Walden ovvero la vita nei boschi
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Non una passeggiata
Se è vero, come pare indiscutibile, che fra queste pagine siano presenti molti degli elementi costitutivi dello spirito statunitense, l’affermazione vale sia in senso positivo sia in senso negativo, quasi che Thoreau abbia riassunto in sé svariati aspetti di un Paese che ai suoi tempi, ovvero a metà del diciannovesimo secolo, era ancora abbondantemente in fieri. Da una parte ci sono l’aspirazione a scegliersi la vita per cui si è portati, costruendo da sé il proprio futuro e la propria abitazione senza dover dipendere dagli obblighi che la società impone (e con essa lo Stato), ma immergendosi nella natura grazie a un’esistenza semplice basata sui prodotti offerti dall’ambiente circostante – nel caso le sponde del piccolo lago di cui al titolo, sito nei dintorni della natìa Concord. Dall’altra si fanno notare un fastidioso complesso di superiorità nonché una certa tendenza a predicare bene e razzolare male. Al netto di rare eccezioni, il prossimo viene giudicato dall’alto in basso: i piccoli borghesi di paese si adagiano sulle convenzioni, i disgraziati immigrati irlandesi non sanno reagire alla miseria, l’avidità è tutta simboleggiata dal padrone di fattoria pure proveniente dall’isola verde (sia mai che si tratti di uno del posto…). Eppure, la scelta dell’autore è meno radicale di quanto voglia far pensare: il terreno su cui si stabilisce è dell’amico Emerson, il villaggio resta a poche miglia e il nostro ci torna spesso, un continuo via vai di passanti gli fa visita lasciandogli talvolta del cibo, poco distante passa addirittura la ferrovia. L’impressione ambivalente nasce ben presto e accompagna l’intera esperienza in compagnia di un libro di non immediato fascino, lineare nell’idea di base ma multiforme nell’impalcatura che lo sostiene; in aggiunta, la prosa di Thoreau tende all’accumulo e all’intarsio, costringendo il lettore a muoversi con circospezione, sia che a scrivere sia il filosofo che illustra una filosofia di vita, sia che entri in scena il naturalista attento a ogni minimo evento che accade attorno alla sua capanna. Nella prima circostanza, il crescendo che scaturisce dall’infervorarsi dello scrittore su di un argomento finisce per trascinare e sorprendere magari con le istanze proto-ecologiste mirate alla rinuncia degli orpelli inutili che possono paralizzare lo slancio vitale, ma anche con un incantevole capitolo dedicato al piacere e al valore della lettura. Il secondo aspetto regala invece dei documentari in miniatura sull’ecosistema lacustre, con un attenta descrizione della flora e della fauna illustrate da passaggi a volte meravigliosi, basti l’esempio quello degli scoiattoli sulla neve. Lo scarto tra l’oservazione accurata e la pedanteria è però breve, come ben testimonia la sezione sulla misurazione della profondità del lago che pare interminabile: sono momenti che comunque servono, assieme alla ripresa di una scrupolosa contabilità – ci si riferisca alla costruzione della casa o al raccolto dei fagioli – a rafforzare quella sensazione di concretezza che controbilancia con costanza l’attitudine idealistica e sognatrice.
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La vanità prima di tutto
PROLOGO
Vorrei anticipare, dato l’alto punteggio che l’opera ha ricevuto, il mio rispetto per le altrui opinioni e vorrei che il mio commento un po’ “avvelenato” non fosse travisato. Non voglio offendere la sensibilità di nessuno e chiedo venia in anticipo per i contenuti scaturiti dalla mia amarezza.
Christopher McCandless aveva sette libri nel suo grosso zaino. Oltre ad alcuni chili di riso e all’attrezzatura di base per poter sopravvivere nella natura più aspra. Aveva sette libri fondamentali che lo avevano spinto a compiere un percorso arduo, nobile e unico. Spinto dal grande amore e dal grande interesse personale per la storia di questo solitario viaggiatore, di cui ho raccontato nella recensione di “Nelle terre estreme” di Krakauer, ho ritenuto doveroso e necessario un approfondimento ulteriore per arrivare a capire, nel modo più chiaro possibile, le ragioni di una scelta di vita così radicale come quella del “vivere solo con quanto la natura dona”. Tra questi sette libri, il capofila prescelto è stato il “Walden” di Thoreau, che campeggia, assieme ad altri importanti classici, nella piccola libreria portatile di McCandless.
