Narrativa straniera Classici Viaggio in Italia
 

Viaggio in Italia Viaggio in Italia

Viaggio in Italia

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Attraversando il Brennero nel 1786 il trentasettenne Goethe realizzava finalmente il suo sogno: il Grand Tour in Italia, un’esperienza di gran moda alla fine del Settecento. I due anni del soggiorno italiano, i più felici della sua vita, segnarono un momento di rinascita nella ricerca di perfezione come intellettuale e artista. A quasi trent’anni di distanza, nel 1816, Goethe diede alle stampe la prima parte del Viaggio in Italia, scritto rielaborando materiale privato, lettere, diari, appunti: una testimonianza unica di una straordinaria personalità letteraria e dell’eccezionale clima culturale del tempo, tra echi neoclassici e suggestioni preromantiche.



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Viaggio in Italia 2021-01-08 21:48:26 archeomari
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archeomari Opinione inserita da archeomari    08 Gennaio, 2021
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NON BASTA UNA VITA PER AMMIRARE L’ITALIA

Un libro interessante e godibilissimo che consiglio a tutti, sia a chi ama i classici -se mi consentite, è “imperdibile”,- sia a chi è curioso di leggere un succulento resoconto di viaggio in una Italia che, dopo gli scavi di Pompei ed Ercolano ( rispettivamente nel 1738 e nel 1748) si era riconfermata patria dell’arte e scrigno di stupendi tesori.
Un resoconto dettagliato ed interessante del Gran Tour, di moda tra i giovani intellettuali benestanti, che potevano sostare nella nostra Penisola per più di un anno per osservare, studiare, “far rinascere lo spirito” e conoscere quel popolo italiano, inconsapevole fortunato possessore dei più bei paesaggi e delle più meravigliose testimonianze storiche di un passato glorioso e impareggiabile.

E il visitatore chi è ? un curiosissimo, coltissimo tedesco, Goethe, “l’autore del Wether” - come egli stesso si sente tante volte identificare da Nord a Sud lungo tutto lo stivale: prosa di un certo livello, duttile e sensibile alle sfumature dei colori dei paesaggi, dei momenti della giornata, del carattere delle persone, attenta alla varietà delle piante, in Germania coltivate in serra, qui invece sempre a cielo aperto.
Goethe si dimostra un eletto viaggiatore, non è propriamente un giovane studente, ma un affermato scrittore, famoso in tutta Europa che ha occhi e cuore avidi di bellezza e di cultura. E quale luogo migliore dell’Italia per ammirare dipinti, affreschi, capolavori delle arti figurative? In quale posto al mondo si sposano così bene i diletti dello spirito con quelli dei sensi?

