderlo rimpiangendone i passi più salienti, le riflessioni più profonde, fino a ricrederci. Ray Bradbury è uno degli esponenti di maggior calibro di questo filone, la sua composizione è vastissima, tocca temi di vario genere, mai uguali e mai banali e tra i titoli per cui è maggiormente ricordato annoveriamo “Fahrenheit 451” e le “Cronache di Marte”. In verità tra i suoi scritti di maggior pregio si enumerano molteplici raccolte quali “Il pigiama del gatto”, “L’uomo illustrato” e non da ultimo “I fiori di Marte”, un insieme di brevi racconti il cui titolo originale previsto doveva essere “Più rapido di un battito di ciglia”.
«Allora capii che un giorno o l’altro sarei diventato un mago. Ed è quello che è successo, non è vero? Non sono forse uno scrittore di fantascienza, fantasy, magia e realismo che scrive favole e poemi surreali? “Più rapido di un battito di ciglia” è forse il miglior titolo che io abbia mai escogitato per una nuova raccolta. Fingo di fare una cosa, vi costringo a battere le palpebre e in quell’istante estraggo venti brillanti fazzoletti di seta da un cappello a cilindro senza fondo. Come ci riesce? Si potrebbe chiedere. Non so dirlo. Non sono io a scrivere queste storie, sono loro “che scrivono me”.»
E come sempre Bradbury non delude le aspettative e concentra all’interno del suo scritto circa ventitré storie che toccano la dimensione del sogno e della realtà, le teorie Freudiane, la magia, il mistero, l’horror, la forza del ricordo, l’importanza della memoria, il misticismo, il senso della vita, l’importanza di sapere chi siamo e perché siamo ma non anche i cari marziani a cui ci ha abituato non essendovi all’interno di questo volumetto nemmeno un paragrafo ad essi dedicato.
Quello delle raccolte è un sempre un Bradbury diverso da quello dei romanzi perché obiettivo principale di ciascun racconto è quello di destinare al lettore una massima diversa dall’altra, discontinua, con un ordine casuale e non necessariamente collegata ad un filo logico conduttore, eppure, uniche nel loro genere. Come non sorridere innanzi alla dolcezza del capitano che ritrova i suoi vecchi amici libri in una serata dove alcuno era ad aspettarlo alla stazione e l’unico punto fermo si è riscoperta essere quella biblioteca con quella bibliotecaria, la signorina Adams, che ancora si ricorda di lui? Come non interrogarsi sulla dimensione onirica, come non interrogarsi sul significato di una guerra e sui suoi postumi quando il terrore per quelle immersioni echeggia ancora in noi?
Questo e molto altro è “I fiori di Marte”, un insieme di elaborati di – purtroppo – breve durata che vi farà gioire, commuovere e riflettere.
«Il mio ultimo consiglio per me stesso, il ragazzo mago diventato vecchio, e per il mio lettore?
Quando il tuo teatro dell’alba risuona e ripulisce i tuoi seni sinoviali: non aspettare. Corri. Quelle voci potrebbero sparire prima che il caffè sia pronto.
La velocità è tutto, si dice. Andare a sbattere a più di 100 all’ora è una cura efficace per una vita sfrenata, una morte sicura. Invece…
Affrettati a vivere.
Oh, Dio, sì!
Vivi e scrivi. Senza perdere tempo.» p. 262
Indicazioni utili
I fiori della terra
Spiegare perché amo Ray Bradbury mi risulta difficile come spiegare perché amo il tramonto... non ci sono parole abbastanza adatte; lo amo e basta. Il suo stile, il suo modo di raccontare le storie mi ha sempre affascinato, fino a farsi spazio tra i miei autori preferiti. Il suo stile è poetico, a volte delirante, ma non so per quale motivo anche nel delirio la sua scrittura mi attira come un magnete, benché io non sia fatto di ferro puro ma di carne e sangue. Forse perché è a tal sorta di elementi che i racconti di Bradbury fanno presa, come accade con tutti i più grandi autori.
"I fiori di Marte" altro non è che una raccolta dei suoi tanti (per fortuna) racconti, che spaziano tra generi diversissimi tra loro: ci sono i racconti domestici, fantastici, dell'orrore... racconti di tanti tipi tranne quelli che vi aspetterete: ovvero quelli che hanno Marte e i marziani come protagonisti. Ebbene sì, a dispetto del suo titolo "I fiori di Marte" non contiene nemmeno un racconto di tal sorta, e a quanto pare (in base alla postilla finale dell'autore), la raccolta in origine doveva chiamarsi "Più veloce di un battito di ciglia". Il perchè di tale variazione nel nome mi è davvero ignoto, anche se in fondo penso a una manovra di mercato per attirare gli amanti di "Cronache Marziane" (tipo il sottoscritto, che lo avrebbe tuttavia comprato anche se si fosse chiamato "Escrementi"). A differenza di quest'ultimo i racconti sono messi in successione senza un ordine preciso, per nulla legati da un filo conduttore e nemmeno con una storiella di contorno che possa legarli, come accade ne "L'uomo illustrato".
Tuttavia, tra queste storie ci sono come al solito delle vere e proprie perle: l'esilarante "Garbati omicidi", l'emozionante "Veglie funebri", i nostalgici "Libri in prestito" e "Bug", solo per citarne alcuni. Ce ne saranno di certo alcuni che sono dimenticabili, ma altri vi rimarranno impressi a fuoco nella memoria.
Cosa aggiungere? I racconti di Bradbury vanno letti assolutamente; io consiglierei di leggerli tutti, ma se volete andare avanti a piccole dosi potete aggiungere questo libro alla vostra wishlist, ma solo se avete già letto "Cronache marziane" e "L'uomo illustrato"!
"Nello stomaco della lucertola elettrica, i solerti scenziati di un milione di anni dopo Cristo troveranno, insieme ai dinosauri di ferro, minute ossa d'avorio, gli scheletri ricchi di articolazioni di dirigenti di agenzie di pubblicità, di donne socie di club importanti e bambini. E gli scienziati diranno: ecco, questo era ciò di cui si nutrivano le città d'acciaio, non è vero?, e daranno un calcio a quelle ossa. È di questo che si riempivano lo stomaco, eh? Povere creature, non hanno mai avuto nessuna chance."