La delusione è molto amara. Non so cosa mi aspettassi di trovare, forse qualche lirica descrizione di ameni paesaggi boschivi, forse qualche esperienza di vita che mi facesse ancora una volta assaporare il gusto dell’avventura, dell’aria fresca del mattino, dell’odore di resina dei pini e della corteccia sotto le dita. Non so, forse ingenuamente mi aspettavo qualcosa che mi cullasse nella speranza di poter veramente vivere di persona determinate situazioni di ineffabile libertà, fisica, spirituale, mentale. Beh, se cercavo questo ho proprio sbagliato libro. E se da una parte la colpa è da ascrivere al sottoscritto, per aver preso una svista sui contenuti del “Walden”, dall’altra parte mi sembra che la colpa sia anche in parte del signor Thoreau, con tutti gli allori al suo seguito.
Si tratta fondamentalmente di un saggio, sul fondo del quale si delinea l”esperimento” compiuto dall’autore. Esperimento che consiste nel vivere due anni in un bosco cercando di essere in tutto e per tutto autosufficiente, partendo da zero. Esperimento che apparirebbe tutto sommato interessante se fosse stato raccontato senza che ogni azione compiuta dall’autore venisse descritta come un modello da seguire in senso manualistico, e senza che ogni azione si caricasse di un’aura quasi mitologica di forza, potenza e ingegno.
Quello che oggettivamente ho trovato non è tanto un saggio che, dati alla mano, vuole mostrare non solo come sia possibile, ma anche facile una vita impostata sulla semplicità. Non è la riprova dell’indolenza dell’uomo moderno nell’evitare di perseguire stili di vita meno degradanti e certamente più salutari. Non è la dimostrazione di quanto, con le proprie mani, con la propria intelligenza, con la propria forza di volontà, l’uomo sia ancora in grado di costruirsi un’esistenza partendo da quello che trova in natura e nel rispetto di essa. Non è niente di tutto questo, ma avrebbe potuto esserlo. Quello che, invece, è, a parer mio, è un un’immenso inno allo smisurato ego dell’autore, evidentemente famelico di altrui considerazione. Un concentrato di insegnamenti, tanto non richiesti quanto malevolmente elargiti, su come dovrebbe essere vissuta la vita. Sul modo GIUSTO di vivere, comportarsi, abitare, vestire, gestire finanze domestiche e professionali. Il cui modo giusto, guarda caso, è proprio quello messo in pratica dal caro Henry, che, arroccato sul suo pulpito, da moderno Savonarola, giudica la misera umanità al suo cospetto come una ipocrita massa di decerebrati dediti solamente al gusto per le frivolezze e per tutto ciò che non riguarda esclusivamente il vivere come uomini delle caverne. Perché se tutti facessero questa cosa come la fa lui allora sì che le le cose andrebbero a meraviglia! Se tutti facessero quest’altra esattamente come lui ha scoperto sia giusto farla allora l’umanità si libererebbe da questa piaga! E se non bastano le sue gentili indicazioni su come impostare la propria esistenza, nel senso più ampio che può possedere questo termine, allora state in guardia alle numerose, pomposissime, ampollose prediche che fanno del “Walden” uno dei più grandi capolavori di vuota e vana retorica che mi sia mai capitato di incontrare.
Detto in altri termini, di prediche me ne sorbisco già a sufficienza senza il bisogno di andarmene a cercare, proprio quando, inoltre, mi appresto con il capo chino ad assorbire la sapienza di qualcuno che, piuttosto che donarmela umilmente e in buonafede, me la sbatte in faccia come dimostrazione della indiscutibile verità del proprio agire e del proprio pensare.