Il viaggio comincia il 1786 e termina il 1788, ma l’autore consegnò alle stampe l’articolata opera solo ventotto anni dopo. Si comincia dal Brennero, tra i disagi del freddo e i primi esperimenti del badare a se stessi senza avere gli agi dei propri domestici al seguito e della propria ricca casa, si passa a Verona, ad ammirare l’arena e poi subito a Venezia dove Goethe non si risparmia in elogi e espressioni di ammirazione nei confronti della bellezza dei luoghi e dell’armonia delle costruzioni del Palladio, i colori dei pittori veneti (Canaletto, Veronese).
Giorno dopo giorno il suo spirito ed il suo gusto si affinano sempre più, educati dal bello presente in ogni angolo della città sotto un cielo sempre luminoso che giustifica la chiarità e la nitidezza di questi famosi pittori. Ancora più entusiasta a Roma, dove si tratterrà più tempo, non solo per la presenza di amici, tra cui alcuni tedeschi, ma anche per la ricchezza della capitale del mondo antico.
Siamo letteralmente in viaggio con Goethe, il suo diario trabocca di informazioni: giornate in cui le pagine sussultano di entusiasmo e di stupore, altre in cui si lamenta di non aver avuto tempo di fare ordine nei suoi pensieri, sballottolato di qua e di là dal suo stesso desiderio di conoscenza. Brama di bellezza, voglia di sapere , necessità di conservare il ricordo. Ma all’epoca non c’erano ancora le foto ricordo e i selfie. Ecco allora che da Napoli in giù, Goethe ingaggia un artista, un certo Kniep, che lo segue anche in Sicilia e, su commissione, esegue schizzi di qualsiasi paesaggio od opera che il nostro esigente ed ammirato tedesco desideri immortalare, per poter ammirare di ritorno in Germania e da mostrare agli amici.
Interessanti e equilibrati i giudizi che esprime sugli italiani, ben lontani dai soliti cliché. Da napoletana, in verità, sono rimasta sorpresa dai lusinghieri giudizi sul popolo, per non parlare della città in generale. L’autore in quel lungo soggiorno aveva avuto modo di stare tra la gente, ammirarne la leggerezza con cui affrontavano il domani e sostiene di trovare infondate le dicerie sull’ozio e sulla pigrizia del popolo napoletano, messe in giro dai settentrionali, come lui stesso dice. Ci sono almeno tre pagine dedicate ad una attenta disamina delle varie classi sociali e di uomini e donne di qualsiasi età in cui si è imbattuto l’autore: dal frittarolo di strada al pescivendolo, all’acquaiolo, finanche ai bambini che appena imparano a camminare raccolgono ciocchi in cambio di poche monete, nessuno è sfaccendato, ognuno corre di qua e di là. I loro schiamazzi, la loro gioia di vivere è giustificata dalla fortuna di abitare in un posto baciato da Dio: tutte le gamme dei colori, i più splendidi, tutti i frutti più gustosi, tutti i fiori più profumati nascono spontaneamente da una terra generosa su cui troneggia il temibile Vesuvio.

Concedetemi questo peccatuccio campanilistico, in fondo Goethe, (che aveva notato il nostro campanilismo) a parte lamentarsi della sporcizia e della cattiva manutenzione delle strade (a Venezia!) e di qualche opera teatrale poco interessante (a Roma), ha solo da ammirare...ecco, essendo io trapiantata in altra regione, questo passo mi ha provocato i cosiddetti lucciconi agli occhi e gonfiato il petto di orgoglio:

“Ed nessun napoletano vuol andarsene dalla sua città, se i poeti locali celebrano in grandiose iperboli l’incanto di questi siti, non si può fargliene carico, vi fossero anche due o tre Vesuvii nelle vicinanze. Qui non si riesce davvero a rimpiangere Roma; che confrontata con questa grande apertura di cielo, la capitale del mondo nella bassura del Tevere appare come un vecchio convento in posizione sfavorevole”.

Non mi dilungo su tutto il viaggio, c’è tanto altro di gustoso da leggere, anche comici aneddoti. La parte relativa alla Sicilia è più turbolenta: qualche spiacevole episodio a Messina, la difficoltà di trovare comode locande, qualche momento di pericolo finito bene. Tuttavia c’è da dire che la sua formazione neoclassica, molto, anzi troppo dipendente dalle teorie del Winckelmann, non gli ha permesso di apprezzare i tesori di Palermo, in particolare la fontana di piazza Pretoria, che descrive con minuzia e che però taccia di cattivo gusto.
Quelle pagine traboccano di interessantissime considerazioni sulla Magna Grecia, sui poemi omerici a cui l’sola lo invita a pensare, sulla natura delle rocce e dei suoli, sulla vegetazione e sui templi di Segesta e di Girgenti.

Grande assente la Sardegna. Cosa avrebbe detto il celebre autore su di essa?

Vi consiglio l’edizione che la redazione QLibri ha inserito, quella della Mondadori che riporta la versione integrale, corredata da un apparato indispensabile e ricco di note, gli schizzi che Goethe aveva realizzato di suo pugno dei paesaggi e delle sculture, la corrispondenza fittissima con gli amici rimasti in Germania, il resoconto del viaggio di ritorno a Roma con la descrizione del carnevale romano, la prefazione di Roberto Fertonani, uno scritto di Herman Hesse.

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Lo consiglio a chi ama i classici e la letteratura di viaggio
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