Mi piace la rottura delle convenzioni, mi piace il ritorno alle origini, mi piace l’annientamento di ciò che nella vita è superfluo o addirittura dannoso per la nostra serenità, mi piace tutto questo e sono il primo a disprezzare, in svariate occasioni, il comportamento collettivo dell’uomo, nelle sue barbarie contro gli altri e se stesso. Ma mi piace se tutto viene fatto con un senso, con cognizione di causa e non ciecamente. Quello che mi sembra abbia fatto Thoreau è un rinnegamento tout court, di tutto il pacchetto, compreso quel poco che l’uomo, nella sua imperitura imperfezione, ha prodotto di onorevole durante la sua presenza su questo mondo. Compreso tutto quello che l’uomo è ed è stato capace di esprimere tramite i più disparati veicoli espressivi. Non mi piace che tutto quello che l’omo ha da dare venga catalogato come inutile, in una filosofia dell’utilitarismo che taglia fuori dal tutto qualsiasi accezione poetica che possa colorarci la vita. Come ogni estremismo, come ogni fondamentalismo portato al limite, credo che la teoria dell’autore, espressa, inoltre, in termini così carichi di presunzione e di saccenza, si dimostri più infarcita di ipocrisia di tutte quelle formulate da intellettuali che non hanno dovuto spaccarsi la schiena e farci vedere le ossa rotte (vantandosene) e che sono comunque riusciti a farci capire che un modo di vivere differente è possibile. Che un modo per scappare dalle etichette, dagli schemi e dalla frustrazione che la vita ci riserva di tanto in tanto, c’è e si trova a contatto con la natura più profonda.
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Ritorno alle origini
Leggere Walden è come guardare un documentario, leggere Walden è come fare pace con il proprio spirito per cogliere l'essenza della semplicità. Ritornare ad uno stato "primordiale" ma soprattutto sincero con se stessi per lasciare da parte vizi e sperperi. Pensare a questo diario (il libro narra l'esperienza solitaria dell'autore in una casetta costruita per l'occasione su una riva de lago Walden durante gli anni 1845-1847) come ad un libro comune è quantomeno fuorviante. Qui c'è esperienza ed autentica vita, un rapporto leale con la natura rispettandone ogni aspetto anche quello apparentemente meno importante. Si parte con lo spiegare come nasce e si realizza l'idea di isolamento e si continua la lettura tramite minuziose descrizioni di stampo naturalistico. Così impareremo a conoscere vita ed il mutare delle stagioni, ciò che cambia e quello che sempre ritorna. Impareremo a conoscere meglio noi stessi forse e l'uomo in generale. In certe parti potrebbe risultare pesante, soprattutto quando si sofferma a parlare del lago nelle varie stagioni dell'anno, ma penso che un animo nobile possa trarre da questo libro solo tanta positività e voglia di fare. Un libro che sprona che seduce, una sorta di medicina terapeutica per lo spirito e per quello che dovremo tutti rispettare.
Mi accodo al commento/recensione che mi ha preceduto, leggetelo, carpitene l'essenza e tornaci sopra a distanza di anni per rinfrescarvi le idee e per guardarvi attorno.
Leggere questo libro è come conservare un poco di speranza nei confronti di un mondo che va sempre più a rotoli. "Walden ovvero Vita nei boschi" è ben più di un libro, considerarlo come tale rappresenterebbe un errore già in partenza.
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Sempreverde
E' un classico, bellissimo, da rileggere 3/4 volte, a distanza di circa 10 anni. A 20 anni mi ha dato il sapore dell'avventura e la conoscenza di un classico, lettura imposta dalla scuola. A 30 anni l'ho riletto per capire più a fondo le ragioni di questa scelta di vita e ho apprezzato, più della prima volta, il rapporto di armonia creatosi con la natura. A 40 anni lo rileggerò perchè secondo me lo stesso libro mi darà cose nuove: lo leggerò come racconto di una persona che ha cercato di ritrovare se stessa, con l'aiuto del silenzio e della natura. Ascoltando e ascoltandosi.